Rilocalizzazione produttiva

Supply chain più snelle, sostenibilità, piccoli lotti: la stampa 3D aiuterà il rientro delle produzioni in Italia?

Alcune riflessioni sul confronto tra i benefici dell’Additive Manufacturing e le motivazioni di oltre 700 decisioni di rimpatrio di attività di produzione, raccolte da un gruppo di ricercatori di cinque Università italiane
nella banca dati “Uni-CLUB MoRe reshoring”

Pubblicato il 22 Nov 2017

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Le tecnologie digitali Industria 4.0 possono influenzare le decisioni strategiche sulla struttura stessa delle supply chain, e in particolare il rientro in Italia di attività produttive delocalizzate? Un articolo di Luciano Fratocchi (Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università dell’Aquila) su Agendadigitale.eu, propone un’interessante correlazione tra il re-shoring e le tecnologie di Additive Manufacturing, cioè la stampa 3D applicata a processi industriali.

Dopo anni di forte delocalizzazione per ridurre i costi di produzione (in particolare del lavoro), da qualche tempo si va diffondendo la scelta opposta, con numeri rilevanti anche in Italia, come vedremo più avanti. Il fenomeno è stato definito in vari modi: reshoring, back-shoring, on-shoring, in-shoring, reverse globalization. O anche near-shoring, se le produzioni vengono “riavvicinate” all’Italia. Molte imprese italiane con fabbriche in Cina per esempio in questi anni le hanno spostate in Europa orientale. In tali casi, l’azienda accetta maggiori costi del lavoro pur di ridurre i costi di non-qualità, coordinamento e logistici.

Ma si può considerare la diffusione della stampa 3D come un fattore facilitante del reshoring? Per rispondere, spiega Fratocchi, occorre prima di tutto verificare la coerenza tra benefici della stampa 3D e motivazioni che spingono al reshoring.

I benefici della stampa 3D nel manifatturiero

Sui benefici della stampa 3D nel manifatturiero, la letteratura indica quattro principali aree: costi, valore percepito dal cliente, design del prodotto, ecosostenibilità. Per quanto riguarda i costi, si hanno risparmi per la riduzione o eliminazione delle fasi di montaggio e i minori scarti/sfridi. Sul versante del valore per il cliente, l’azzeramento delle economie di scala permette la produzione “personalizzata” a costi non proibitivi (piccolissimi lotti e anche pezzi unici). In taluni casi il cliente può “stamparsi” direttamente il prodotto con la sua attrezzatura, dopo aver acquistato (magari online) il file con i comandi per la stampante. Inoltre si riducono i tempi di attesa (“printing on demand”), cosa che rivoluzionerà tra l’altro il business dei ricambi, riducendo le giacenze in magazzino a parità di livello di servizio verso il cliente.

Quanto al design del prodotto, le stampanti 3D danno più libertà d’azione al progettista – si possono realizzare forme complesse impossibili con le tecnologie tradizionali – e grande facilità di modificare il prodotto, trattandosi solo di intervenire sul file. Infine l’ecosostenibilità: oltre alla già citata riduzione (e quasi completa riutilizzabilità) degli scarti di lavorazione, i prodotti sono anche più leggeri. Questo nel caso di automobili e aeroplani comporta una riduzione dei consumi di carburante, e quindi delle emissioni in atmosfera.

Le motivazioni del reshoring: la banca dati “Uni-CLUB More reshoring”

L’articolo confronta poi questi benefici con le motivazioni del reshoring, per come emergono dalla banca dati “Uni-CLUB MoRe reshoring”, creata e gestita da un gruppo di ricercatori delle Università di Catania, L’Aquila, Udine, Bologna e Modena e Reggio Emilia, che contiene informazioni su oltre 700 decisioni di rimpatrio di produzioni di principali paesi europei e del Nord America, per la precisione 728, di cui 121 di imprese italiane.

Le prime 10 motivazioni si possono classificare in 5 categorie omogenee: costi, valore percepito dal cliente, livello di servizio, innovazione, incentivi pubblici al rientro.

Nella prima abbiamo i costi logistici (in assoluto la motivazione più frequente dichiarata dalle imprese), seguiti dai costi del lavoro (quarta motivazione per numero di citazioni), dove tra l’altro si è notevolmente ridotto il divario tra salari dei paesi occidentali e dei paesi low cost, in termini di lavoro per unità prodotta. In questa categoria c’è anche la quinta motivazione, il “Total cost of ownership”, cioè il costo globale di prodotto, compresi i costi indiretti (spesso “nascosti”), come la “non qualità” delle produzioni delocalizzate. E poi ci sono i costi di coordinamento delle attività manifatturiere, sensibili soprattutto per paesi (come la Cina) particolarmente distanti da quello d’origine dell’azienda.

Nella categoria valore percepito abbiamo il cosiddetto “effetto made in” (seconda motivazione per numero di citazioni), cioè il differenziale di prezzo che un cliente è disposto a pagare per un prodotto realizzato in uno specifico paese (per esempio un profumo francese, un’auto tedesca, una fotocamera giapponese). Segue la scarsa qualità delle produzioni delocalizzate (terza motivazione), spesso dovuta alla mancanza di una vera cultura industriale locale.

La terza categoria comprende il livello di servizio reso al cliente (sesta motivazione più citata) e la necessità di ridurre i lead time di approvvigionamento (settima), ormai vitale in alcuni settori, come l’abbigliamento dopo l’affermazione delle strategie fast fashion.

La categoria “innovazione” si riferisce alla volontà delle imprese di presidiare le attività di R&S, engineering e produzione per accorciare il time to market e salvaguardare la proprietà intellettuale. Nell’esperienza italiana in particolare hanno un ruolo cruciale i distretti, come depositi di culture produttive spesso uniche.

Infine gli incentivi governativi al rientro sono importanti soprattutto in Paesi come gli USA, dove c’è una vera competizione tra gli stati federali per attrarre gli investimenti collegati al rientro delle produzioni. Ma a parte questa motivazione, tutte le altre, sottolinea Fratocchi, risultano fortemente coerenti con i benefici dell’Additive Manufacturing. Addirittura, 8 delle aziende censite nella banca dati “Uni CLUB MoRe reshoring” hanno esplicitamente indicato l’adozione di tecnologie di stampa 3D come motivazione principale del reshoring.

Una seconda correlazione tra le tecnologie di additive manufacturing e il reshoring manifatturiero si trova analizzando i settori in cui i due fenomeni sono più diffusi. In effetti i campi di applicazione delle stampanti 3D sono in continua crescita, anche grazie all’adozione di una sempre più ampia gamma di materiali. A parte il caso dell’industria dei dispositivi acustici – dove tutti i principali produttori si sono convertiti alla stampa 3D in due anni – le principali applicazioni industriali su larga scala dell’Additive Manufacturing sono nei comparti aeronautico, elettrico ed elettronico, automotive (specialmente per la componentistica) e fashion. Tali settori rappresentano, secondo le evidenze della banca dati “Uni-CLUB MoRe reshoring”, 4 dei primi 5 settori per numero di decisioni di rimpatrio delle produzioni nei principali paesi europei e nord-americani.

Tutte queste considerazioni, conclude Fratocchi, dimostrano che la sempre più rilevante diffusione di tecnologie Industria 4.0, e in particolare di tecnologie produttive basate su stampa 3D, può costituire un fattore abilitante per il processo di rientro delle produzioni nei paesi occidentali.

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