Le scorse settimana il Parlamento ha approvato il correttivo del Codice dei Contratti Pubblici. Anche in questa versione il Codice impedisce alla PA di comprare innovazione digitale. Paola Conio e Luca Gastaldi (foto), dell’Osservatorio Agenda Digitale del Politecnico di Milano hanno affrontato la questione.
No agli affidamenti diretti sotto la soglia dei 40 mila euro
Sono due le problematiche identificate da Conio e Gastaldi. Innanzitutto c’è quella legata alla formulazione correttiva approvata dal Consiglio dei Ministri, secondo la quale il divieto di Bruxelles di usare il prezzo come unico elemento di aggiudicazione vale per gli affidamenti tecnologici o innovativi solo al di sopra dei 40 mila euro. Sotto questa soglia si possono usare gli affidamenti diretti, in cui non si va a gara, considerando solo elementi economici o quelli basati sul massimo ribasso, in cui si torna a spremere i fornitori sul prezzo. «I primi più che l’innovazione rischiano di alimentare clientelismo e corruzione. I secondi spingeranno le PA a comprare innovazione “a piccoli tagli”, cedendo all’apparente semplicità del criterio del massimo ribasso e condannando il nostro Paese a un nanismo digitale. «Proponiamo di tornare alla formulazione del codice del 2016 per salvaguardare chi voglia fare innovazione in Italia. Se proprio vogliamo consentire di fare affidamenti diretti sotto i 40 mila euro, l’alternativa deve essere un’offerta economicamente più vantaggiosa basata sul rapporto qualità/prezzo, non sul massimo ribasso», dicono i ricercatori.
Fare chiarezza sulle procedure d’acquisto
Il secondo aspetto riguarda le procedure con cui la PA può acquistare innovazione. L’Europa ha chiesto di introdurre negli ordinamenti giuridici degli Stati membri tre nuove procedure per semplificare e potenziare il Procurement di innovazione: i partenariati per l’innovazione, i nuovi dialoghi competitivi e le procedure competitive con negoziazione. «Per concretizzare questo potenziale, tuttavia, è necessario fare chiarezza su come si possano usare queste procedure. Purtroppo lo schema di decreto correttivo non chiarisce ancora alcuni dei dubbi esistenti sulle modalità operative concrete con le quali debbano essere svolte e, in particolare, su chi (la Commissione giudicatrice o il RUP) debba condurre, per le stazioni appaltanti, le fasi di negoziazione o dialogo». Conio e Gastaldi notano che essendo stata pedissequamente riportata la normativa europea, senza tener conto delle peculiarità della riforma introdotta dal Codice, si pongono numerose problematiche di coordinamento delle diverse norme che danno luogo a gravi incertezze operative. «Occorre fare chiarezza per non dare alibi alla domanda di trincerarsi dietro un immobilismo difensivo e al mercato di evitare di mettere in discussione la propria offerta». La normativa dovrebbe quindi essere portata fino in fondo, pena il perdurare di una situazione di incertezza che danneggia il sistema Paese. Il decreto correttivo non ha messo mano a tali chiarimenti e non mantiene saldamente la rotta verso l’innovazione e l’evoluzione in chiave qualitativa del comparto degli appalti pubblici. La riforma rischia così di aver fallito parte dei propri obiettivi e, forse, proprio quelli più importanti.