In poche funzioni come in quella del Procurement vale la massima che la tecnologia digitale abilita il cambiamento. Ma perché questo avvenga servono prima di ogni altra cosa le competenze e la volontà delle persone. Si possono infatti estrapolare dai processi di acquisto digitalizzati enormi quantità di dati al fine di automatizzare le attività di routine e valorizzare l’iter decisionale con scelte informate, che integrino anche gli input provenienti dal contesto in cui è inserito l’ecosistema dei fornitori. Ma, è la trasformazione culturale e organizzativa ciò che davvero permetterà alle aziende di evolvere in vere data-driven company anche sul fronte del processo procure-to-pay e dell’efficacia delle strategie di spesa.
La buona notizia è che sempre più imprese, dalle società di stampo enterprise alle PMI, ne sono consapevoli e stanno cominciando ad affrontare questo non semplice passaggio anche grazie all’adozione di piattaforme analitiche e programmi formativi ad hoc. «Esistono ormai diversi software, generici e verticali, che sfruttando algoritmi specializzati aiutano a svolgere, attività per attività, analisi puntuali in grado di estrarre valore dal dato grezzo», ha spiegato Luca Flecchia, Project Manager – Data-Driven Innovation di P4I-Partners4Innovation, aprendo i lavori del workshop ‘Come digitalizzare il procurement e creare un’organizzazione data-driven’, che si è tenuto a novembre a Milano e che ha visto la partecipazione di un gruppo selezionato di responsabili acquisti e IT manager. «Lo sforzo richiesto oggi è riuscire a evolvere da un tipo di analisi descrittiva, che permette di comprendere cosa è successo in passato per indirizzare meglio le scelte future, a una modalità diagnostica, attraverso la quale si può potenzialmente arrivare a un approccio predictive o – perché no? – prescriptive: raffinando opportunamente le informazioni, le aziende potrebbero addirittura identificare e prevenire le cause dei fattori che generano inefficienza».
Un viaggio instabile, da affrontare partendo dalla fine
Già, ma il punto è sempre lo stesso: come intraprendere questa trasformazione e quali passaggi bisogna affrontare per dare vita e continuità alle dinamiche capaci di sostenere un cambiamento che – è bene accettarlo – non si arresterà mai? «Si tende a immaginare un percorso ideale e lineare, ma non è affatto così. Quello che ci aspetta è un viaggio instabile, ricco di stress e incertezze», ha detto Mario Messuri, Business Director di BravoSolution, società specializzata in soluzioni tecnologiche per il processo di Procurement Source To Pay. «Nel progettare la roadmap ideale della data-driven company conviene partire dalla fine, provando a immaginare l’obiettivo a cui tendiamo in termini di KPI. Solo dopo aver affinato gli indici ipotizzati, validandone i requisiti, si può cominciare a progettare la soluzione finale». Secondo Messuri, solo dopo questa analisi va avviata la fase dedicata all’identificazione e all’adozione delle tecnologie che elaboreranno i dati e supporteranno i processi decisionali. «Per poter poi utilizzare la tecnologia al meglio è fondamentale capire quali dati recepire, privilegiando fonti dati stabili e certificate (es. Infoprovider). È poi altrettanto importante scegliere una soluzione nativamente integrabile con ogni fonte dati (sia interna sia esterna ai sistemi aziendali) per applicare una regola aurea, ovvero non ridigitare quel che è già stato digitalizzato. La soluzione deve inoltre essere corredata di algoritmi di analisi (analytics) evoluti. Tutto ciò fermo restando la definizione chiara degli obiettivi desiderati. Altrimenti si rischia di essere travolti da una valanga di dati ingovernabili e dunque inutili per il business».
Una delle tendenze innescate dai big data, infatti, è quella dell’ipersegmentazione. Messuri ha spiegato che in ambito marketing la conoscenza approfondita delle abitudini delle persone attraverso la profilazione ha sconvolto i vecchi modelli di classificazione dei clienti. «Questo sta generando un riflesso nella supply chain, le cui logiche – anche per effetto dell’e-procurement – rispecchiano sempre di più quelle del commerce B2C. In azienda le informazioni non mancano, ma segmentare i fornitori presenta maggiori difficoltà: rispetto al mondo consumer le tracce sono minori e vanno correlate lungo tutto la filiera. Per questo oltre alla tecnologia sono indispensabili esperienza, organizzazione e competenze per intercettare e tracciare le informazioni di valore».
La parola alle aziende: il cambiamento culturale è tutto
Lo sanno bene in Fastweb, dove diventare una data-driven company significa innanzitutto coinvolgere tutte le persone che in azienda sono impattate dal processo di acquisto. «Impieghiamo molte energie per far comprendere a tutti l’importanza di trasformare l’approccio al lavoro», dichiara Andrea Pelizzi, Purchasing Professional della Società. «Raccogliendo gli spunti dei nostri collaboratori, ci siamo resi conto che le persone spesso sono impressionate più dal change management che non dai benefici per il “modo di lavorare” che l’introduzione di una nuova tecnologia può portare, tecnologia che comunque rappresenta solo una piccola parte del cambiamento».
«Bene Assicurazioni nasce digitale e ci stiamo preparando all’analisi dei dati nel modo migliore possibile», ha detto Leonardo Marino, Project Manager dei Sistemi informativi della neonata compagnia assicurativa, già completamente paperless. «In un mondo come quello attuale delle assicurazioni molto tradizionale e lento, questo approccio ci permetterà di guadagnare rapidamente terreno rispetto a competitor più grandi».
Ci sono invece aziende che per storia, cultura imprenditoriale o complessità organizzativa sono ancora nel pieno del guado. Giuseppe Dazzi, Production Director, NSG Factory, ha sottolineato la difficoltà di dover superare, nelle grandi come nelle piccole aziende, le procedure basate su uno degli strumenti più diffusi per raccogliere e condividere informazioni: Excel, le cui personalizzazioni tendono a creare colli di bottiglia nel momento in cui vengono introdotti nuovi task o cambiano amministratori e utenti di sistema. “Intraprendere la strada della semplificazione e affrontare la trasformazione digitale vuol dire costruire qualcosa che superi la propria permanenza all’interno dell’organizzazione. Le nuove piattaforme di procurement devono essere così usabili e intuitive da riuscire a sopravvivere ai cambiamenti e alle persone”, ha detto Dazzi.
Per Saipem invece è importante individuare le giuste fonti di dati. Sergio Corti, Onshore Procurement Systems, Methodologies, Reporting and Control Manager di Saipem, ha parlato di ‘continuous improvement’ all’interno di un processo molto strutturato per la complessità dell’azienda e per rispettare le tematiche di governance e compliance dei processi. «Di dati ne abbiamo in abbondanza. Diventa quindi critico da parte dei diversi interlocutori interni saper identificare selettivamente quali sono le reali aree di interesse e le variabili da tenere primariamente sotto controllo. Nel settore in cui operiamo, quello Oil & Gas, la digitalizzazione costituirà un fattore competitivo importante, ma bisogna capire qual è il valore che la tecnologia può sviluppare sul business a fronte dei costi di investimento che richiede.
In definitiva, per cogliere i vantaggi offerti dalla digitalizzazione e introdurre nuove modalità di utilizzo dei dati bisogna lavorare più sul piano organizzativo che su quello tecnologico. La strada è segnata, ma siamo solo all’inizio.