La parola automazione, si sa, da qualche tempo a questa parte viene considerata una vox media. Se da una parte le organizzazioni guardano con sempre maggiore interesse alla possibilità di sfruttare la tecnologia digitale per assegnare le operazioni ripetitive alle macchine liberando risorse umane per i processi ad alto valore aggiunto, dall’altra è innegabile che venga avvertito come sempre più concreto il rischio che si perdano milioni di posti di lavoro. La questione è rilevante anche per chi si occupa di Procurement. A supporto di attività di respiro strategico che non possono prescindere dall’apporto umano, ci sono moltissime funzioni che possono essere – e in alcuni casi stanno già venendo – automatizzate, snellendo le procedure e accelerando il raggiungimento dei risultati di business a vantaggio della qualità delle performance. In questo scenario dove si può individuare il punto di equilibrio? Un report McKinsey Global Institute prova a fare luce sugli elementi che contraddistingueranno la velocità di adozione dell’automazione, evidenziando potenzialità e criticità. Innanzitutto ci sono cinque fattori che determineranno il successo di questo approccio: fattibilità tecnica, costi di sviluppo e rilascio delle soluzioni, dinamiche del mercato del lavoro, effettivi benefici economici, ricezione sul piano sociale e regolatorio.
Posto che nessuna professione, nemmeno quella più specializzata, può dirsi al sicuro (il report menziona la diagnosi di un raro caso di leucemia elaborata in dieci minuti da IBM Watson, che ha beffato decine di medici incapaci per mesi di giungere a una conclusione), è comunque possibile circoscrivere numericamente il potenziale di questa trasformazione: meno del 5% delle occupazioni oggi, a livello globale, può essere completamente sostituita dalle macchine. Però il 60% delle occupazioni comporta attività che almeno nel 30% dei casi sono automatizzabili. E quasi metà dei task ha le caratteristiche giuste per essere gestita senza il contributo umano sfruttando le tecnologie già disponibili sul mercato. Si parla quindi di 1,2 miliardi di lavoratori e di circa 14,6 trilioni di dollari di compensi.
Le macchine non riescono a negoziare i contratti, ancora
Rispetto all’area Procurement, le attività più facilmente automatizzabili sono quelle di raccolta ed elaborazione dei dati, mentre, come intuibile, pianificazione e processi decisionali offrono ancora enormi margini d’azione per l’intervento umano. Bisogna quindi comprendere in che misura si può bilanciare l’introduzione di nuovi strumenti con la valorizzazione delle competenze delle risorse. Per esempio l’attività di entry-level che oggi svolge un analista della Supply Chain, che si limita a raccogliere i dati prodotti dalla filiera e a suggerire miglioramenti per la negoziazione dei contratti con i fornitori, secondo McKinsey potrebbe svolta da un software anziché da una persona. Mentre la negoziazione stessa dei contratti, che richiede soft skill – per il momento – sconosciute alle macchine, è ancora appannaggio dei collaboratori in carne e ossa. Naturalmente queste considerazioni vanno poi contestualizzate in scenari che tengano presente di diversi fattori, a partire dalla localizzazione dell’attività (Paesi caratterizzati da un’imponente forza lavoro e da economie avanzate hanno un potenziale maggiore rispetto all’automazione spinta). Ma le cose potranno cambiare di mercato in mercato anche a seconda della forza della domanda in determinati settori o del grado di accettazione sociale di robot e artificial intelligence. Comunque vadano le cose, McKinsey nota che la familiarità con la tecnologia e la capacità di lavorare insieme alle macchine – accanto allo sviluppo di spiccate doti di intelligenza emozionale e sociale – saranno due fattori chiave per sopravvivere in un mondo sempre più automatizzato.