La digitalizzazione delle PMI non può più aspettare. Su un totale di 4,4 milioni di aziende presenti oggi in Italia, le piccole e medie imprese, cioè quelle con un numero di addetti compreso fra i 10 e i 249 e un fatturato inferiore ai 50 milioni di euro, rappresentano un pilastro del tessuto economico nazionale. Le circa 220 mila PMI, infatti, contribuiscono a generare il 41% del fatturato nazionale e il 38% del valore aggiunto, oltre a dare lavoro al 33% degli occupati. Gli effetti negativi della crisi pandemica hanno reso ancora più evidente il loro bisogno di innovare processi e strategie, mostrando quanto il digital divide possa nuocere nel rallentarne la crescita, perfino in maniera irreversibile. Ecco perché il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) presentato dal Governo a fine aprile ha deciso di riservare proprio alla digitalizzazione il 27% dei 222,1 miliardi di euro complessivi previsti.
Missione 1, Componente 2 del PNRR
La Missione 1 del Piano si pone esplicitamente l’obiettivo di dare un impulso decisivo al rilancio della competitività e della produttività del sistema Paese. All’interno della Missione 1, la Componente 2 in particolare si focalizza sul rafforzamento del tasso di digitalizzazione, innovazione tecnologica e internazionalizzazione attraverso una serie di interventi tra loro complementari.
«L’Italia – ricorda il PNRR – si posiziona oggi al 25esimo posto in Europa come livello di digitalizzazione (DESI 2020), a causa di vari fattori che includono sia la limitata diffusione di competenze digitali, sia la bassa adozione di tecnologie avanzate, ad esempio le tecnologie cloud. Al tempo stesso, l’Italia ha visto un calo della produttività nell’ultimo ventennio, a fronte della crescita registrata nel resto d’Europa. Uno dei fattori che limitano la crescita di produttività è il basso livello di investimenti in digitalizzazione e innovazione, soprattutto da parte delle piccole e medie imprese che costituiscono la maggior parte del nostro tessuto produttivo». Per uscire da questa impasse, più della metà degli investimenti allocati nella Componente 2, per un valore di 13,97 miliardi, sarà destinato all’incentivazione fiscale del Piano Transizione 4.0, nella speranza che le agevolazioni diano impulso all’implementazione di soluzioni che possano traghettare anche le PMI verso una digitalizzazione compiuta.
La digitalizzazione delle PMI ai tempi del Covid
L’Osservatorio Innovazione Digitale delle PMI, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, ha analizzato recentemente il livello di maturità digitale delle piccole e medie imprese, realizzando un sondaggio in collaborazione con Capterra che ha coinvolto 1038 PMI. Ne è emerso uno spaccato in cui il Covid-19 ha certamente accelerato la scelta obbligata di questa tipologia di azienda a favore delle nuove tecnologie, ma ha anche rivelato che la scelta si è spesso limitata a garantire l’operatività aziendale alla luce dello scenario pandemico, interessando soprattutto l’eCommerce e il lavoro da remoto.
Per quanto riguarda l’eCommerce, l’Osservatorio ha registrato una crescita di oltre il 50% rispetto al periodo antecedente il Coronavirus, crescita che in parte ha colmato il gap che vede le nostre PMI storicamente in ritardo nei confronti delle grandi organizzazioni e delle piccole e medie imprese europee. In prevalenza, si è trattato di un aumento dovuto a una maggiore presenza su piattaforme eCommerce di terze parti con le quali ovviare alle chiusure forzate dei punti vendita fisici. In ogni caso, il canale online tenderà a rimanere uno degli sbocchi di vendita delle PMI anche in futuro, se è vero che 4 su 10 aziende del campione hanno dichiarato che sarà una priorità di investimento nel 2021.
La pandemia ha inoltre incrementato il ricorso al remote working, complici le restrizioni in materia di distanziamento sociale, e l’uso di piattaforme digitali per lo scambio di dati e informazioni aziendali. C’è stata anche un’impennata nei servizi in cloud, la cui fruizione ha visto il 69% delle PMI adoperare quasi esclusivamente servizi software di base e in maniera marginale investire in infrastrutture cloud.
Gli indicatori per misurare la maturità digitale delle PMI
Quello che emerge dall’indagine è che, fatti salvi i due casi citati sopra, la trasformazione digitale non assume ancora per le PMI un valore strategico e di visione sul lungo periodo, ma si concentra su servizi e strumenti operativi. Tanto che il 43% degli intervistati continua a manifestare resistenze nei confronti del digitale. L’Osservatorio ha provato a calcolare il livello di maturità digitale delle PMI adoperando 22 indicatori che fanno riferimento a due dimensioni strettamente connesse tra di loro: la digitalizzazione dei processi primari e di supporto, la cultura digitale dell’azienda. L’esito è una suddivisione del campione in 4 differenti tipologie che corrispondono ad altrettanti approcci al digitale.
Analogico
Il 7% delle PMI considerate gestisce i processi e le attività per lo più in modo manuale. Al loro interno, il 58% non conosce la tecnologia ERP e il 71% ritiene il digitale troppo costoso o non adatto al proprio settore.
Timido
Comprende il 40% delle PMI e include quelle che hanno cominciato a digitalizzare alcuni processi perché spinti da una normativa, come nel caso della fatturazione elettronica, o da sollecitazioni esterne quale ad esempio l’emergenza pandemica.
Convinto
Ne fa parte il 44% delle piccole e medie imprese. Questo gruppo si distingue dai due precedenti perché, oltre ad aver digitalizzato alcuni processi, le imprese che lo rappresentano mostrano un approccio strategico nei confronti del digitale.
Avanzato
È il 9% degli intervistati, dominato da un buon livello di competenza su temi come i Big Data, oltre che da una apertura verso i mercati globali più marcata rispetto agli altri cluster.
I vantaggi della digitalizzazione per le PMI
Le PMI più digitali sono anche quelle che hanno performance di business migliori? Se con digitalizzazione si intende l’insieme di cultura e processi la risposta è sì. L’Osservatorio infatti ha svolto un’analisi econometrica per valutare gli effetti della digital transformation sui bilanci aziendali. In base ai suoi calcoli, le PMI più avanti dal punto di vista digitale registrano un utile netto maggiore del 28% rispetto alle altre, un margine di profitto più alto del 18%, un valore aggiunto migliore dell’11% e un Ebitda superiore dell’11%.
Inoltre, sono le stesse che durante il primo lockdown del 2020, tra marzo e maggio, hanno subito minori rallentamenti nell’operatività aziendale, dimostrando una capacità di resilienza che le ha aiutate ad affrontare meglio la fase emergenziale più critica. Se ne ricava che un’ottimizzazione della dimensione digitale delle PMI incide sulla loro produttività, sulla loro crescita dimensionale e, in generale, sulla prosperità dell’intera nazione. Non a caso le stime del Governo contenute nel PNRR prefigurano che gli investimenti sulle varie misure, tra cui digitale e PMI, dovrebbero far incrementare il Pil di 3,6 punti percentuali nel 2026, l’anno di conclusione del Piano, con un aumento dell’occupazione pari a circa il 3%. Tra gli indicatori che dovrebbero invertire la tendenza, il Piano punta ad appianare i divari regionali e a rendere i tassi di occupazione femminile e giovanile più alti di quelli attuali.
Come digitalizzare una piccola e media impresa
Alla luce dei benefici che una maggiore maturità digitale porterebbe alle PMI, l’Osservatorio propone alcune indicazioni volte a favorire un reale cambio di passo.
Anzitutto, viene sottolineato il parere positivo sugli investimenti previsti dal PNRR, in particolare in merito alle misure dirette alla digitalizzazione della pubblica amministrazione, al potenziamento della banda larga e della connettività e al miglioramento dell’accesso al credito delle imprese, PMI in primis. Sul fronte degli incentivi per la digitalizzazione dei processi, poi, la volontà di estendere il Piano Transizione 4.0 ad altri settori e processi aziendali, oltre a quelli dei comparti produttivi e manifatturieri, va nella giusta direzione. Con l’avvertenza di monitorare i reali effetti degli incentivi anche su questi altri segmenti, visto che i risultati del primo trimestre 2020 confermano i benefici ottenuti prevalentemente in ambito manifatturiero.
In secondo luogo, il tema delle competenze, che il nuovo Piano di Transizione 4.0 affronta attraverso il credito d’imposta per formazione e R&S, è cruciale sia per portare skill specialistiche all’interno delle PMI, sia per promuovere una cultura manageriale in grado di rivedere i processi aziendali tramite un uso intensivo delle tecnologie digitali.
Infine, secondo l’Osservatorio occorre migliorare la conoscenza delle misure da parte degli imprenditori e lavorare per stabilire un rapporto di maggiore fiducia tra Stato e impese. Ben 2 PMI su 3 nell’arco dell’ultimo biennio non hanno usufruito di incentivi pubblici sulla digitalizzazione a causa di mancata conoscenza degli strumenti, scarsa fiducia nelle istituzioni e costi burocratici eccessivi. Forse è giunto il momento di ristabilire un nuovo patto tra comunità economica e pubblica amministrazione.