La crisi economica imperversa e gli eventi sismici di maggio
hanno peggiorato la situazione colpendo un'area
manifatturiera che ricopre un ruolo fondamentale per la nostra
economia. La competitività italiana peggiora dal punto
di vista del prezzo e del costo.
Questi sono alcuni dei punti negativi emersi dallo studio sugli
Scenari Industriali italiani elaborato dal Centro Studi di
Confindustria. L'Italia è scesa dal quinto
all'ottavo posto nella classifica mondiale del
manifatturiero, settore cruciale per l'economia e lo
sviluppo del nostro Paese.
La produzione manifatturiera si muove sempre più verso i Paesi
emergenti o in via di sviluppo e guardando alle percentuali degli
ultimi 5 anni il dato salta clamorosamente all'occhio: Cina,
India e Indonesia sono passate da una quota di mercato del 18 %
ad un 26,7%.
In particolare la Cina negli ultimi tre anni è in vetta alla
classifica e sta cercando di ottenere le materie prime necessarie
a mantenere il primato agendo con investimenti diretti
all'estero e con contratti sulle materie prime.
Nello stesso quinquennio l'Italia è passata dal 4,5% al 3,3%
anche se il dato consolante è che hanno perso quota tutti i
Paesi con cui il nostro Paese è solitamente in competizione come
gli USA e le nazioni europee.
Il crollo della domanda e la selezione delle
imprese
Dal 2008 in Italia è in corso una fase di caduta della domanda
sempre più crescente. Questo ha accelerato il processo di
selezione delle imprese e sta restringendo la base produttiva con
tutti gli effetti drammatici che questo fenomeno ha sulle piccole
imprese specialmente a conduzione familiare.
Risulta sempre più evidente come le imprese che sono riuscite a
trasformarsi in questi anni nonostante la crisi riescano a
reggere maggiormente i cambiamenti esterni utilizzando una
maggiore complessità nella gestione.
Risulta altrettanto evidente che quelle incapaci di questo salto
culturale e organizzativo sono costrette a chiudere. Il dato che
riguarda quest'ultima categoria è allarmante: negli
ultimi 10 anni le imprese che non si sono mosse dalla propria
organizzazione e struttura sono tra il 44% e il 64%.
I finanziamenti
La capacità di autofinanziamento delle imprese è ormai ridotta
all'osso e sono sempre in maggior numero le aziende che
ricorrono a finanziamenti da fonti esterne per poter avere
capitale circolante. Questo ciclo è molto pericoloso perché le
imprese hanno sempre più bisogno di capitale da investire a
causa del rincaro delle materie prime. Le aziende italiane
richiedono i finanziamenti per poter produrre e non per poter
investire.
Da dove ripartire
In Italia non mancano certamente i fattori positivi, seppur meno
evidenti della pesante recessione in atto. Se la competitività
è calata è anche vero che la specializzazione merceologica
abbia dato buoni frutti, ad esempio i prodotti con maggior
intensità tecnologica sono passati dal 60,8% al 66,9%.
È dunque necessario investire pesantemente
nell'innovazione tecnologica che sul lungo periodo è un
fattore determinante per la crescita produttiva.
Purtroppo il dato che emerge dalla ricerca di Confindustria in
merito alla nostra attuale capacità di innovare non è
consolante: il numero di brevetti per abitante in Italia è meno
della metà di quello tedesco.
L'Italia ha ancora la possibilità di ripartire e
deve farlo proprio dall'industria manifatturiera
d'eccellenza che possiede. Occorre un rinnovamento
del ruolo della politica industriale che deve concentrare
maggiormente la propria attenzione sul potenziamento delle
politiche per identificare e promuovere nuovi modelli
organizzativi.
Il Centro Studi di Confindustria conclude l'analisi
ricordando che sia nei Paesi sviluppati che nei Paesi emergenti
chi ha avuto una visione d'insieme chiara e ha voluto
perseguire una politica coerente e di lungo termine è riuscito a
dominare il mercato.