La definizione di PMI innovativa da parte del Governo nel cosiddetto decreto legge “Investment Compact” del gennaio 2015 è stato salutato come la prosecuzione naturale dell’istituto delle “startup innovative” e relativi incentivi e agevolazioni. L’obiettivo è infatti di continuare a sostenere l’innovazione nelle giovani imprese anche quando queste hanno superato i tre anni dalla fondazione.
Se il concetto ispiratore è pienamente condiviso, però, alcuni aspetti della sua “concretizzazione” fanno sorgere dubbi sul fatto che siano i migliori per ottenere l’obiettivo finale di far sorgere un gran numero di imprese innovative diffuse in tutta Italia e capaci di “fertilizzare” gli ecosistemi di cui sono circondate. Dubbi che in effetti sono confermati dal fatto che al momento le PMI innovative iscritte all’apposito Registro sono 147, molte meno delle migliaia che erano attese.
In un recente articolo su Agenda Digitale Carmelo Cennamo, Assistant Professor dell’Università Bocconi di Milano e docente del corso di Imprenditorialità e Business Planning, si è fatto interprete di alcuni di questi dubbi.
Il primo dei quali riguarda gli stessi criteri che secondo il Ministero dello Sviluppo Economico definiscono una PMI innovativa.
Si lega lo status a requisiti di “possesso” (la PMI deve “avere”….) e non di merito circa la tipologia o processo d’innovazione svolta (la PMI “fa…”; “l’attività di innovazione è volta a…”), sottolinea Cennamo, citando possibili distorsioni come il caso reale in cui una PMI di tre persone di cui uno laureato risulta innovativa, mentre una con 30 persone di cui la maggior parte tecnici altamente specializzati, che produce macchinari di precisione per la lavorazione del legno (coperti da brevetti industriali), e che esporta tecnologia all’estero, non lo è.
«Il problema di vincolare lo status a criteri di possesso è che qualsiasi soglia che venga decisa risulta alla fine arbitraria e lascia inevitabilmente fuori casi meritevoli». La stessa caratteristica di “innovatività” tra l’altro viene determinata da una soglia: la spesa in ricerca e sviluppo deve essere almeno il 3% del fatturato.
Ma l’aspetto forse più preoccupante secondo Cennamo è che la disciplina che definisce startup e PMI e tutta l’architettura di incentivi e agevolazioni non collega la singola realtà beneficiaria con il tessuto economico che la circonda (fornitori, clienti, concorrenti, università ecc…), e non favorisce la contaminazione
«Il modello di open innovation comincia a prender piede anche da noi, e non si capisce perché non si incentivino anche queste forme di innovazione, che potrebbero rappresentare ponti di interconnessioni tra le attività delle startup e le PMI innovative e le realtà già esistenti sul territorio, aiutando le prime a crescere e quest’ultime ad innovare i propri processi o canali distributivi».
Proseguendo nel discorso, l’articolo sviluppa un altro punto importante: non si sta monitorando il beneficio che le misure di agevolazione per startup e PMI innivative stanno portando al territorio e alla competitività dell’intero Paese, e quindi si rischia di essere di fronte a una nuova tipologia di “assistenzialismo statale”. «È giusto drenare risorse da altri impieghi verso queste iniziative senza avere un riscontro dei loro effetti sul territorio? Quando queste iniziative beneficiano di risorse pubbliche sotto forma di incentivi, la domanda su quanto queste siano “utili” al Paese non è solo lecita ma doverosa. La mancanza di un adeguato programma di monitoraggio e studio per comprendere l’impatto di queste politiche rappresenta in tal senso un’anomalia».
Il dubbio principale è che queste misure possano produrre un qualche risultato solo nel breve periodo, soprattutto in termini di quantità, e creare sistemi paralleli, dove il “nuovo” (le startup e PMI innovative) emerge in contrapposizione al “vecchio” (le aziende e PMI tradizionali); sistemi che quindi potrebbero entrare in diretta competizione per risorse scarse e di valore (capitale umano, risorse finanziarie, incentivi fiscali….) in un classico gioco a somma zero anziché creare complementarità tra i due, e liberare più valore all’interno di un contesto win-win.