In un settore decisivo come quello dell’innovazione, fondamentale per la competitività, le aziende italiane mostrano buoni risultati, ma potrebbero fare molto di più. È l’opinione dell’Osservatorio annuale sulle Piccole e medie imprese italiane, promosso dallo studio legale e tributario LS Lexjus Sinacta, che ha presentato un’indagine condotta dall’Istituto Guglielmo Tagliacarne su un campione di 1.150 aziende e riferita al periodo gennaio-dicembre 2013.
Secondo l’indagine esistono tre tipologie di PMI: ad alta (16%), media (52%) e bassa innovazione (31%). Il gruppo delle aziende più innovative, anche in un periodo difficile come quello degli ultimi anni, ha registrato una crescita maggiore rispetto alle altre. L’incremento di fatturato nel triennio 2010-13 ha riguardato il 29% delle aziende di questo gruppo, contro il 15% per le aziende a media innovazione e il 5% per quelle a bassa innovazione. Situazione analoga per quanto riguarda l’occupazione.
Altro dettaglio importante è quello che riguarda l’attività in sinergia con altre imprese. Le aziende che fanno parte di reti rappresentano infatti il 15,3% tra quelle ad elevato contenuto innovativo, contro il 7,4% e il 6,2% tra quelle, a media e bassa innovazione. In generale, al contrario di quanto succede in altri paesi, in Italia la differenza di investimenti fra le PMI e le grandi imprese è minima. Le aziende di minori dimensioni hanno il 49% della fetta degli investimenti contro il 51% delle grandi.
Anche in termini di quota di imprese innovative, il sistema produttivo nazionale si posiziona avanti rispetto alla media dell’Unione Europea: innova il 56,3% delle imprese italiane, incidenza superiore a quella dell’Ue-27, pari al 52,9%. I settori più innovativi sono quelli della meccanica, elettronica e automotive con il 57%, seguiti a stretta distanza da legno e arredo (56,5%). A seguire chimica (46,8%) e tessile, abbigliamento, pelli (43,7%).
Le principali innovazioni introdotte dalle aziende riguardano soprattutto prodotti e servizi (45,2%), processi di produzione (29,2%), attrezzature, software o tecnologie varie (10,6%), sistemi di logistica (6%), marketing, distribuzione, tecniche manageriali, acquisto di brevetti, organizzazione del lavoro (tra 0,9 e 2,3%). A fronte dei risultati raggiunti, l’indagine rileva però bassi investimenti nel capitale umano. Sarà anche per le ridotte dimensioni delle aziende italiane, ma tre imprese su quattro impiegano meno del 4% degli addetti nell’innovazione, e solo il 12% vi dedica il 10% del personale.
Limitati sono anche i capitali investiti. Il 25% di imprese ha introdotto innovazioni investendo però una quota di ricavi inferiore all’1%. E l’8% delle imprese non ha investito nulla. Il 32% ha investito al massimo il 3%, una su cinque arriva al 6%. In Italia, è la conclusione del rapporto, le imprese non perseguono l’innovazione attraverso investimenti in ricerca e sviluppo, ma anche e soprattutto “nella possibilità di acquisire know-how e apparecchiature innovative e nella creatività e capacità inventiva delle PMI del territorio”.
Secondo l’indagine però nella Penisola esiste un ricco tessuto di medie imprese che vanta un potenziale innovativo importante anche confrontandole con i competor continentali. In Italia infatti il 38% delle aziende è considerato innovativo, contro una media europea del 35%. Un dato che cresce se si prende in considerazione il solo settore manifatturiero. In questo caso siamo al 56,3%, contro una media europea del 52,9%.