I criteri alla base della metodologia di sviluppo software più diffusa, ovvero l’agile, oggi ispirano anche i modelli organizzativi delle aziende. Il modello della business agility, ad esempio, eredita almeno uno dei concetti cardine del manifesto per lo sviluppo agile del software: rispondere al cambiamento. Sul come farlo, la strada maestra non può prescindere dalla gestione onnicomprensiva e trasversale di dati e processi, indipendentemente dalle applicazioni e dagli ecosistemi da cui prendono origine o con cui si integrano. Se c’è un ambito in cui questa considerazione è evidente è quello della supply chain. Basti pensare all’impatto che ha avuto a fine marzo il blocco del Canale di Suez a opera della portacontainer Ever Given, blocco che ha impedito il transito a 369 navi per quasi una settimana. Un esempio emblematico del ruolo dei trasporti e della logistica a livello globale che le imprese devono tenere a mente, se intendono imprimere una effettiva business agility alla propria realtà. Insieme al tema dei trasporti, l’altra questione fondamentale riguarda la gestione dei dati all’interno della supply chain e dell’operation management. È quanto sostiene Luigi Traverso, Head of Supply Chain Solutions di Intesa, società del Gruppo IBM specializzata in soluzioni innovative per il business.
Come portare la business agility nei trasporti
«Abbiamo assistito a un cambiamento repentino e costante della domanda in relazione all’evoluzione della curva pandemica. Questo non può che avere un impatto importante sui trasporti» dichiara Traverso, che non nasconde come tra le nostre aziende ci sia ancora una scarsa consapevolezza sull’argomento.
Who's Who
Luigi Traverso
Head of Supply Chain Solutions, Intesa (Gruppo IBM)
«In Italia il supply chain management è gestito spesso con strumenti eterogenei, che vanno dal gestionale a sistemi specifici». Non è neppure infrequente il ricorso ai classici file Excel che, di fatto, ancorano la gestione dei trasporti quasi interamente a task manuali. Modalità che potevano reggere «in un’economia più o meno statica dove si conosceva la domanda e si conoscevano i picchi e le curve. Adesso, con i repentini cambiamenti impressi dalla pandemia, non è più possibile» afferma Traverso, aggiungendo che occorrerebbero strumenti digitali efficienti come i TMS (Transportation management system) o come l’intelligenza artificiale per ottimizzare in real time tutta la filiera. Markets and Markets, pur prevedendo una crescita del mercato globale dei TMS dai 7,7 miliardi di dollari del 2020 ai 17,8 miliardi di dollari entro il 2025, non nega che la pandemia abbia avuto un impatto negativo sulla domanda di questa tipologia di software, soprattutto a causa dei periodi di chiusura degli impianti o del loro funzionamento a capacità ridotta. «Dal nostro osservatorio vediamo un grande interesse su questi prodotti, però un TMS o l’intelligenza artificiale hanno dei costi molto elevati e richiedono mesi per l’implementazione, la valutazione di costi-benefici e il calcolo del ROI. Certamente il 2020 è stato però un anno di semina, anche per quelle aziende che, come la grande distribuzione, hanno aumentato le vendite, ma si sono dovute focalizzare sull’emergenza, rivisitando il customer journey e rimandando la parte del trasporto a una fase successiva».
Trusted chain, garantire una catena affidabile e trasparente
Il supply chain management deve fare i conti anche con una mole di dati mai vista in passato. Secondo una recente previsione di IDC, entro il 2025 arriveranno a toccare i 175 zettabyte (uno zettabyte è pari a un trilione di gigabyte). Non solo, perciò, è necessario avere sistemi con cui gestire queste quantità, ma anche la loro molteplicità disomogenea. «Fino a qualche anno bastava trasmettere in maniera efficiente e veloce i dati tra i vari stakeholder, tra un sistema informativo e l’altro per portarli all’interno dei database aziendali. Adesso, oltre a questi dati, ne arrivano moltissimi anche dall’esterno, alcuni dei quali, come quelli climatici, influiscono sulla supply chain. Se un’azienda non è in grado di capire subito che cosa sta accadendo nel mondo, le sole informazioni che venivano scambiate fino a pochi anni fa non sono sufficienti. Per questo ci deve essere una catena della supply chain in cui clienti e fornitori siano affidabili». È il concetto di trusted chain in cui la business agility è garantita attraverso una catena affidabile e trasparente che parta dalle materie prime e arrivi al consumatore finale. Nella trusted chain «livelli di servizio ed eventi devono essere continuamente monitorati, certi e con valenza probatoria, affinché non ci siano anelli deboli in un mondo che è in costante evoluzione» chiarisce Traverso. In pratica, quindi, nella trusted chain «entra in gioco la capacità di un’organizzazione di trasformarsi da mero service provider, che trasmette dati, in una cosiddetta data factory: un’azienda che sa gestire la mole di dati che riesce a intercettare sui propri sistemi».
IoT, blockchain, intelligenza artificiale: le tecnologie abilitanti
A questo servono tecnologie come l’IoT, la blockchain e l’intelligenza artificiale. Quest’ultima, in particolare, «è in grado di prendere un numero di dati elevatissimo e di formato disomogeneo, metterli insieme, esaminarli velocemente, creando quegli indicatori KPI che permettono a un’azienda di capire se si trova in una situazione ottimale o se sta correndo il rischio di compromettere la sua efficienza». Ci sono alcuni settori che manifestano una propensione più accentuata ad accogliere queste tecnologie, quali ad esempio la GDO e l’automotive. Grandi marchi come Walmart e Carrefour, ricorda Traverso, hanno introdotto la blockchain realizzando una trusted chain su alcuni prodotti della filiera. Altri, come il Fashion e il Luxury, nonostante i vantaggi che potrebbero ottenere da un controllo esteso della catena, primo fra tutti il contrasto alla contraffazione, ancora non sono compatti nell’adozione di tecnologie innovative e abilitanti. Eppure «questo è il futuro sul quale si gioca la digitalizzazione» conclude Luigi Traverso, spiegando che è essenziale «sfruttare la capacità di grandi motori, di grandi algoritmi di leggere i dati digitali per offrire un’interpretazione sia immediate sia predittiva di quello che può accadere alla propria supply chain e alle proprie operation». La business agility passa da qui.