Che cos’hanno in comune due imprese come Volkswagen e Facebook, la prima con radici che affondano agli inizi del ‘900 (Audi fu fondata nel 1909) e la seconda nata nel 2004, la prima operante nel mondo dell’auto con quasi 650mila dipendenti e la seconda nei social network con 25mila, la prima con ricavi “tradizionali” derivanti dalle vendite dei suoi prodotti e la seconda con un business model basato sul digital advertising?
Hanno in comune il fatto di essere estremamente note, di essere presenti in tutto il mondo o quasi (Facebook è bandita dalla Cina) e di avere un utile netto molto elevato (18,2 miliardi di $ Facebook negli ultimi quattro trimestri e 14,1 Volkswagen).
Ma soprattutto hanno in comune il fatto di essere stata Volkswagen al centro di un grande scandalo – il cosiddetto dieselgate – nel 2015 e di essere ora Facebook nel mezzo della tempesta, dopo l’emergere dell’affaire Cambridge Analytica (50 milioni di utenti statunitensi profilati con l’obiettivo di influenzare le loro scelte elettorali e non solo). Due scandali per certi versi simili, perché hanno scalfito la reputazione di società che godevano di grandissimo prestigio: Volkswagen come emblema stesso della Germania e della forza della sua industria manifatturiera; Facebook come emblema dell’impatto della digitalizzazione non solo sull’economia e sulla finanza ma sull’intera società, sino a far parlare di Mark Zuckerberg come possibile futuro presidente degli Stati Uniti.
Quali le conseguenze? Conosciamo quelle subite da Volkswagen e ci chiediamo quali saranno quelle per Facebook.
In primo luogo l’impatto sul valore di Borsa. Volkswagen perse in poco tempo quasi metà della sua capitalizzazione, con un recupero nel periodo successivo che continua però a risentire dei bassi multipli P/E che il mercato finanziario riconosce alle imprese automobilistiche: essa “vale” ora solo sette volte il suo utile netto (lo stesso accade per Daimler e GM), ovvero poco meno di 100 miliardi di $.
È la stessa cifra che Facebook ha perso in pochi giorni, continuando a godere però di un multiplo molto più elevato: essa “vale” ora [27 marzo 2018] poco meno di 450 miliardi di $, venticinque volte il suo utile netto.
Quali sono state per Volkswagen e quali sono per Facebook le ragioni delle velocissime cadute di valore? Al di là dei giochi speculativi, le paure sono di natura varia: il danno reputazionale, innanzitutto (ma non solo) per il suo potenziale impatto sui clienti; le sanzioni civili e/o penali, per l’impresa e/o i suoi top manager, a fronte dei reati commessi; le class action, ovvero le cause collettive intentate da chi si sente a torto o ragione danneggiato, spesso promosse imprenditorialmente (soprattutto negli Stati Uniti) dai grandi studi legali; i cambiamenti nelle leggi e nella regolamentazione, indotti dagli scandali, con le loro ricadute più o meno profonde anche sui competitori.
Facebook? Qualunque previsione è ovviamente arbitraria, e io farò le mie. Non credo che il danno reputazionale sia destinato a incidere significativamente sul numero di iscritti a Facebook (con l’eccezione forse di un Paese come la Germania ove il tema della privacy è fortemente sentito), mentre qualche problema potrebbe manifestarsi – soprattutto a breve – fra le imprese clienti del digital advertising. Per quanto concerne le sanzioni civili e penali per la violazione della privacy, le normative UE appaiono di più immediata applicazione, ma la cessione dei dati ha riguardato prevalentemente gli Stati Uniti e il Regno Unito (in fase però di uscita dall’UE); negli Stati Uniti in particolare potrebbe essere l’impatto (presunto) dell’uso dei dati sull’esito elettorale, e in particolare sulla vittoria di Trump, molto più che non la semplice violazione della privacy, il motore per accuse più pesanti e per class action di grande portata. Ultima conseguenza, ma con riflessi potenzialmente di grande rilievo per il futuro, potrebbe essere la messa a punto di normative – non solo nell’UE – volte a porre limiti molto più forti all’uso dei dati a scopo di profilazione. Il digital advertising, in questo ipotetico caso estremo, verrebbe a trovarsi in una posizione simile a quella dei motori diesel, con gravi danni non solo per Facebook ma per tutte le imprese – a partire da Alphabet-Google – che hanno nel digital advertising la fonte prevalente dei loro ricavi.