Centro Medico Santagostino e Digital360 sono due medie aziende italiane molto diverse tra loro per ambito di attività (i servizi sanitari privati e i servizi digitali B2B), ma entrambe giovani, innovative e in rapida crescita. In che modo hanno saputo affrontare la pandemia e trasformarsi in questi anni straordinari, segnati da incertezza e imprevisti? Lo hanno raccontato i due founder in un incontro online nell’ambito dell’evento Demand Generation Day: Luca Foresti, fisico, CEO del Centro Medico Santagostino (31 centri, 50 milioni di fatturato 2021, 220 dipendenti e 1300 professionisti), e Andrea Rangone, Presidente co-fondatore di Digital360 (ricavi consolidati pari a 34,4 milioni di euro nel 2021, quotata all’AIM), e docente di strategia al Politecnico di Milano.
L’emergenza del 2020 e l’incertezza: leadership, visione e coraggio
Il primo pensiero va a quei mesi di shock del 2020. «Il 28 di febbraio dovevamo inaugurare un nostro centro in un paesino della bergamasca di nome Nembro – ha raccontato Luca Foresti -. Alla fine, presi la decisione di annullare l’evento. Se avessi fatto quell’inaugurazione sarebbe venuto il sindaco che in quel momento aveva il Covid, insieme al management dell’azienda e avremmo avuto enormi problemi perché Nembro, per un certo momento, fu il paese più colpito al mondo».
Who's Who
Luca Foresti
CEO Centro Medico Santagostino
Foresti ha un’idea molto chiara di come vanno gestite le crisi: «Ci vuole una fenomenale centralizzazione strategica e contestualmente una decentralizzazione operativa. Bisogna che le decisioni vengano largamente accentrate nelle mani di una persona che però tenga il contatto molto stretto con gli altri, in modo poi che le persone, una volta che la decisione è stata presa, siano totalmente libere e autonome nel praticarla. Decisi al tempo di fare una riunione tutte le mattine con tutta l’azienda per aggiornarci costantemente sulla situazione e sui continui DPCM. Erano momenti in cui abbiamo dovuto, noi come tanti altri, mettere in cassa integrazione una parte delle persone che lavoravano con noi, erano momenti in cui non era chiaro cosa bisognava fare per proteggere la salute delle persone. In quei 15 minuti di riunione quotidiana in azienda tutte le persone, dallo stagista al medico potevano farmi domande in modo diretto e questo ha prodotto una grande tranquillità. Siamo andati avanti così per almeno tre mesi».
«La storia di Luca è molto simile a quella che abbiamo attraversato anche noi – ha detto Andrea Rangone, che ha puntualizzato -. Ci sono due tipologie di incertezza: quella endogena, che deriva dalla capacità di manager e imprenditori di scoprire nuovi spazi imprenditoriali, nuovi spazi di business. E l’incertezza esogena, quella indotta da un fenomeno imprevedibile, che non dipende da noi, come lo è stata la crisi sanitaria. Entrambe queste incertezze richiedono visione e coraggio di concretizzare, di passare dalla teoria ai fatti. L’efficacia della reazione dipende molto da questo: visione per andare oltre e coraggio per limitare i danni. Serve guardare oltre, non semplicemente resistere per sopravvivere».
Who's Who
Andrea Rangone
Presidente di Digital360
Certo che le prime settimane furono difficilissime per ogni imprenditore: nessuno poteva nemmeno lontanamente immaginare uno scenario così drammatico. «Improvvisamente il fatturato andò giù: si poneva quindi un problema di cassa, che è la ragione per cui le aziende falliscono. Furono momenti complicati da gestire con i soci e con le banche – ha ricordato Foresti -. La scelta fu quella della trasparenza, cercando di prendere delle decisioni che non lasciavano nessuno indietro. Non abbiamo licenziato nessuno, anzi abbiamo assunto persone che erano in scadenza di contratto non sapendo che cosa sarebbe successo”. L’imprenditore sottolinea che la reputazione di un’azienda è un valore fondamentale: “Volevamo far capire a tutti la nostra ferma intenzione di portare avanti l’azienda qualsiasi cosa fosse accaduta».
I benefici inattesi: collaborazione e innovazione digitale
L’Italia è un Paese molto poco ricettivo all’innovazione digitale, si sa. Ma il Covid ha cambiato il quadro. “Non avrei mai pensato che sarebbe stata una crisi sanitaria di queste proporzioni a rappresentare l’elettroshock culturale che finalmente ha smosso il Paese. La necessità, il fatto di dover lavorare da casa, ha innescato una reazione, spingendo l’innovazione digitale anche per i più inerziali», ha detto Rangone.
«È successo qualcosa di molto interessante – ha raccontato Foresti – i vari dipartimenti, che lavoravano a silos, improvvisamente hanno rotto le barriere e hanno cominciato collaborare molto velocemente, e questo perché avevamo bisogno di fare delle innovazioni in una quantità di tempo che era una frazione rispetto a quella precedente».
Così, si è rapidamente accelerato un processo di innovazione che era già in atto al Santagostino, secondo una filosofia ben precisa che l’imprenditore spiega così: «Un’azienda può essere letta come un insieme di processi, alcuni ambigui e alcuni no, nel senso che si riesce a descriverli sotto forma di un algoritmo: questi devono essere digitalizzati. Si tratta solo di tempo, di sforzo, di soldi, di persone, di trovare i software giusti. I processi ambigui devono essere gestiti da esseri umani, perché se si prova a far gestire da una macchina un processo ambiguo, la quantità di errori e problemi è infinita. Ora, però, l’intelligenza artificiale entra dentro questa dialettica in un modo un po’ particolare: nel tempo i processi ambigui possono essere effettivamente semplificati».
I clienti passano all’online, e non tornano indietro
Per poter lavorare nel distanziamento, Foresti capisce presto che l’unico modo era erogare servizi in modo digitale. Risultato? Il 96% dei pazienti aderisce. «La grande sorpresa l’abbiamo avuta quando il lockdown è finito perché il 65% dei pazienti è rimasto online, si sono abituati alla novità.
Abbiamo immediatamente implementato una nuova strategia: avere dei luoghi fisici dove fare, ad esempio, la psicoterapia, da quel momento non era più necessario. È stata un’opportunità fenomenale, improvvisamente il nostro mercato è diventato l’intera Italia e addirittura l’estero.
Potevamo reclutare psicoterapeuti di tutta Italia e quindi quello che era un problema è diventato immediatamente un’opzione. Chi fa innovazione sa che quando questo accade produce quello che si chiama debito tecnico, cioè ci vuole del tempo per pulire un po’ lo sporco che si è messo sotto al tappeto e quindi nel momento in cui abbiamo poi lavorato alla piattaforma tecnologica di base dell’azienda abbiamo dovuto metterci più tempo e più attenzione».
Anche in Digital360 i cambiamenti sono stati immediati, con risultati molto positivi. «Apparteniamo a quella fortunata categoria di persone e imprenditori di società che in questo tristissimo evento ha avuto un’importante accelerazione dello sviluppo del proprio business, grazie a servizi basati su piattaforme digitali – ha affermato Andrea Rangone -. In passato, per molte aziende B2B le vendite dovevano essere gestite solo attraverso relazioni personali e dovevano avvenire nel loro Paese. L’impossibilità di spostarsi dovuta alla pandemia ha spinto molte di queste imprese a provare cosa significasse realmente non solo comunicare online, ma anche generare opportunità commerciali, lead, attraverso il digitale. Non solo: il distanziamento forzato ha fatto toccare con mano che in realtà si riesce anche a fruire in maniera molto efficace ed efficiente di servizi di consulenza a distanza, che noi chiamiamo consultech. Questo non vuol dire che esiste solo l’online e che si vende solo online o che si fa consulenza solo in remoto; al contrario, vuol dire andare verso un equilibrio intelligente fra cose che si fanno in presenza – anche per il piacere di incontrarsi – e cose che ha fortemente senso per efficacia ed efficienza continuare a fare online».
L’impegno per sostenibilità
Entrambe le aziende sono fortemente impegnate sul fronte della sostenibilità. Digital360 all’inizio dello scorso anno scorso è diventata una Benefit Corporation. «Che non vuol dire diventare no profit – ha spiegato Rangone -. Siamo quotati, fortemente orientati alla creazione di valore economico per i nostri azionisti, ma questo non toglie che si può benissimo associare a questo un obiettivo di creazione di valore più ampio e sociale. Il nostro purpose è stato quello di cercare il più possibile di cavalcare noi e trasferire anche alle altre imprese e alle pubbliche amministrazioni questo ruolo del digitale come potentissima leva concreta per spingere una crescita economica più sostenibile, da una parte, e più inclusiva dall’altra. Un esempio: abbiamo realizzato una partnership con la Caritas proprio per aiutare alcuni giovani più fragili a dotarsi di competenze e di strumenti per l’innovazione digitale».
Al Santagostino c’è molta attenzione ai temi della sostenibilità ambientale, in particolare del consumo delle materie prime. «Sostenibilità per noi vuole dire prima di tutto consumare meno energia nel nostro network, vuole dire non usare la carta e quindi portare in digitale tutto ciò che è digitalizzabile. Nel 2016 siamo arrivati ad avere tutto su cloud, oggi non abbiamo neanche un server in azienda. Abbiamo avuto una fortuna o un’intuizione: prima dello scoppio della guerra abbiamo deciso di sensorizzare ogni singola stanza del nostro network. Oggi da un qualsiasi computer sappiamo temperatura, umidità, rumore, ecc… Abbiamo sensorizzato anche le macchine degli impianti, sappiamo quando sono accese e spente anche da remoto. Questo ci ha permesso di far fronte agli aumenti, che sono circa tre volte i prezzi precedenti, e di gestire in modo migliore il consumo di energia elettrica», ha raccontato Foresti.
«C’è poi la sostenibilità legata alle benessere delle persone e in particolare alle donne, che sono la maggioranza, e l’età media è 31 anni. Su questo abbiamo lavorato tantissimo. La filosofia qui è abbastanza semplice, quasi mainstream: se tu fai star bene le persone, le persone lavoreranno bene; se le persone lavoreranno bene, la produttività in azienda sarà elevata e tutti saranno contenti».
Infine, l’impegno sul territorio.
«Abbiamo sempre cercato, nei nostri investimenti marketing, di fare qualcosa per migliorare i luoghi dove siamo. Quando siamo arrivati a Sesto San Giovanni, la piazza di fronte al nostro centro medico era un po’ degradata e quindi ci siamo recati al Comune e abbiamo proposto un progetto di riqualificazione a spese nostre, lavorando in modo che fosse compatibile con le regole del luogo. L’obiettivo era concretizzare l’idea che il Santagostino arrivando lì aveva prodotto del valore. In definitiva, bisogna trovare un modo per cui il “proprio egoismo” sia totalmente compatibile col miglioramento del mondo».