È difficile immaginare gli impatti di Industria 4.0 a un settore come la chimica, dove la materia e i processi sono e saranno sempre fisici. Eppure anche le imprese che operano in questo mercato cominciano ad avvertire la pressione del cambiamento. Sia per questioni legate all’efficientamento delle procedure, sia soprattutto per contrastare la potenziale concorrenza di nuovi entranti che grazie al digitale – come sta succedendo in altri ambiti, dal trasporto al real estate – stanno sovvertendo le logiche di business, disintermediando i leader di mercato. C’è poi un terzo elemento fondamentale: anche l’industria chimica deve capire come attrarre a sé i talenti, che ormai si aspettano di trovare sul posto di lavoro – sì, anche tra cisterne e valvole di pressione – un’esperienza d’uso mediata da interfacce intuitive.
Deloitte: il cambiamento deve arrivare dall’alto
Tutti questi temi sono stati affrontati al convegno “Chemistry 4.0: eventually, less regulation and more innovation“, organizzata a Milano da Federchimica. L’evento ha messo a confronto responsabili di produzione, direttori sistemi informativi e consulenti esterni sullo stato dell’arte di una rivoluzione che in Europa ha preso il via a macchie di leopardo.
«All’interno dell’impresa informazione e dati stanno sostituendo gli asset fisici», ha detto Stefan Van Thienen, Chemical & Specialty Materials di Deloitte, aprendo i lavori. «L’innovazione digitale inoltre fa aumentare la velocità del time to market, e l’R&D è importantissimo nell’industria chimica. Le nuove tecnologie però non servono per fare meglio ciò che si è sempre fatto: il vero valore della disruption è la dematerializzazione. L’uso al posto dell’acquisto, il servizio al posto del prodotto: il precision farming, il car sharing, la medicina personalizzata ci stanno facendo capire che spesso le aziende si dotano di asset inutilizzati, a volte fino all’80%».
Neanche il mondo della chimica, poi, può sottovalutare un elemento pur tipicamente consumer come la user experience digitale, anche in chiave mobile: «Finora non siamo stati abbastanza bravi nel comprendere i clienti e fornire loro un’esperienza appagante, la stessa che ormai si aspettano anche i dipendenti». Il consulente di Deloitte ha parlato di “digital mindset“, una mentalità nuova che dovrebbe aiutare le aziende chimiche a superare la logica dei silos, che le ha contraddistinte per anni, e abbracciarne una orientata all’utilizzatore finale.
«Non è la tecnologia ciò che può trasformare le cose, quanto la capacità di immaginare un nuovo tipo di business. Serve prima di tutto un piano proposto dal management che deve poi occuparsi di seguirne tutte le fasi di sviluppo. Dopo aver creato il frame su cui innestare i processi di innovazione, si passa a una fase di piloting dedicata a iniziative su cui l’intera organizzazione è chiamata a partecipare con libertà e creatività, per capire cosa crea valore e cosa no. Infine c’è l’industrializzazione delle soluzioni che si sono dimostrate efficaci». L’ultima raccomandazione di Van Thienen riguarda l’apertura alle partnership, specialmente con startup e università: «Il punto di vista esterno è fondamentale per costruire le competenze necessarie ad avere successo in questa rivoluzione».
BASF vuole creare un “digital twin” per impianti e prodotti
Fortunatamente anche nella chimica Industria 4.0 non è semplicemente un modello teorico, ma un percorso già intrapreso da alcuni big del settore. Uwe Hinsen, responsabile del progetto BASF 4.0, ha spiegato che questo processo nella multinazionale tedesca è partito 3 anni fa, «quando il mio capo chiamò me e cinque altri colleghi (responsabili dell’IT, dalla supply chain e degli impianti) per creare una task force dedicata appunto all’Industry 4.0, espressione che sentivo per la prima volta».
L’obiettivo del progetto era, nelle parole di Hinsen, «creare un “digital twin” degli impianti e dei prodotti». Più facile a dirsi che a farsi: BASF possiede centinaia di siti produttivi in oltre 50 Paesi tra Europa, Asia e Americhe, con oltre 110 mila dipendenti, e circa 8 mila referenze distribuite in 170 mercati.
«L’analisi Deloitte è corretta», ha ribadito il manager: «per avviare un processo di digital transformation è necessario l’intervento diretto del CEO, che deve guidare il piano attraverso un team dedicato full time. Serve una visione chiara perché Industry 4.0 significa prima di ogni altra costa connettere ogni aspetto e ogni elemento dell’organizzazione, dai costi ai macchinari. E poi bisogna investire: la nostra task force è passata nel giro di tre anni da sei a 70 persone, e crescerà ancora, anche per far fronte alla cyber security».
Il primo dei due progetti messi in cantiere dal team di Hinsen riguarda la creazione di una piattaforma Windows per la raccolta digitale dei dati sullo stato di salute degli impianti. La soluzione, fruibile via tablet connessi al database, sostituirà gradualmente le rilevazioni a mano con checklist cartacee, e successivo data entry nel sistema centrale. «L’obiettivo per il 2021 è estendere la piattaforma a 400 impianti», precisa Hinsen. Il secondo progetto è invece di predictive maintenance. «Ci sono cinque fisici al lavoro per valutare quali modelli predittivi si adattano meglio all’esigenza di ciascun macchinario. Dovremmo riuscire a ottenere notifiche che anticiperanno di 4 settimane possibili rotture negli scambiatori di calore, mentre per le anomalie generali puntiamo a segnalazioni dalle 6 alle 72 ore prima di un guasto. Anche qui la scadenza è il 2021, quando dovremmo aver attivato il sistema in un centinaio di impianti».
L’esperienza italiana di Sasol
L’Industry 4.0 applicata al settore chimico comincia a prendere forma anche in Italia. Gabriele Ottaviani, Manager Electrical Systems & Automation di Sasol Italy (filiale della compagnia sudafricana specializzata in estrazione mineraria, energia, chimica e combustibili sintetici), ha raccontato le esperienze negli stabilimenti di Lodi e Augusta (SR). Nel primo l’obiettivo era realizzare una logistica just in time dedicata ai materiali grezzi provenienti dall’Italia e dalla Germania. Nel secondo l’ottimizzazione della produzione in base alle performance dei macchinari e delle condizioni ambientali.
Nel secondo caso, Sasol è riuscita a portare vicino al limite, mantenendolo comunque entro i parametri di sicurezza, l’output produttivo del grande impianto petrolchimico siciliano. «In passato bisognava impostare manualmente la capacità dei macchinari, e il valore era sempre ben lontano dal limite del rischio, calcolato con strumenti statistici e slegato dalla situazione contingente. Ora riceviamo informazioni puntuali dal sistema di controllo distribuito (DCS) che controlla e analizza eventuali perturbazioni dello stabilimento in base anche alle condizioni esterne. Il sistema ottimizza l’output fornendo di volta in volta risposte corrette a eventuali problemi. Questo ci permette non solo di massimizzare la produzione, ma anche di ridurre il consumo di metano e di materie prime».
L’impianto di Terranova è invece di piccole dimensioni e necessita di una programmazione settimanale per gestire correttamente gli output in funzione degli arrivi. «Così abbiamo collegato reattori e serbatoi a un altro DCS col quale raccogliamo tutti i dati prodotti dai sensori». I dati vengono fatti confluire nel MES (Manufacturing execution system), armonizzandoli con un algoritmo proprietario che genera un Dynamic scheduling per la produzione.
«Il punto debole di tutto il sistema è che l’esperienza risulta ancora complessa, e a volte siamo costretti ad aggiustamenti manuali. Si tratta inoltre di un approccio locale, in uso solo per questo sito, ma vogliamo esportarlo in altri stabilimenti, e non solo». Ottaviani allude alla possibilità di monitorare, tramite GPS, lo spostamento delle merci man mano che si avvicinano a Terranova. «Specialmente per i carichi provenienti dalla Germania, a volte le condizioni atmosferiche d’inverno causano ritardi che hanno pesanti effetti sulle operazioni dell’impianto. Tracciando in tempo reale la loro posizione potremo pianificare meglio le attività. L’approccio è chiaro, ma c’è un universo da esplorare, e non possiamo farlo da soli: serve la collaborazione di tutte le filiali coinvolte in questa trasformazione».