Il Made in Italy è un business e, come tale, è sotto i riflettori della criminalità organizzata. A raccontarlo gli analisti che fanno capo all’European Union Intellectual Property Office e, in particolare, l’Office for Harmonization in the Internal Market che nell’Annual Report 2015 ha evidenziato le cause del fenomeno e l’impatto sulle economie europee.
I brand dell’Unione Europea perdono il 9,7% delle loro vendite a causa della contraffazione. Solo nel settore del Lusso si parla di 26,3 miliardi di euro mentre nei settori collegati le cifre ammontano a 17 miliardi di euro. I ricercatori hanno contabilizzato la perdita di posti di lavoro: le stime contano 417mila unità che, sommate all’indotto, diventano 603mila. La falsificazione è dannosa per i brand, per i consumatori ma anche per l’economia nazionale. Dal punto di vista fiscale, infatti, l’impatto della contraffazione porta ammanchi alle casse governative di 9.95 miliardi di euro.
Secondo la ricerca di OHIM, l’86% degli shopper europei è d’accordo sul fatto che proteggere la proprietà intellettuale sia importante perché contribuisce a rafforzare e a garantire la qualità dei prodotti e dei servizi.
Non solo: il 75% dei cittadini europei non è d’accordo che l’acquisto di un prodotto falso sia giustificato dal fatto che quello originale sia tropo caro e l’81% concorda nell’affermare che acquistare merce contraffatta impatta negativamente sull’economia, intaccando i posti di lavoro. Malgrado la forte maturità rispetto al tema della contraffazione, le analisi raccontano come 50 milioni di europei abbia comunque acquistato merce contraffatta nel 2015.
Chi minaccia di più il Made in Italy
Che l’Italia sia il Paese più preso di mira non è una novità, ma i numeri dettagliati dai ricercatori fanno riflettere. Il Paese che rappresenta la matrice più alta dei falsi è la Cina, che cuba il 63,2% del mercato. Hong Kong da sola produce il 21.3% dei marchi contraffatti. Nella classifica dei Paesi da cui hanno origine i falsi seguono la Turchia (3.3%), Singapore (1.9%), la Tailandia (1.6%) e infine l’India (1.2%). La torta della contraffazione vede poi in percentuale minore altri Paesi coinvolti: il Marocco (0,6%), gli Emirati Arabi Uniti (0.5%), il Pakistan (0.4%), l’Egitto (0.4%) con altre nazioni coinvolte in percentuali che, comunque, pesano per una quota complessiva pari al 5.6%.
In termini di mancate vendite la contraffazione impatta sul Made in Italy per un valore pari a 5 miliardi di euro all’anno, con il Bel Paese, al primo posto nella classifica dei più attaccati dal mercato del falso e dall’Italian sounding. Seguono poi la Spagna (4.5 miliardi di euro), l’Inghilterra (4 miliardi di euro), la Germania (3.9 miliardi di euro) e la Francia (3.,8 miliardi di euro).
L’impatto della contraffazione sui brand italiani
Secondo la Camera Nazionale della Moda Italiana nel 2015 il mercato del Fashion ha movimentato un mercato del valore di 64.2 miliardi di euro di cui 17.2 miliardi solo di beni di lusso. I più grandi clienti del Made in Italy? Sono i francesi, i tedeschi e gli svizzeri che cercano e comprano abbigliamento, accessori e gioielleria italiani. Numeri alla mano, è chiaro che i brand stanno attuando contromisure atte a rafforzare i controlli e a contrastare mercato nero e mercato grigio, portenziando la lotta al falso attraverso l’uso di sistemi di etichettatura più evoluti e soluzioni più sofisticate per contrastare la contraffazione.
Negli ultimi anni, ad esempio, si sono diversificate le tecnologie atte a condividere la qualità e l’originalità dei prodotti anche con i consumatori finali attraverso l’uso di Qr code, tag RFID o NFC. Grazie alla scansione del codice bidimensionale o del tag associato ai cartellini, infatti, la verifica può essere fatta utilizzando anche solo uno smartphone. Secondo i dati raccolti dagli analisti di Boston Consulting Group oggi l’80% dei consumatori di beni di lusso verifica il Paese d’origine prima di effettuare un acquisto.
Secondo la società di consulenza Allied Market Research, tra le varie tecnologie anticontraffazione come gli inchiostri invisibili, gli ologrammi e i sistemi traccianti, i brand stanno spostando la loro attenzione sulle soluzioni più innovative. Barcode in combinazione con le tecnologie RFID dal 2013 al 2020 registreranno un tasso di crescita pari a un CAGR del 16.2% annuo.
L’innovazione che rende le etichette connesse e comunicanti grazie al tag, infatti, è una strategia condivisa da moltissimi brand: da Fendi a Bottega Veneta, da Maliparni a LiuJo, da Kaos, Angela Davis e King Kong, fino ad arrivare ai brand della distribuzione organizzata come Zara o Decathlon. Diversi brand, infatti, stanno introducendo soluzioni integrate, capaci di tracciare e rintracciare i prodotti a supporto non solo della logistica ma anche dell’antitaccheggio. La tecnologia supporta infatti la movimentazione e aiuta a velocizzare i servizi di e-commerce. Lo sa bene Yoox che è stato precursore nell’impostare i servizi logistici basati sull’uso dei tag Rfid utilizzati anche come sigillo di autenticità. E a proposito di e-commerce è interessante notare come l’abbigliamento sia il segmento più in forte crescita dopo il Food&Beverage (Fonte NetComm 2015). Non a caso sono proprio i brand del fashion ad essere più attenti al tema dell’etichettatura intelligente, promuovendo una tracciabilità addirittura delle materie prime che arrivano in fabbrica per essere lavorate, come fa Proenza Schuler che ha in Italia la manifattura di tutta la sua pelletteria, tutta rigorosamente tracciata con i tag RFID.