Le soluzioni e le tecniche di Supply Chain Planning (pianificazione della catena di approvvigionamento) sono destinate a ricoprire un ruolo fondamentale nelle imprese che puntano a sviluppare una catena del valore improntata alla resilienza.
Ridimensionamento delle filiere, scarsità di materie prime, maggiore complessità nella gestione dei rapporti con i fornitori e repentini cambiamenti della domanda stanno generando uno scenario estremamente sfidante, per affrontare il quale le aziende dovranno fare affidamento sui Big Data Analytics e sulle competenze dei Supply chain Planner.
D’altra parte, secondo le stime di Verified Market Research il valore del mercato globale delle soluzioni per il Supply Chain Management raddoppierà dai 10,1 miliardi di dollari del 2020 ai 19,3 miliardi del 2028, con un tasso di crescita medio annuale del 9%. A trainare la crescita sarà proprio l’aumento della domanda di software e servizi di gestione e pianificazione della catena di approvvigionamento, indispensabili per raccogliere ed elaborare tutti i dati generati nel business al fine di migliorare le operazioni logistiche.
Tuttavia, questa è solo una proiezione: attualmente, e soprattutto in Italia, la stragrande maggioranza delle aziende deve ancora implementare strumenti avanzati per il Supply Chain Planning al proprio interno, il che costituisce una grave lacuna nell’ottica di massimizzare l’efficienza di molte altre operazioni.
Cos’è il Supply Chain Planning
Il Supply Chain Planning, infatti, coinvolge tutti i processi aziendali. Il suo obiettivo è prevedere l’evoluzione della domanda di prodotti e servizi, in modo da pianificare l’acquisto di materie prime, componenti e forniture, questo approccio tattico ha ricadute sulla produzione, sul marketing, sulla distribuzione e sulla vendita.
Bilanciare domanda e offerta in modo che le opportunità di fatturato siano sfruttate appieno, tempestivamente e al minor costo possibile è tutt’altro che semplice. È necessario far convergere dati, competenze e processi estremamente eterogenei. Anche perché il Supply Chain Planning non si limita a prevedere la domanda, ma prova – laddove possibile – a influenzarla attraverso meccanismi di riduzione di prezzo, sostituzioni di prodotti e promozioni speciali.
Il processo di pianificazione della catena di approvvigionamento inizia, d’altra parte, quasi sempre dall’identificazione di un’ipotesi di domanda, formulata da un team composto da addetti alle vendite, al marketing e alla produzione che mettono a fattor comune dati storici e informazioni di contesto per impostare modelli previsionali coerenti e accurati.
Una volta approvato il piano relativo alla domanda, questo viene tradotto in un piano di produzione che andrà a impattare sulle varie fasi di esecuzione della filiera, che includono la distribuzione e l’evasione degli ordini. Ma tutto naturalmente è vanificato se la Supply Chain non è sintonizzata con i processi che dovrebbero svolgersi a valle della catena del valore.
Senza contare che la progettazione dei processi di ottimizzazione, nell’ottica di migliorare la trasparenza e l’efficacia della pianificazione, deve coinvolgere tutti i livelli decisionali, dall’orientamento strategico all’esecuzione operativa.
Gli elementi operativi alla base del Supply Chain Planning
Nella maggior parte delle aziende che hanno adottato questo approccio, il processo di Supply Chain Planning è ancora eseguito in modo destrutturato.
Solitamente non viene utilizzato un software unificato, sebbene sempre più applicazioni e suite siano progettate per facilitare l’integrazione end-to-end delle soluzioni di gestione della catena di approvvigionamento con altri applicativi, aiutando i responsabili di ciascuna divisione a collaborare.
Il tema dell’integrazione, d’altronde, non riguarda solo gli strumenti e i processi interni. Per sprigionare il massimo potenziale, il Supply Chain Planning deve poter fare leva sui dati dei fornitori e sulle informazioni relative alle reti di approvvigionamento, coinvolgendo il numero maggiore possibile di attori lungo tre direttrici.
Pianificazione vendite e operations
La prima è quella della pianificazione delle vendite e delle operazioni, che implica l’elaborazione di un unico piano attraverso la collaborazione tra area vendite e dipartimenti operativi, come produzione, marketing e approvvigionamento. Il team multidisciplinare inizia raccogliendo informazioni, come previsioni recenti e dati sulle vendite e l’inventario, sviluppa un’ipotesi di domanda e mette a punto un piano di produzione basato sulla capacità produttiva e distributiva disponibile. Il team, quindi, riconcilia la domanda e i calendari di produzione con i vincoli di risorse, a partire da quelle finanziarie, prima di incontrare i dirigenti per apportare eventuali modifiche e ottenere la loro approvazione finale.
Material Requirements Planning (MRP)
La seconda direttrice è quella della pianificazione dei fabbisogni materiali (Material Requirements Planning, MRP). Si tratta di un metodo per calcolare e pianificare le materie prime e i componenti necessari per fabbricare i prodotti potenzialmente richiesti dal mercato. Implica l’inventario dei materiali e dei componenti disponibili, l’identificazione di quelli mancanti e necessari e la pianificazione della produzione o dell’acquisto.
Pianificazione della produzione
C’è, infine, la pianificazione della produzione, con la quale si affrontano i dettagli di fabbricazione, come numero di unità prodotte, componenti necessarie a realizzarle, quali impianti, macchinari ed eventuali partner saranno coinvolti.
La maturità delle aziende italiane in materia di Supply Chain Planning
A livello tecnologico in Italia c’è ancora poca diffusione di strumenti avanzati, con la maggior parte delle imprese che non adotta nemmeno tecnologie disponibili da decenni come MRP, DRP o Advanced Planning e Scheduling e continua a operare in manuale su fogli di calcolo agganciati a dati disponibili localmente.
Secondo gli ultimi dati dell’Osservatorio Supply Chain Planning del Politecnico di Milano, più del 50% non misura le prestazioni in modo sufficientemente completo, ma si limita a valutare indicatori di prestazione tecnica, come puntualità e completezza. Solamente il 30% misura un numero sufficientemente completo di KPI tecnici ed economici in modo da cogliere sia i segnali forti sia i segnali deboli, cioè quelli che possono essere percepiti solo dall’interno dell’organizzazione. Tra questi, il 19% prende in considerazione solamente i problemi più urgenti.
La cultura del dato
È evidente che esiste un gap profondo tra le possibilità oggi offerte dalla tecnologia e dalla conoscenza manageriale codificata e le pratiche reali dalle aziende. A mancare è, in primis, una cultura del dato e del disegno end-to-end del flusso applicativo, insieme a modelli di ottimizzazione ancora limitati a causa della grande complessità di gestione e a una certa resistenza culturale al cambiamento.
Inoltre, il 39% delle grandi imprese ed il 18% delle PMI italiane utilizza di sistemi previsione basati su dati importati dai sistemi transazionali, utilizzando gli algoritmi specializzati al settore dell’azienda o sviluppati localmente. Nel processo di production planning, chi utilizza gli strumenti dedicati scende al 27% delle grandi aziende e addirittura al 6% delle piccole e medie imprese, con il resto del campione che si affida esclusivamente sull’esperienza oppure a fogli di calcolo.
Stressa situazione per la gestione delle scorte: quasi metà delle imprese si affida a fogli di calcolo, un terzo utilizza pacchetti di business intelligence e una piccola quota (11% delle PMI e 22% delle grandi aziende) adotta strumenti più complessi con regole variabili nel tempo per i livelli delle scorte. Tra le grandi imprese, solo il 10% utilizza applicativi di statistica e analisi dati che elaborano informazioni provenienti anche da fonti esterne per simulazione ed ottimizzazione nella scelta dei modelli di gestione e relativi parametri. Circa un quarto delle imprese utilizza fogli di calcolo per la pianificazione dei trasporti, mentre solo una minoranza si affida a strumenti più sofisticati.
Cosa si rischia a produrre senza una pianificazione adeguata
In un mondo caratterizzato dalla volatilità crescente delle materie prime e da gravi interruzioni delle catene di approvvigionamento, il Supply Chain Planning può fare la differenza tra chi riesce a contrastare gli imprevisti e chi invece è costretto a interrompere la produzione. Ma non solo.
Come hanno già sperimentato molte delle aziende attive nel settore manifatturiero, puntare su pratiche evolute di pianificazione della Supply Chain può anche aumentare la produttività della catena del valore. Secondo McKinsey, si parla di un incremento che va dal 10 al 15% nel breve termine, senza aumentare le risorse disponibili o modificare la configurazione generale del ciclo produttivo.
Nel lungo termine, inoltre, le organizzazioni possono ridurre i costi dal 5 al 10% e le emissioni di CO2 dal 10 al 15% a lungo termine, migliorando al contempo la flessibilità operativa e la resilienza alle interruzioni.
Le buone pratiche del Supply Chain Planning secondo McKinsey
Sempre secondo McKinsey, ci sono fondamentalmente tre best practice nella gestione avanzata della catena del valore attraverso il Supply Chain Planning.
La prima è quella che si fonda sulle simulazioni della realtà attraverso modelli matematici basati sui Big Data Analytics, l’ottimizzazione dei processi lungo l’intera filiera e il monitoraggio in tempo reale della situazione attraverso apposite torri di controllo (Control Tower).
Il secondo approccio è quello considerato da McKinsey il più adatto per navigare in scenari competitivi complessi e mutevoli, come quelli che stanno affrontando oggi le imprese. All’ottimizzazione dei processi sono associati cinque step specifici: miglioramento dei flussi di informazioni tra i team, potenziamento della centralità del cliente, superamento del divario tra la pianificazione a lungo termine e le operazioni quotidiane, comprensione dei veri vincoli operativi e utilizzo dei Big Data Analytics per porre domande critiche e ipotizzare scenari “what if”.
Cosa fa un Supply Chain Planner
Come detto, la partita del Supply Chain Planning va affrontata con il gioco di squadra. Ma deve esserci comunque un playmaker, un regista che abbia la possibilità di sviluppare una visione unificata della situazione e di intervenire con tempestività nel momento in cui si registrano colli di bottiglia o si rendono necessari cambi di rotta. È questo il ruolo del Supply Chain Planner (anche detto Demand & Supply Planner, con riferimento alle responsabilità sulle previsioni della domanda).
I compiti quotidiani del Supply Chain Planner, più nello specifico, sono cinque. Si occupa, innanzitutto, che le attività di raccolta dati siano funzionali agli obiettivi definiti: avere accesso a dati precisi e in tempo reale può migliorare il processo decisionale e facilitare i processi sensibili al fattore tempo, come la produzione just-in-time.
Il nodo della Customer Satisfaction
In secondo luogo, controlla che la gestione delle scorte sia ottimale: dati di inventario aggiornati possono consentire una produzione snella e ridurre i costi generali. C’è, poi, il presidio delle operazioni tese a migliorare l’efficienza generale, incluse quelle che limitano lo spreco di materie prime e le scorte in eccesso. Impossibile non citare tutto ciò che riguarda la gestione del ciclo di vita del prodotto, visto che il Demand Planning si basa proprio sull’abilità di allineare lo sviluppo del prodotto con l’effettiva domanda del mercato. E a questo proposito, infine, non va sottovalutato il tema della Customer Satisfaction: tenere traccia del sentiment dei clienti e delle dinamiche della domanda può contribuire a migliorare sensibilmente i modelli previsionali in uso.
State pensando di cambiare o aggiornare il vostro software di Supply Chain Planning? Qui trovate una mini guida che vi aiuterà a scegliere la soluzione più in linea con le esigenze della vostra azienda.