La trasformazione del mercato sta portando l’IT tradizionale a evolversi in una vera e propria piattaforma digitale in stretta collaborazione con il business: è un percorso indispensabile per avere successo nell’era dell’always online. Un’era in cui la presenza dei brand sul web è sempre più polverizzata, ma allo stesso tempo, attraverso la moltiplicazione dei canali e dei touch point, pervasiva. In un contesto del genere, occorre sposare la logica dell’omnicanalità e incontrare il mercato là dove si massimizza il valore per i clienti finali. Poco importa se questo avverrà lungo diramazioni del customer journey non direttamente presidiate dall’azienda: in alcune circostanze diventa anzi sempre meno essenziale che il consumatore sia consapevole che il prodotto o il servizio acquistato venga fornito da un brand piuttosto che da un altro.
L’importante è che la user experience sia semplice, appagante e priva di frizioni, a prescindere dal punto di contatto – proprietario o di terze parti – messo a disposizione del pubblico. Un paio di esempi di ordine pratico, relativi a esperienze ormai alla portata di qualunque consumatore, aiutano a chiarire il concetto più di mille tecnicismi.
Esperienze di consumo personalizzate e ad alto valore aggiunto
Cosa succede quando si ordina un menu su un’applicazione di food delivery? Il cliente si limita a scegliere quello che desidera per cena: l’hamburger è cucinato in un ristorante specializzato, le bevande provengono dal birrificio preferito, per l’ordine e il pagamento si sfruttano le risorse di un provider di pagamenti digitali, mentre per il trasporto si ricorre a un servizio logistico locale. Tutto però avviene con un’unica user experience, senza che ci si renda minimamente conto di aver avuto a che fare contemporaneamente con quattro fornitori differenti. Ma la cosa vale anche per settori decisamente più tradizionali. Basti pensare alla possibilità di recarsi in un impianto sciistico e di acquistare, contestualmente all’ingresso e a un prezzo vantaggioso, un’assicurazione giornaliera in bundle con lo ski pass. Il cliente ignora persino quale sia l’assicuratore che mette a disposizione la polizza, ma l’assicuratore è riuscito a consegnarla nel luogo e nel momento in cui è più facile che lui lo acquisti.
«Il merito è di una proposizione seamless, integrata in modo intelligente nell’esperienza di consumo che la mette in risalto. Una proposizione che può essere allestita solo adottando la logica dell’API economy, ovvero sfruttando le API (Application Programming Interface) per esporre i dati lungo ciascuna delle diramazioni della catena del valore su cui è plausibile che si trovino utenti e consumatori», spiega Federico Soncini Sessa, CEO di Mia-Platform, società specializzata nella fornitura di soluzioni che aiutano le imprese a disaccoppiare i sistemi IT dai canali promozionali e di vendita, proprio per rispondere a questo genere di opportunità.
Who's Who
Federico Soncini Sessa
CEO di Mia-Platform
Facendo leva su API, Fast Data e microservizi business possono comportarsi per l’appunto come piattaforme digitali, organismi complessi di prodotti e servizi modulari e ben organizzati che servono in maniera agnostica e in tempo reale specifiche funzioni aziendali, applicazioni gestite da terze parti o direttamente i clienti.
«Oggi sono microservizi ed API che consentono di fare tutto ciò», dice Soncini Sessa. «Domani, perché no, potrebbe affermarsi una tecnologia ancora più efficace, ma il concetto di fondo rimarrà il medesimo: bisogna dare vita a digital twin dei prodotti e dei servizi che si vogliono mettere a disposizione del mercato, integrarli con gli ecosistemi e le piattaforme di terze parti e stabilire una serie di standard che permettano a partner e utenti finali di incastrare gli elementi dell’offerta (o delle offerte) di cui hanno bisogno per architettare in pochi istanti un’esperienza completamente personalizzata».
Come si compone una piattaforma digitale
Cosa sono, più nello specifico, le piattaforme digitali in cui, a tendere, dovranno trasformarsi i business che vogliono diventare protagonisti dell’API economy? Secondo la definizione di McKinsey, operando come entità indipendenti che riuniscono business, tecnologia, governance, processi e gestione delle persone, le piattaforme si concentrano su soluzioni aziendali con l’obiettivo di servire gli utenti (interni o esterni) e di rifornire altre piattaforme in maniera rapida. Sono strumenti tipicamente gestiti in modo univoco da un unico soggetto, che si assume la responsabilità di fornire la soluzione e di gestirla come un servizio in chiave end-to-end.
I team che operano all’interno della piattaforma sono cross-funzionali, e comprendono elementi di business, competenze informatiche e qualsiasi altro fattore necessario, sul piano analitico come su quello della gestione del rischio, per garantire totale autonomia operativa (non a caso alcune aziende le definiscono “tribù”). All’interno di ecosistemi complessi e distribuiti come questi, diventa centrale il tema della governance: servono strumenti che diano una visibilità chiara dei processi, dei progetti e dei servizi in produzione, per tenere sempre monitorati i propri asset digitali, garantire sicurezza e continuità di business, mantenere il codice pulito migliorando la qualità e il time-to-market.
Una trasformazione tecnologica, metodologica e culturale
L’azienda deve in altre parole trasformarsi in quella che Gartner, affrontando il tema delle applicazioni del futuro, definisce “composable enterprise”: un’organizzazione modulare, agile, componibile, in grado di evolversi gradualmente in funzione degli stimoli che arrivano dal mercato e dal mondo dell’innovazione.
«Bisogna in questo senso evitare di cadere nell’errore di pensare che serva un gigantesco terremoto per passare da quello che oggi è considerato superato a ciò che oggi è considerato vincente», mette in guardia Soncini Sessa. «Un’idea corretta di azienda-piattaforma si basa su un modello flessibile, che supporta processi di trasformazione da affrontare a piccoli passi. Qualcuno ricorderà il famoso bimodal IT: forse ora è un’espressione fuori moda, ma io credo che le aziende che appartengono a contesti tradizionali, lenti nell’affrontare il cambiamento, possano trovare grandi benefici nell’adottare un approccio incrementale».
Procedendo incrementalmente, infatti, è possibile fin da subito delineare nuove roadmap per costruire pezzo per pezzo la piattaforma di domani, senza ricorrere a trasformazioni onerose che in qualche caso portano i primi risultati a distanza di anni. Il segreto sta nell’avviare la trasformazione già con piccoli progetti tattici, per attivare i quali non è necessario rivoltare l’azienda come un calzino.
«La buona notizia», continua Soncini Sessa, «è che ai giorni nostri è molto più facile intraprendere questo percorso di quanto non lo fosse dieci anni fa. Le aziende native digitali che hanno innescato il processo di cambiamento, all’epoca, si erano dovute inventare metodi e strumenti. Oggi la direzione è chiara, e il mercato abbonda di soluzioni mature e pronte all’uso, senza contare che le imprese possono contare su molte più competenze di un tempo».
La sfida è riuscire mettere insieme tutti questi elementi e governarli. «Ed è quello che aiuta a fare Mia-Platform, semplificando l’esperienza di costruzione e industrializzazione della piattaforma e dei servizi, lavorando in modo trasparente e organico con le tecnologie del Landscape, tutte gestibili tramite un unico punto di controllo, e puntando direttamente alla creazione di nuovi prodotti di business. A questo», chiosa Soncini Sessa, «va però aggiunta la disponibilità dell’impresa a operare un cambiamento anche sotto il profilo culturale: trasformare il business in una piattaforma significa essere pronti a innovare i propri modelli di business per mettere l’utente al centro, facendolo diventare parte della catena del valore. Questo vuol dire anche rinnovare i propri modelli operativi e distributivi ed essere pronti ad aprirsi a sinergie e collaborazioni con terze parti. Ciò vale per l’esempio fatto rispetto ai servizi assicurativi, ma avrà ancor più rilievo per il mondo bancario, che per contrastare l’offensiva delle fintech dovrà, come suggerisce Deloitte, abbracciare le tecnologie emergenti, rimanere flessibile per adottare modelli di business in evoluzione e, più di ogni altra cosa, mettere i clienti al centro di ogni strategia».