I terremoti che hanno colpito il Giappone meridionale in aprile hanno avuto un fortissimo impatto su Toyota, rivelando il “lato oscuro” del modello Lean Manufacturing, e in particolare della gestione della produzione “just in time”. Un modello che “tende” il flusso produttivo e logistico al massimo, ricavandone forti benefici soprattutto in termini di capitale circolante e costi di mantenimento scorte, ma che difficilmente è in grado di assorbire senza danni eventi imprevisti come indisponibilità tecniche o – come in questo caso – catastrofi naturali. Come ha riportato il Wall Street Journal, Toyota ha dovuto fermare 26 linee di assemblaggio dopo che un fornitore chiave di componenti per motori e portiere, Aisin Seiki Corp., è stato costretto dai terremoti a interrompere la produzione.
Anche Honda e Nissan hanno dovuto chiudere singoli impianti per un giorno, scrive il quotidiano, ma Toyota ha perso oltre una settimana di produzione nell’intero Giappone, equivalente a circa 80mila veicoli. E non è la prima volta nel 2016: lo scorso febbraio il colosso automobilistico ha rinunciato a altre 80-90mila vetture per una settimana di stop provocata da un’esplosione nello stabilimento di un fornitore di acciaio.
Negli ultimi anni Toyota ha cercato di ridurre i rischi reclutando più fornitori per ogni componente, e chiedendo ai fornitori di definire processi di produzione alternativi da attivare in caso di emergenza. E questo, scrive il Wall Street Journal, potrebbe averla aiutata a superare questo stop produttivo più rapidamente di altri nel passato.
Ma comunque dover chiudere 26 impianti non è un colpo da poco anche per un colosso come Toyota. Questo caso, ha commentato Guy-Frederic Courtin, principal
Analyst di Constellation Research, interpellato da ZDNet, dimostra che anche una supply chain ottimizzata come quella di Toyota è comunque soggetta a imprevisti naturali, per cui a maggior ragione lo saranno supply chain meno accuratamente gestite. «La lezione per i Supply Chain Manager è che l’esercizio di fare analisi what-if e piani di risk-analysis dev’essere continuo: non è mai eccessivo, ma può sempre essere insufficiente».