L’improvviso sopraggiungere della pandemia ha messo in evidenza le fragilità latenti di molteplici settori, compreso quello della Supply Chain. La necessità di far pervenire velocemente i vaccini da una parte all’altra del globo, la diffusione dell’eCommerce, l’aumento vertiginoso dei costi del trasporto e in generale delle fonti energetiche, la mancanza di disponibilità dei conteiner e il loro intasamento nei porti, la carenza di materie prime e della forza lavoro sono tutti aspetti che uniti insieme hanno innescato una vera e propria crisi della logistica. E se, nel tentativo di riavviarsi verso una normalità, si era creduto di poter superare questa impasse con la fine dell’emergenza sanitaria, a far rimpiombare in uno stato di allerta è arrivata la guerra tra Russia e Ucraina col suo corposo pacchetto di sanzioni, blocchi del commercio e la minaccia incombente di un ulteriore rincaro dei carburanti. Di fronte questo quadro da mesi ci si sta interrogando su quale strategia intraprendere per garantire la sopravvivenza delle catene di approvvigionamento e renderle resilienti, così da essere in grado di far fronte a nuove interruzioni che potrebbero verosimilmente ripresentarsi in uno scenario globale caratterizzato da volatilità, incertezza, complessità e ambiguità, che oggi viene anche ben indicato con l’acronimo inglese VUCA (Volatility, Uncertainty, Complexity, Ambiguity).
La strategia contro la crisi della logistica
Vicina, diversificata e “abbondante”. Si potrebbe definire con questi tre aggettivi l’idea più diffusa di come dovrebbe essere una catena logistica a prova di contesto VUCA, che, tecnicamente, si traduce con reshoring, multisourcing e ampliamento delle scorte.
Per reshoring si intende il processo di rilocalizzazione della produzione aziendale da un paese straniero al paese d’origine. Del rientro è sostenitore anche Marco Perona, professore ordinario presso l’Università di Brescia e direttore scientifico del Laboratorio RISE- Research and Innovation for Smart Enterprises.
Who's Who
Marco Perona
Professore Ordinario di Supply Chain Management presso l'Università degli Studi di Brescia
Perona, in un suo articolo pubblicato sul social media LinkedIn, suggerisce quale soluzione al rincaro delle tariffe del trasporto marittimo, piuttosto che servirsi del trasporto aereo e ferroviario per far muovere per esempio merci dall’Europa alla Cina con tutti i limiti che ciò comporta, di localizzare la produzione più vicina ai mercati di sbocco.
«Le opportunità offerte da molti paesi per investire su tecnologie 4.0 potrebbero agevolare il rientro economico delle realtà produttive, così come il basso costo del lavoro nei paesi vicini al nostro potrebbe favorire la pratica del nearshoring, ossia il trasferimento dell’attività produttiva a un’altra organizzazione che si trova all’interno della propria regione geografica – sottolinea Perona -. Due fattori sono molto importanti in queste scelte di avvicinamento, la stabilità geo-politica e finanziaria dei paesi e la presenza di competenze specializzate nei diversi settori. Se nel breve termine la rilocalizzazione della produzione può comportare un certo impegno, nel lungo termine la possibilità di presentarsi quali fornitori partner più localizzati per creare catene di approvvigionamento resilienti in un clima crescente di tensioni commerciali globali può rivelarsi la strategia vincente». Deloitte si è spinta ancora oltre auspicando un sistema di friendshoring. Secondo la società di consulenza alcune catene di approvvigionamento non possono essere completamente ripristinate perché le risorse critiche sono localizzate solo in alcune località del pianeta, così come l’entità degli investimenti possono essere un fattore limitante: non è escluso, infatti, che replicare a livello nazionale il modello produttivo abbia un valore superiore dell’intera industria globale. Ed è qui che, di fianco al reshoring appare il friendshoring quale rete di fornitori fidati di paesi amici che offrono più percorsi di fornitura indipendenti. Il friendshoring, afferma Deloitte, offre un percorso chiaro per migliorare la resilienza di molti settori chiave, sostenendo nel contempo importanti relazioni internazionali.
Quando si parla, invece, di Multisourcing di fa riferimento alla possibilità di acquistare da uno o più fornitori. Posto che in un caso o nell’altro esistono vantaggi e svantaggi, a fronte di una eventuale riduzione dei costi dovuta alla possibilità di usufruire di un’economia di scala, affidarsi a un unico fornitore espone a una maggiore vulnerabilità dell’offerta e al rischio di interruzione della fornitura. In risposta, in tempi di incertezza, sebbene servirsi di più fornitori aumenti la complessità della catena di approvvigionamento, dall’altro lato ciò consente di acquisire più flessibilità in caso di imprevisti di sistema o difficoltà di qualsiasi fornitore, e anche di evitare il sopravvenire di colli di bottiglia in caso di picchi di domanda da soddisfare.
Just-in-time vs just-in-case
Sino a prima della pandemia, i bassi costi di input delle fonti di approvvigionamento globali e un sistema di transazioni di mercato just-in-time hanno consentito alle aziende di ridurre ulteriormente i costi legati alla gestione di magazzini ampi e sempre riforniti di scorte, rispettando contemporaneamente tempistiche di distribuzioni stringenti. Tuttavia ciò, nel nuovo scenario che si è delineato, comporta un alto grado di rischio: un collegamento interrotto all’interno della catena di approvvigionamento potrebbe portare l’intero sistema a infrangersi. Rendere le catene di approvvigionamento più resilienti richiederà dunque bilanciare costi ed efficienza rispetto al rischio riavvicinandosi a un modello più tradizionale di distribuzione che preveda un maggiore accumulo di scorte per far fronte alle fluttuazioni della domanda in contesti incerti.
La resilienza della Supply Chain passa dalla digitalizzazione
Reshoring della produzione estera, diversificazioni della rete di fornitori e aumento delle scorte di magazzino quindi, come anticipato, sono i tre elementi con cui si può far fronte agli articolati aspetti che determinano la crisi della logistica. Una strategia che è appoggiata anche da Goldman Sachs, secondo cui le aziende statunitensi punterebbero a rapporti scorte/vendite di circa il 5% in più rispetto a prima della pandemia. Tuttavia, non proprio tutti gli esperti del settore sostengono che fare marcia indietro, rinunciando ad alcuni aspetti della conquistata globalizzazione, sia la strada giusta per progettare Supply Chain resilienti.
Una recente ricerca del Fondo Monetario Internazionale, dal titolo già di suo esaustivo “Global trade needs more supply diversity, no less”, afferma che una maggiore diversificazione dei paesi di origine e sostituibilità degli input tra fornitori può ridurre significativamente la resistenza economica dovuta alle interruzioni dell’approvvigionamento. In contesti VUCA, “lo smantellamento delle catene del valore globali non è la risposta. Più diversificazione, non meno, migliora la resilienza”, affermano i ricercatori del FMI rilevando come a seguito di una considerevole contrazione dell’offerta di lavoro (25%) in un unico grande fornitore globale, il prodotto interno lordo per l’economia media scende dello 0,8% sotto la linea di base. Nello scenario ad alta diversificazione, questo calo si riduce di quasi la metà. Inoltre, una maggiore diversificazione riduce anche la volatilità quando più paesi sono colpiti da shock dell’offerta. I ricercatori stimano che la volatilità della crescita economica nel paese medio si riduca di circa il 5% in questo scenario.
Anche secondo Harry Gerard Broadman, International Investment Executive, global business strategist di fama mondiale, professore, autore e giornalista, la risposta al mal funzionamento delle catene di approvvigionamento e dei sistemi di infrastrutture logistiche non può essere risolto creando barriere alla globalizzazione e indirizzandosi più sulla produzione locale, nonché sull’aumento del magazzino e della gestione delle scorte all’interno dell’azienda quali modi per mitigare i rischi. In un articolo apparso su Forbes Broadman afferma che la cura ai problemi che le Supply Chain stanno vivendo risiede nella loro trasformazione digitale. «Alla fine le odierne distorsioni della catena di approvvigionamento globale scompariranno, ma non a causa dell’eliminazione del Covid o perché le catene di approvvigionamento torneranno ai tempi pre-Covid – dice Broadman –. Ciò potrebbe essere accelerato se si procedesse rapidamente all’introduzione dell’AI e della digitalizzazione lungo le catene di approvvigionamento. Tali innovazioni non solo sono capaci di mostrare prontamente agli operatori del settore logistico, e ai loro clienti a entrambe le estremità del sistema, esattamente dove sono gli anelli più deboli della catena ‘reindirizzando’ il traffico, ma aiutano anche a prevenire che le distorsioni si ripetano». Del resto, ricorda Broadman, l’innovazione è sempre stata il motore secolare chiave per la crescita della logistica internazionale. Oggi, scrive, il principale motore della trasformazione verso un sistema automatizzato a livello globale di reti logistiche digitalizzate è costituito dal fatto che i clienti del settore, sia mittenti che destinatari, richiedono sempre più informazioni istantanee sulle loro spedizioni, maggiore velocità nell’invio e nella consegna e minori costi di spedizione. Questo è un segno distintivo della spinta delle nostre economie verso operazioni della catena di approvvigionamento “just-in-time”. Per il settore della logistica, uno dei principali fattori abilitanti della digitalizzazione rapida è l’implementazione dell’Internet delle cose (IoT), dove i dispositivi tradizionali si collegano a Internet e hanno la capacità di inviare e ricevere informazioni. L’IoT consente il rapido scambio di informazioni in tempo reale tra tutte le parti coinvolte lungo una catena di approvvigionamento.