Editoriale

Amazon “octopus”: nemici e rischi di una strategia tentacolare e bulimica

Dall’eCommerce ai dispositivi elettronici, dalla carta stampata al cloud, dalla logistica ai pagamenti. La strategia di Jeff Bezos, CEO e fondatore dell’azienda, punta a entrare in ogni aspetto della nostra vita con un portafoglio di business sempre più articolato. Che piace molto alla finanza, ma genera critiche e dubbi sul futuro. L’analisi di Umberto Bertelè

Pubblicato il 24 Apr 2018

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Che cos’è Amazon? Un e-retailer o una piattaforma di e-commerce? Un operatore logistico? Un produttore di apparati elettronici (quali Kindle o Eco) e sistemi operativi (quali Alexa o Fire TV)? Un operatore finanziario, nell’ambito dei pagamenti e dei finanziamenti agli utilizzatori delle proprie piattaforme? Un’impresa operante nell’entertainment? Un fornitore di servizi cloud?

Amazon è tutto questo, ma non solo: è da poco entrata con una significativa acquisizione (seguendo la strada tracciata in Cina da Alibaba) nella distribuzione fisica, integrandola con quella online; ha iniziato ad aprire librerie e drugstore, con una concezione sperimentale innovativa; è leader nel lobbying e l’acquisizione dello Washington Post da parte di Jeff Bezos (suo fondatore, CEO e principale azionista) può essere letta in questo quadro; sembra voglia entrare nel digital advertising, in competizione con Alphabet-Google e Facebook, e assumere un ruolo più forte nella finanza.

Is Amazon Going to Rule the World?”, si chiedeva di recente The Wall Street Journal, sottolineando le resistenze che un disegno strategico così “bulimico” potrebbe destare non solo negli Stati Uniti (ove lo scontro con Trump è sempre più evidente) ma in generale nelle aree del mondo ove Amazon vuole assumere posizioni dominanti. E The Economist, qualche tempo addietro, rappresentava Bezos in un disegno caricaturale come un octopus, un polipo con volontà – e progetti concreti di crescita – in tutti gli ambiti delle nostre vite.

Il dubbio che traspare da questi articoli è che una strategia “octopus” rischi di coalizzare un numero sempre più elevato di nemici di Amazon – le imprese a rischio “disruption” piuttosto che gli addetti alla logistica soggetti a una disciplina a loro dire “militare” – e di diventare politicamente indigesta e foriera di misure volte a frenarne la crescita.

Io vorrei guardare le cose anche da un punto di vista meramente economico: può creare problemi la convivenza di business che, ancorchè correlati, hanno caratteristiche ed esigenze spesso lontane fra loro? C’è il rischio che nel medio-lungo periodo le distanze aumentino ulteriormente e che le disergie prevalgano sulle sinergie?

Non è un problema nuovo, come i testi di strategia insegnano, e non è un problema solo di Amazon: Alibaba ha un portafoglio almeno altrettanto articolato e la diversificazione correlata è presente in tutte le altre “grandi del digitale”, spinta dalle comunanze tecnologiche, dalle voglie di integrazione verticale e dai vantaggi di disporre (incrociandoli) di grandi masse di dati.

Un episodio illuminante di qualche giorno fa: Amazon costretta a venire a patti con Best Buy – una delle principali catene commerciali statunitensi divenuta con successo sua concorrente online – per poter disporre di una “vetrina fisica” privilegiata per le smart TV che utilizzano il suo sistema operativo Fire TV, prodotte da Toshiba e con marchio proprio dalla stessa Best Buy.

Uno fra i dubbi sul futuro: potrà Amazon essere allo stesso tempo leader sia nell’ecommerce sia (come vuole diventare) nella logistica? Non c’è il rischio per l’ecommerce di perdere competitività se nasceranno nuovi operatori logistici più efficienti? Non rappresenta un freno alla crescita della logistica il non poter avere come clienti i competitori di Amazon (la ragione che ha spinto ad esempio al divorzio fra PayPal e eBay)?

Sono preoccupazioni però, sia quelle legate alla politica sia le economiche, che almeno per il momento non turbano la Borsa, che a 24 anni dalla nascita – affascinata dai suoi successi – continua a trattare Amazon con i multipli solitamente riservati a una startup. Il 20 aprile la sua capitalizzazione risultava infatti pari a 740 miliardi di $, 340 volte l’utile netto: solo 7 miliardi meno di Alphabet-Google, nonostante un utile (22,5 miliardi) di quest’ultima 10 volte superiore; 160 miliardi meno di Apple, che a quota 902 “valeva” solo 17 volte i suoi 53 miliardi di utile.

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