Le imprese della componentistica auto in Italia investono in tecnologie Industria 4.0 più della media nazionale, ma finora hanno utilizzato poco il Piano Calenda, perché conoscono poco le soluzioni e gll incentivi disponibili. È uno dei molti responsi del ricco report 2018 dell’Osservatorio sulla componentistica italiana, presentato pochi giorni fa e realizzato da ANFIA (Associazione Nazionale Filiera Industria Automobilistica), Center for Automotive and Mobility Innovation (CAMI) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, e Camera di commercio di Torino.
In tutto il settore della componentistica auto in Italia conta 2190 operatori e un fatturato 2017 di 46,5 miliardi di euro riconducibili al settore auto (+6,9% rispetto al 2016), con oltre 156mila addetti (+1,3%).
Il 74% delle imprese del settore esporta, e i mercati di riferimento sono quelli più vicini: Germania, Francia, Polonia, Spagna e Regno Unito. Solo il 4% fa business in Nord America e il 3% nell’Asia/Pacifico. L’export del comparto ha superato i 21 miliardi di euro (+6%), ed è in accelerazione anche nel primo semestre 2018 (+7,8%), così come gli ordinativi esteri (+5,6%).
Per ragioni storiche ben conosciute, una parte consistente dei produttori di componentistica auto italiana si concentra in Piemonte (40% del fatturato di settore). I dati dell’Osservatorio evidenziano la dipendenza del settore da Fiat Chrysler Automobiles (FCA), addirittura aumentata negli ultimi anni a causa dei buoni risultati del gruppo italo-americano. Tre imprese del settore su 4 hanno infatti FCA come cliente, la quota di fatturato settoriale generato dal business con FCA è del 42% (era il 37% nel 2016). E per il 41% dei componentisti in Italia il cliente FCA rappresenta oltre la metà del fatturato.
L’Osservatorio si basa su su 467 questionari (partecipanti diretti all’indagine) e sull’analisi dei bilanci di tutti i 2190 operatori del settore, che comprende integratori di sistemi e fornitori di moduli (ai vertici della catena di fornitura, con stabilimenti collocati in prossimità del costruttore), specialisti “puri” (produttori di componenti ad alta innovazione, tra cui telematica e infomobilità), specialisti in motorsport, specialisti in aftermarket, subfornitori di parti, componenti e lavorazioni, e attività di E&D (engineering e design).
Per quanto riguarda l’area ricerca e sviluppo, l’Osservatorio rileva una diminuzione di operatori che hanno introdotto innovazioni di prodotto (56% rispetto al 58% del 2017), ma un aumento della quota di imprese che realizza tali innovazioni tramite processi collaborativi oltre i confini dell’impresa, con un netto calo dell’innovazione prodotta “in casa”.
I forti cambiamenti nell’approccio alla mobilità delle persone, la crescente rilevanza delle questioni ambientali, e la sempre maggiore sensibilità al tema della sicurezza – spiega l’Osservatorio – sono i principali driver di innovazione nell’automotive, e quindi nella componentistica auto.
Il 31% delle imprese del settore ha partecipato nel triennio 2015-2017 a di progetti ad alto contenuto tecnologico in questi campi: di queste il 60% ha preso parte a progetti su motorizzazioni e powertrain elettrici e ibridi, il 51% su nuovi materiali, il 15% su veicoli connessi (Smart Car) e il 15% sulla guida autonoma (driverless o self-driving car).
«È una filiera che investe poco nella ricerca e sviluppo, con l’intento di seguire piuttosto che anticipare le esigenze del cliente – commenta Francesco Zirpoli, Direttore scientifico del CAMI dell’Università Ca’ Foscari -. Vanno ad esempio potenziati gli investimenti in ricerca e sviluppo nelle nuove tecnologie legate alle propulsioni alternative e all’auto a guida autonoma: sia FCA sia eventuali nuovi player che volessero entrare in Italia necessitano infatti di una filiera propositiva sulle nuove tecnologie, affidabile e flessibile in termini di capacità di sviluppo prodotto e di produzione».
Venendo specificamente al capitolo su Industria 4.0, l’Osservatorio ha cercato di capire se, e in quali aree, le imprese dell’auto stanno investendo nelle tecnologie di digitalizzazione della produzione, chi sono queste imprese, se hanno beneficiato degli incentivi del Piano Industria 4.0 (Piano Calenda), e quali sono i principali rischi e vincoli che possono frenare l’attivazione di iniziative Industria 4.0.
Il primo responso è che, delle 441 imprese che hanno risposto al sondaggio, il 57% ha avviato almeno un’iniziativa Industria 4.0, di cui il 30% all’interno di un piano strategico di implementazione graduale, che in alcuni casi (6%) è priorità strategica aziendale. I dati suggeriscono quindi che non solo le imprese pioniere e innovatrici hanno fatto i primi investimenti, ma anche la maggioranza anticipatrice si sta muovendo, si legge nel report. L’Osservatorio infatti considera come riferimento la ricerca “La diffusione delle imprese 4.0 e le politiche: evidenze 2017” del Ministero dello Sviluppo Economico – che parla di un 35,5%di di medie imprese e un 47% di grandi imprese – concludendo che la componentistica auto ha investito più della media nazionale.
L’identikit dell’impresa 4.0 del settore mostra una realtà di grandi dimensioni, in crescita, che investe molto in R&S, e che si colloca negli strati più alti della piramide di fornitura. Inoltre le aree in cui ricadono gli investimenti Industria 4.0 della componentistica auto sono quelli più tradizionali del manifatturiero: nell’ordine Produzione (39%), Qualità (27%), Logistica (18%) e Manutenzione (14%). Meno del 10% segnala investimenti nel Supply Chain Management, nella gestione risorse umane, e nelle aree Marketing, Vendite e post vendita.
Infine gli ostacoli: i principali rischi e vincoli all’attivazione di iniziative Industria 4.0 sono il costo dell’iniziativa (28% dei rispondenti), la cultura aziendale e capacità di valutazione delle opportunità (17,5%) e la scarsa disponibilità di risorse interne (17,5%).
Seguono poi altri fattori riconducibili alla scarsa conoscenza del mondo 4.0 (soluzioni disponibili, incentivi, possibili partner, comunicazione lungo la filiera) che pesano poco singolarmente ma nel complesso coprono il 56% delle motivazioni di ostacolo all’investimento. Questo aiuta a spiegare lo scarso ricorso al Piano Calenda (solo il 29% delle imprese rispondenti ha sfruttato almeno un incentivo), in controtendenza rispetto al quadro nazionale.
Nel complesso, conclude il report, i dati mostrano un settore dinamico, che guarda con interesse a Industria 4.0 ma in cui come al solito sono le imprese più performanti e innovative a investire di più, e gli incentivi a oggi sono stati utilizzati solo da una minoranza. «Per i policy maker si prospettano attività a sostegno degli investimenti di quella maggioranza ritardataria che vedrebbe con favore un alleggerimento dei costi e un aiuto ad acquisire le necessarie competenze, ma che prima ancora ha bisogno di maggiori informazioni e trasparenza per costruire un piano 4.0, e per capire con quali partner operare».