STRATEGIE

Valutazione dei fornitori: perché serve un approccio data-driven



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Partendo dai dati le aziende possono migliorare la gestione dei rischi lungo la catena di fornitura e rendere le Supply Chain più resilienti e conformi agli standard ESG. Il punto di Marco Perona, Ordinario di Supply Chain Management presso l’Università degli Studi di Brescia

Pubblicato il 12 lug 2024



Valutazione dei fornitori

Adottare un approccio data-driven nella valutazione dei fornitori abilita una gestione più strategica e proattiva, consente alle aziende di prendere decisioni più informate, e aiuta a tenere sotto controllo l’esposizione al rischio e la compliance ESG della Supply Chain migliorandone qualità, efficienza e resilienza.

È questo in estrema sintesi quello che è emerso dall’intervento di Marco Perona, Ordinario di Supply Chain Management presso l’Università degli Studi di Brescia, in occasione dell’evento “Supply Chain: affidabile, responsabile & sostenibile – Strumenti tecnologici e metodologie innovative per valutare i fornitori”.

«Oggi il vero limite delle Supply Chain sta nella capacità di reperire i dati, ancora troppo frammentati, che vengono poi manipolati e integrati per costruire la knowledge base necessaria per prendere le decisioni strategiche», ha iniziato così Perona.

Who's Who

Marco Perona

Professore Ordinario di Supply Chain Management presso l'Università degli Studi di Brescia

Marco Perona

Comprendere i trend per individuare strumenti e modelli di valutazione dei fornitori

Quello che è accaduto negli ultimi anni ha cambiato profondamente il contesto in cui oggi i diversi attori della Supply Chain operano.

In particolare, Perona ha indicato quattro cause: «Innanzitutto stiamo assistendo alla deverticalizzazione delle filiere: è quanto accaduto, ad esempio, nel settore automotive popolato da aziende che si concentrano sull’assemblaggio finale di pezzi provenienti da diversi strati di fornitura, first-tier e second-tier».

C’è poi il fenomeno della globalizzazione, che vede i fornitori non essere più necessariamente di prossimità, «ma si cercano dove è più economico e conveniente trovarli. Questo accade frequentemente soprattutto per le lavorazioni più labour intensive, e generalmente ci si rivolge all’Estremo Oriente e ai paesi in cui il costo della manodopera è basso».

Parallelamente, sulla scorta dell’esperienza dell’industria automobilistica giapponese, «le tecnologie lean stanno portando anche altri settori ad avere flussi tesi, scorte ridotte o addirittura nulle, con l’obiettivo finale di sviluppare business estremamente asciutti ed efficienti».

Infine, non si può tralasciare la coda lunga, «trainata dal progressivo affermarsi nei vari settori industriali di gamme sempre più ampie, eterogenee, variopinte, con tanti accessori e molta varianza. Questo va a braccetto con una serie di fenomeni esogeni, come gli eventi geopolitici e naturali (terremoti e inondazioni), le perturbazioni di business (basti pensare al fallimento Lehman Brothers), i grandi trend tecnologici (da ultimo l’hype dell’Intelligenza Artificiale), e poi il proliferare delle normative e degli standard, che forniscono requisiti e danno indicazioni ai mercati».

Perché è diventato indispensabile valutare i fornitori

«In questo quadro valutare i fornitori diventa sempre più importante e ci sono tre motivi chiave per cui diventa indispensabile – ha sottolineato Perona -. Prima di tutto, i fornitori pesano sempre di più nella generazione di valore al cliente. Con la crescita della deverticalizzazione, una percentuale consistente del valore prodotto dalle aziende dipende dai fornitori, con picchi che arrivano anche all’80%. Questo rende necessaria una valutazione accurata per garantire che i fornitori siano in grado di mantenere standard elevati».

Inoltre, ai fenomeni come la coda lunga, alle fluttuazioni dei mercati, agli eventi geopolitici e ai disastri naturali si sommano la frammentazione delle value chain, la dispersione geografica tra domanda e fornitura e la riduzione degli stock, rendendo sempre più instabile e imprevedibile il processo primario che deve far fronte a un aumento della probabilità del rischio di interruzioni. «Se è vero che da una parte cresce la richiesta di efficienza ed efficacia, dall’altra ci troviamo in un contesto in cui essere resilienti e assicurare la continuità del processo primario è sempre più difficile».

Infine, è fondamentale convergere sempre di più verso pratiche sostenibili di gestione d’impresa, che «nonostante possibili rallentamenti dovuti a contingenze politiche, costituiscono una tendenza ormai inarrestabile».

L’adozione di queste pratiche – sul fronte ambientale, sociale e di governance – è sempre più trainata dalle richieste che arrivano dal mercato, dalle normative e dai clienti. Da qui il possibile innesco di una serie di problematiche che possono influire negativamente sulla reputazione e sulla conformità legale delle aziende, pur trattandosi di imprese eccellenti.

Rete di fornitura: la situazione in Italia

La ricerca del laboratorio RISE dell’Università di Brescia ha rilevato che le interruzioni del processo primario sono in costante aumento. Inoltre, le aziende italiane non sono preparate ad affrontare il particolare momento storico che stiamo vivendo: solo il 46% delle organizzazioni (campione: 147 aziende manifatturiere italiane, ndr) applica almeno una leva di mitigazione dei rischi per diventare più resiliente, tra queste poco più di una su due (55%) si avvale o di una leva di protezione o di prevenzione, dimostrando un atteggiamento ancora scarsamente proattivo.

Ma Perona ha posto l’enfasi anche su un altro aspetto: «Per avere una visione a 360 gradi non si può tralasciare il fatto che le reti di fornitura italiane sono ancora molto legate alla logica dei distretti (nel 77% dei casi si rimane ancorati alla fornitura locale). Da un lato questo è un punto a favore, perché vuol dire che sono geograficamente più vicine. Dall’altro, però, c’è anche un rischio, perché si fa riferimento ad aziende molto piccole (il 42% rientrano nella fascia 0-100 addetti), che di solito sono tipicamente meno solide».

I passaggi fondamentali per capire l’esposizione ai rischi

«Negli ultimi anni l’esposizione al rischio è aumentata soprattutto per chi non si è premunito. Le aziende che più ne risentono sono quelle piccole, perché hanno meno la cultura della sicurezza, del rischio, del dato e sono meno attrezzate per fare il percorso», ha sottolineato Perona.

In generale sono quattro gli step che andrebbero seguiti per gestire le criticità.

Innanzitutto bisogna conoscere le fonti dei rischi, il secondo passaggio prevede una valutazione quantitativa di due aspetti che connotano i rischi, cioè la probabilità di accadimento e la magnitudo del danno.

Si devono poi attuare leve di mitigazione, quindi o azioni di prevenzione, cercando di ridurre la probabilità di accadimento, o di protezione, riducendo l’impatto.

Il quarto punto è capire cosa accadrà, avendo dei piani pronti prima che consentono di non gestire il rischio in modo emergenziale.

Vendor rating: le logiche tradizionali non sono più sufficienti

Tornando alla valutazione dei fornitori, molte aziende hanno sviluppato delle procedure di vendor rating più o meno oggettive, integrate, formalizzate ed esplicite, che valutano gli effetti commerciali, il servizio, la conformità.

Consegne rapide e puntuali, materiali e prodotti di qualità conformi alle specifiche, processi ripetibili, prezzi bassi, condizioni di pagamento favorevoli: sono questi i fattori che concorrono ad avere un vendor rating elevato.

«Sebbene questi indicatori aiutino le imprese a tenere sotto controllo la capacità dei fornitori di partecipare alla generazione del valore, non sono sufficienti a garantire il controllo sul rischio di interruzione del processo primario e sulla compliance alle pratiche sostenibili. Per esempio, aziende con un vendor rating calcolato su queste dimensioni alto potrebbero avere un impatto ambientale e sociale importante, ma una governance aziendale meno attenta e integra, marginalità più risicate e un maggiore rischio di default – ha affermato Perona -. Serve quindi un modo diverso, più articolato, di valutare i fornitori, che parta da un set ampio di dati quantitativi e oggettivi, che riesca ad aggregare le informazioni raccolte su vari livelli, fino ad arrivare a uno score complessivo che però deve necessariamente tenere conto di tutti e tre i criteri: contribuzione alla generazione di valore, capacità di evitare interruzioni della catena di fornitura e sostenibilità».

A oggi, ha sottolineato il Professore, la raccolta di questi dati si fa ancora con metodi inefficienti, inefficaci e poco controllabili.

Ecco perché una delle sfide per le aziende è lavorare sulle fonti dei dati, nonché scegliere e implementare tecnologie avanzate per raccogliere ed elaborare le informazioni per popolare la piramide che permette la valutazione e la verifica del rispetto delle norme contrattuali e degli SLA. «Tutto questo serve anche per rinegoziare i contratti, confrontare i risultati con gli obiettivi aziendali di business e con le best practice, e di impostare programmi di miglioramento e il ridisegno della filiera, per esempio individuando i fornitori meno performanti».

Adottare un approccio data-driven della valutazione dei fornitori richiede al contempo le capacità di reperire e raccogliere le informazioni necessarie, nonché quelle tecnologiche e organizzative di aggregare progressivamente queste informazioni.

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