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9000 PMI chiuse per la crisi, altre 9000 trainano il rilancio

Le realtà italiane tra 5 e 50 milioni di euro hanno perso 120 miliardi di euro e oltre 400mila posti di lavoro tra 2007 e 2013, ma oltre mille sono cresciute in media del 12,4% annuo, e altre 7500 hanno una struttura molto solida e redditi sopra la media. I dati dell’Osservatorio sulla competitività delle PMI della SDA Bocconi

Pubblicato il 16 Lug 2014

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Sappiamo che la crisi economica degli ultimi anni ha avuto effetti devastanti sul sistema delle piccole e medie imprese italiane, ma vedere il concetto espresso in numeri fa comunque impressione: 120 miliardi di euro di fatturato e oltre 400.000 posti di lavoro sono stati persi, e quasi 9000 aziende hanno chiuso i battenti.

Sono i numeri quantificati dalla prima rilevazione dell’Osservatorio sulla competitività delle PMI della SDA Bocconi, che si è concentrato sull’universo delle imprese italiane con fatturato compreso tra 5 e 50 milioni di euro. Nel 2007, in questa fascia di mercato c’erano 55.709 realtà: pur costituendo solo il 6,1% delle imprese italiane, producevano il 39% del PIL e occupavano 2,3 milioni di persone. Ma da allora, il 15,9% (8.841 per la precisione) ha cessato di esistere entro il 2013. La causa principale che ha condotto queste realtà produttive al fallimento o ad altre procedure concorsuali è la mancanza di liquidità, che si può ricondurre a vari fattori, tra loro strettamente intrecciati: la crisi finanziaria internazionale, l’aumento continuo della pressione fiscale, la stagnazione dei consumi, i tempi di pagamento della pubblica amministrazione, e non ultima la politica di concessione dei crediti, sempre più fondata su freddi algoritmi, piuttosto che sulla conoscenza diretta e storica della realtà aziendale.

Chi invece ha resistito registra tassi di crescita lusinghieri: +26% tra il 2007 e la fine del 2012, l’equivalente di una crescita media del 4,8% l’anno, e una sola battuta d’arresto nel 2009 (-5,3%), ma con un 2012 piuttosto debole, caratterizzato da una crescita media dell’1,6% e da una metà della popolazione con crescita negativa. L’indagine evidenzia segni crescenti di tensione finanziaria. L’analisi del rapporto tra posizione finanziaria netta ed EBITDA mostra che le imprese con un’ottima capacità di ripagare il debito (rapporto inferiore a 1,5) sono passate dal 26,7% al 21,3%, mentre quelle in chiara difficoltà finanziaria (rapporto superiore a 7,5) sono cresciute dal 17,1% al 26,3%.

Il periodo di pay-back del debito si è allungato di circa un anno e mezzo, e dopo una riduzione del rapporto debiti/patrimonio netto di quasi mezzo punto (da 2,9 a 2,5) tra il 2007 e il 2008, l’indicatore non si è più mosso in modo significativo, rimanendo pericolosamente alto. Nel 2012, per la prima volta, le PMI hanno ridotto gli investimenti, nel tentativo di ridurre il debito bancario. In compenso l’incidenza degli oneri finanziari è progressivamente diminuita con la riduzione dei tassi d’interesse. «Ma se i tassi d’interesse dovessero tornare ai livelli del 2008 – avverte Federico Visconti, responsabile dell’Osservatorio – il costo in termini di maggiori oneri sul debito salirebbe di circa 3,7 miliardi di euro».

Nel quadro di una redditività complessivamente buona (ROI medio del 7,6% l’anno nel periodo), le PMI che hanno saputo reggere meglio alla crisi sono quelle con una struttura proprietaria più concentrata, mentre le imprese di dimensioni più ridotte (tra i 5 e i 10 milioni di euro di fatturato) si sono dimostrate più redditizie, ma tradiscono una struttura patrimoniale da rafforzare.

La ricerca individua, infine, 1.165 aziende (il 2,5% del totale nella fascia 5-50 milioni) più forti di ogni avversità. Sono le imprese di successo che hanno registrato un tasso di crescita positivo e un ROI sempre superiore alla media nel periodo 2007-2012. Queste aziende sono localizzate soprattutto in Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria, hanno almeno dieci anni di vita, dimensioni superiori alla media, e tassi superiori di internazionalizzazione, innovazione, registrazione di marchi e brevetti.

I settori più rappresentati tra queste PMI di successo sono il commercio all’ingrosso e il manifatturiero (meccanica, alimentari e bevande e chimico-farmaceutico in testa). Il loro tasso di crescita medio nel periodo è stato del 12,4% (circa due volte e mezzo quello degli altri) e la redditività operativa sempre doppia rispetto al resto delle PMI. Ci sono poi altre 7500 PMI, che hanno una struttura molto solida e performance reddituali sopra la media, ma ancora non crescono come potrebbero: +2,9% negli ultimi 3 anni. Il messaggio è comunque positivo per il tessuto economico italiano, perché significa che ci sono almeno 9mila PMI che sembrano avere le carte in regola per il rilancio.

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