RICERCHE E STUDI

Interruzioni della Supply Chain: principali cause e impatti sulla continuità operativa

Calamità naturali e questioni geo-politiche, ma anche problemi di tipo etico, sanitario o ambientale sono solo alcuni degli elementi che potrebbero influire negativamente sulla resilienza del business provocando ripercussioni a livello finanziario e reputazionale. Una ricerca del Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia fa il punto sulle strategie implementate dalle aziende manifatturiere italiane

Pubblicato il 18 Ott 2023

Marco Perona

Professore Ordinario di Supply Chain Management presso l'Università degli Studi di Brescia

Interruzioni Supply Chain

Le interruzioni della Supply Chain possono avere un impatto significativo sulle aziende, mettendo a rischio la continuità operativa e provocando conseguenze negative a livello finanziario, operativo e reputazionale.

Il Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia ha condotto negli scorsi mesi uno studio che, attraverso un questionario, ha permesso di raccogliere dati da 147 aziende manifatturiere operanti in Italia, che a loro volta hanno descritto in dettaglio 261 casi di interruzione delle forniture occorsi negli ultimi 10 anni.

Venendo ad esaminare le causali che hanno provocato le interruzioni intercettate, notiamo (figura 1) la forte dispersione delle motivazioni alla radice di tali eventi. Il 25% delle interruzioni della continuità operativa delle forniture, infatti, è legato ad eventi che si sono manifestati solo una volta in 10 anni nelle aziende del campione quali l’improvviso decesso dell’imprenditore oppure il furto di dati.

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Figura 1 – Ripartizione delle interruzioni rilevate per causale

Le cause meno frequenti

C’è poi una gamma altrettanto ampia di causali con poche ripetizioni. Complessivamente, il coacervo di tutte queste causali poco frequenti spiega circa il 18% delle interruzioni intercettate. Tra le principali:

  • problematiche doganali;
  • calamità naturali (es. inondazioni o terremoti che paralizzano per lungo tempo l’attività produttiva del fornitore);
  • problemi valutari dovuti ad improvvisi differenziali nel valore delle divise in cui si acquista;
  • imprevista modifica di leggi o regolamenti che richiede il cambio di specifiche forniture;
  • problematiche geo-politiche, ad esempio legate alle sanzioni comminate a Paesi che non hanno rispettato il diritto internazionale;
  • mancanza di conformità oppure di specifiche certificazioni concernenti i beni serviti;
  • problemi di tipo etico, sanitario o ambientale.

Molto più importante si è invece dimostrata l’avaria tecnica prolungata degli impianti produttivi dei fornitori, che ha spiegato 29 delle 261 interruzioni monitorate. Ma è il default finanziario dei fornitori a fare la parte del leone, spiegando ben 115 delle 261 interruzioni mappate, pari al 44% del totale.

Un elemento peculiare riguardante le causali di interruzione si apprezza in figura 2, esaminando la ripartizione delle causali (raggruppate tra default finanziario, in colore scuro e le altre causali, in colore chiaro) rispetto alla dimensione aziendale.

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Figura 2 – Frequenza e causali di interruzione in relazione alla dimensione aziendale

Le insidie del default finanziario

Come si vede chiaramente, il tasso di interruzione delle forniture legato al default finanziario dei fornitori (in colore scuro) è molto più uniformemente distribuito in relazione alle dimensioni aziendali rispetto a quello delle altre causali (in colore chiaro). Infatti, le micro imprese hanno un tasso di interruzione per default poco meno che doppio rispetto alle grandi (0,35 vs 0,2), mentre essi differiscono di un fattore 7 per le altre causali (1,06 vs 0,15), mostrando come le grandi aziende siano molto più efficaci di quelle piccole nel tutelarsi dalle altre causali, ma non molto migliori di queste in relazione alla sola causale del default finanziario.

In breve: non tutte le causali d’interruzione sono uguali, visto che il default finanziario dei fornitori emerge come la causale decisamente più importante, spiegando quasi la metà degli eventi rilevati e manifestandosi con frequenza particolarmente elevata soprattutto in quelle aziende medio-grandi che fino ad ora erano parse decisamente quelle meglio strutturate per contrastare questo rischio.

Impatto delle interruzioni della Supply Chain

Dopo avere indagato la frequenza e le causali delle interruzioni di fornitura è interessante analizzare cosa accade nelle aziende che sperimentano uno di questi aventi negativi, e quali impatti si vengano quindi a determinare a causa di essi. La prima conseguenza della perdita di un fornitore è, ovviamente, l’esigenza di trovare un fornitore alternativo.

La figura 3 presenta i 152 casi di interruzione in cui tale variabile è stata compilata: in 44 di questi casi, pari al 29% del totale, non era stato previsto alcun fornitore di backup; in 78 casi (51%) era già disponibile in albo un fornitore alternativo, e nei restanti 30 casi (20%) addirittura più di uno. Come conseguenza, in 58 casi (38%) non è stato necessario ricercare alcun fornitore alternativo; in 44 casi (29%) si è cercato un nuovo fornitore a sostituzione di quello che aveva interrotto le forniture, e in ben 50 casi (33% del totale) si sono ricercati più fornitori sostitutivi.

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La gestione dei fornitori di backup

Ciò che è notevole (e per certi versi controintuitivo) della distribuzione illustrata in figura 3 è che la frequenza con cui le imprese che hanno subito un’interruzione di fornitura ricercano uno o più fornitori sostitutivi non sembra dipendere particolarmente dalla preventiva disponibilità di uno o più fornitori di backup. Infatti, se le imprese prive di un fornitore di backup ne ricercano uno o più nel 66% dei casi, ciò avviene nel 60% dei casi per le aziende che hanno già uno o più fornitori di backup. Evidentemente, le imprese che scelgono di attivare fornitori di backup prima di subire un’interruzione di fornitura si scelgono fornitori che possano sopperire a quelli venuti meno durante un transitorio relativamente breve, ma non in maniera permanente e, quindi, hanno comunque bisogno di trovare fornitori alternativi da attivare a regime, con frequenza quasi uguale alle aziende che non si sono premunite prima di tale risorsa.

Figura 3 – Ricerca di nuovi fornitori in relazione alla presenza di fornitori di backup

I fattori che incidono sul tempo medio di ripristino

Va anche notato sempre nella tabella di figura 3 che comunque il 34% delle aziende che subiscono una interruzione di fornitura mentre sono prive di backup non ha bisogno di trovare fornitori alternativi, una evidenza che ci mostra come in più di un terzo dei casi si possano trovare alternative non di fornitura ma di tipo tecnico, ad esempio sostituendo le forniture venute meno con altre che sono rimaste disponibili.

Naturalmente, trovare un fornitore alternativo, o comunque anche una soluzione tecnica alternativa, e ritornare a regime richiede del tempo. Se non è necessario trovare un fornitore alternativo ciò avviene in media in 7 settimane; nel caso sia necessario un solo fornitore alternativo si impiegano in media 10 settimane, mentre nel caso di ricerca di più fornitori alternativi il tempo impiegato è di 15 settimane.

Un’altra evidenza empirica non meno interessante è quella illustrata in figura 4, che mostra la variazione del tempo medio necessario per ritornare a regime in relazione al tipo di relazione interrotta ed al tipo di articolo che veniva fornito. Come ci si poteva attendere, è più facile rimediare all’interruzione di una relazione di forniture recente (di breve termine) piuttosto che ad una più consolidata (di lungo termine).

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Figura 4 – Tempo medio per ritornare a regime in relazione al tipo di relazione interrotta ed al tipo di articolo fornito

Allo stesso modo, si vede che per articoli standard il tempo di rientro a regime è molto breve ed anche più costante che per le classi degli articoli custom (articoli a disegno prodotti con macchinari ed utensili standard) e speciali (articoli a disegno prodotti con macchinari, utensili o attrezzature specifici).

Naturalmente, per ritornare a regime dopo una interruzione di fornitura non serve solo del tempo, ma occorre anche fare degli investimenti, necessari ad esempio per trovare, valutare e scegliere un fornitore alternativo, certificarne i prodotti ed i processi, fare ramp-up della produzione, rimettere a regime la logistica inbound, etc.

L’investimento medio è pari a poco più di 7.000 euro, ma poiché circa il 28% dei casi non richiedono investimenti, la media dei casi non-zero è pari a più di 10.000 euro. Va anche sottolineato che il worst-case registrato si aggira intorno ai 60.000 euro.

Le aziende che hanno documentato le proprie interruzioni di fornitura hanno anche indicato come passare a materiali alternativi oppure a fornitori alternativi non richieda solo del tempo e degli investimenti: infatti tipicamente i nuovi fornitori selezionati per sostituire quelli che hanno interrotto le proprie forniture mostrano prestazioni operative inferiori a quelli venuti meno. La tabella in figura 5 esplicita le evidenze empiriche raccolte a questo proposito.

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Figura 5 – Peggioramento delle prestazioni operative dei fornitori sostitutivi vs. quelli venuti meno

Come si vede, in 63 casi su 156 risposte (40%) viene indicato un prezzo d’acquisto mediamente superiore del 12%; in 34 (22%) un aumento medio del 7% della difettosità in ingresso; in 77 su 139 (55%) un aumento delle scorte in ingresso pari, in media, a 23 giorni di copertura e infine in 24 casi su 156 (15%) un accorciamento dei termini di pagamento pari a 33 giorni, determinando un aumento del cash-to-cash time complessivo di 56 giorni, pari quasi a 2 mesi.

Leggendo tra le righe dei numeri in tabella si noterà che il delta minimo indicato per il prezzo d’acquisto è addirittura migliorativo del 9%. Evidentemente non tutto il male viene per nuocere… Tuttavia ciò che preoccupa particolarmente sono le variazioni massime, decisamente importanti: raddoppio del prezzo d’acquisto; aumento di 1/3 della difettosità inbound; conseguente necessità di mantenere 60 giorni di scorte inbound in più, in corrispondenza ad un accorciamento dei termini di pagamento pari a 60 giorni, con un conseguente aumento del cash-to-cash time di 120 giorni (4 mesi!).

Valutare attentamente i costi opportunità delle alternative possibili

Infine, l’ultima conseguenza della perdita di fornitori che emerge dalle risposte raccolte dal nostro campione deriva dall’esigenza, durante il transitorio, di congelare la produzione e la distribuzione di quei prodotti e servizi che richiedono necessariamente proprio le forniture venute meno. Tale esigenza a propria volta potrebbe infatti determinare dei costi opportunità legati alla decisione dei clienti impattati di cancellare l’ordine, o addirittura di rivolgersi, una volta e per sempre, ad altri fornitori.

La tabella in figura 6 esplicita i risultati empirici raccolti con riferimento a tale fenomeno. Circa 1/3 delle aziende rispondenti ha sperimentato la perdita degli ordini in essere in quel momento. In media questo è avvenuto per il 14% degli ordini in essere, mentre nel caso peggiore ha riguardato la metà degli ordini a portafoglio che erano impattati dalle forniture interrotte. Inoltre, circa il 16% dei rispondenti ha dichiarato di avere perso i clienti a causa delle interruzioni di fornitura sperimentate: ciò in media è capitato per il 15% dei clienti impattati, ma nuovamente nel caso peggiore ha riguardato la metà di essi.

Figura 6 – Principali conseguenze delle interruzioni di fornitura

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