Metodologie

Composable enterprise: cos’è e perché è il futuro per il business

Creare un’esperienza seamless, senza interruzioni, per i collaboratori e per i clienti mettendo a fattor comune applicazioni e processi significa superare le logiche tradizionali di sviluppo e implementazione del software e puntare su soluzioni Cloud-native. Parla Giulio Roggero, CTO e founder di Mia-Platform

Pubblicato il 20 Mag 2022

Immagine di Photology1971 da Shutterstock

Molte delle aziende alle prese con la Digital Transformation si trovano davanti a un bivio: nell’ottica di abilitare processi, ambienti e sistemi in grado di evolversi rapidamente e coerentemente in funzione delle nuove esigenze di business, devono scegliere se ricorrere a soluzioni di mercato, adattandosi alle logiche del vendor e tutt’al più personalizzando qualche componente, oppure costruirle da zero, puntando su un approccio su misura tout court.

Entrambe le opzioni hanno ovviamente pro e contro. Le soluzioni di mercato, proprio perché standardizzate, tendono a essere percepite – e di fatto lo sono – come più stabili e sicure. Gli investimenti da sostenere per customizzarle sono però generalmente elevati, e comunque non sempre garantiscono piena aderenza alle esigenze dell’impresa. I progetti sartoriali, normalmente, rispondono appieno alle specifiche indicate dagli owner di processo, ma implicano costi di manutenzione e aggiornamento più alti. «La linea di demarcazione però non è così netta. Ci sono diverse sfumature in mezzo, e i problemi di solito cominciano quando si cerca di far dialogare i due mondi. A meno che non si decida di trasformare l’azienda in una composable enterprise» dice Giulio Roggero, CTO e founder di Mia-Platform, tech company specializzata nella realizzazione di soluzioni end-to-end digitali e cloud native.

La composable enterprise, la cui definizione viene da Gartner, è un’organizzazione che favorisce il riuso e la semplicità di comporre e scomporre componenti software modulari per adattare l’architettura IT, i processi e gli strumenti aziendali ai cambiamenti del mercato, combinando dinamicamente le diverse funzionalità di business sviluppate in modo autonomo. «Attenzione però», avverte Roggero, «non è un punto intermedio tra i due approcci sopra descritti, ma rappresenta un nuovo step evolutivo dell’IT governance. Anzi, direi che se quella tra Make or Buy può ormai essere considerata una scelta tattica, puntare a diventare una composable enterprise ha un carattere più strategico, in quanto consente di combinare in maniera dinamica diverse funzionalità di business, anche quando sono state sviluppate in modo autonomo e in tempi differenti. In altre parole il modello, basato sull’utilizzo sistematico delle API e dei microservizi, risponde all’esigenza delle aziende di realizzare applicazioni stabili in modo rapido per rispondere alle esigenze emergenti del business, dei collaboratori e dei clienti a prescindere dal substrato tecnologico. «Semplificando», continua Roggero, «potremmo dire che questo paradigma mette le organizzazioni – soprattutto quelle di grandi dimensioni – nella condizione di considerare qualsiasi scelta di implementazione di ambienti e soluzioni come una sorta di mattoncino Lego da agganciare in modo standard alla piattaforma pre-esistente».

Cosa occorre per dare vita a una composable enterprise

Detta così, l’implementazione di una composable enterprise potrebbe suonare piuttosto semplice. Ma in realtà, oltre a un’evoluzione sul piano tecnologico, presuppone anche un cambiamento radicale del modo in cui le imprese immaginano, progettano e abilitano i processi. «Abbracciando la logica della composizione di una piattaforma estesa, bisogna abbandonare l’idea dei grandi progetti e cominciare a ragionare per singoli prodotti in grado di risolvere specifici problemi, ispirandosi alla metodologia agile con l’obiettivo di generare valore per gli utenti finali», precisa Roggero. «Quali esigenze devo soddisfare? Qual è il customer journey che voglio creare? Che tipo di business voglio supportare? Sono queste le domande da porsi, e le risposte vanno trovate nelle interfacce Northbound (che consentono ai software di collegarsi a componenti di livello superiore o livello funzionale, ndr), a cui si agganciano tramite API le applicazioni deputate a risolvere il problema in oggetto».

L’architettura alla base di una composable enterprise deve consentire alle applicazioni di lavorare in funzione di tre elementi: dati, logiche ed esperienze utente. I dati hanno bisogno di poche presentazioni: sono gli input di base che ormai qualsiasi processo di business e qualsiasi interazione o transazione generano su servizi, prodotti, abitudini e preferenze. Le logiche invece sono appannaggio di chi stabilisce le regole dei sistemi, e determinano il modo cui vengono creati, aggregati e organizzati i dati. Le esperienze utente, infine, indirizzano la creazione dei meccanismi su cui si innesta per l’appunto la user experience offerta, e rappresentano il principale punto d’attenzione rispetto alle capability della piattaforma. «A questo punto, l’azienda dispone delle specifiche per comporre i dataset, tradurre le informazioni all’interno della configurazione della piattaforma e generare i comandi che orchestrano i sistemi sulle logiche di business», aggiunge Roggero. «Tornando all’esempio di prima, combinando dati, logiche ed esperienze utente abbiamo le istruzioni che servono ad assemblare correttamente i mattoncini del nostro Lego».

Flow manager, la soluzione di Mia-Platform per la composable enterprise

Per aiutare le imprese a far convergere tutte queste istanze all’interno del modello composable enterprise, Mia-Platform ha creato Flow manager, un configuratore di flussi logici basato sull’approccio Commands/Orchestration, verso cui i vari microservizi convergono in maniera agnostica, ovvero senza conoscersi tra loro. «Le configurazioni possono essere eseguite sia a livello di codice, sia attraverso file leggibili anche da interfacce utenti adatte a profili non tecnici, sia tramite funzioni visuali, che consentono di aggiungere passi o modificarne l’ordinamento semplicemente spostando degli elementi grafici», dice Roggero. «Naturalmente Flow manager è contraddistinto da più livelli di interazione: le componenti più stabili sono modificabili a livello di codice, e quindi da sviluppatori con profili tecnici, mentre interventi più legati ai processi di business sono accessibili anche a utenti non esperti, in quanto toccano aspetti meno profondi della configurazione. Trattandosi di una soluzione cloud-native, l’orchestratore prevede by design una serie di metriche a cui agganciarsi per valutare l’efficacia dei processi e delle logiche di business da implementare. Non vogliamo però che i nostri clienti si mettano ogni volta a reinventare la ruota: per questo abbiamo dato vita a un marketplace che al momento contiene una cinquantina di elementi preconfigurati che le aziende possono esplorare e utilizzare come base per comporre le proprie soluzioni». Questo consente alle organizzazioni di sviluppare in autonomia a partire da componenti standard e robuste, oltre che contestualizzate per i verticali (dal Fintech all’Healthcare) o ritagliate su specifici processi orizzontali, come per esempio l’onboarding. «Siamo consapevoli che creare da zero le istruzioni per mettere insieme centinaia di mattoncini è estremamente difficile», aggiunge Roggero, «ecco perché ne proponiamo di già precompilate».

Le aziende che puntano a trasformarsi in composable enterprise

A mettere a frutto la soluzione di Mia-Platform ci sono già diverse aziende. Business di settori completamente diversi, ma accomunati dalla medesima necessità: portare a fattor comune dati, sistemi, processi e applicazioni (anche di partner esterni) per offrire esperienze d’uso trasparenti, fluide ed efficaci, con la possibilità di migliorare costantemente l’output.

Nel caso di NeN, prima EnerTech italiana, Flow manager è riuscito per esempio a far interagire la piattaforma CRM dell’azienda con i sistemi di telecontrollo di gas e luce, integrando logiche custom legate ai modelli di business e di onboarding peculiari del gruppo. «In qualità di composable enterprise, ora l’azienda è in grado di definire KPI standard per misurare il grado di interazione tra le varie componenti applicative e per orchestrare efficacemente l’onboarding dei clienti», spiega Roggero.

Allo stesso modo le compagnie assicurative Cattolica e Helvetia sono riuscite a costruire un modello di business omnicanale basato sul consolidamento del portafoglio clienti attraverso la vendita di più polizze gestibili da un unico touch point. «Un processo del genere presuppone la convergenza di applicazioni che tra di loro non si parlano, oltre a una serie di elementi duplicati da portare a fattor comune, senza generare frizioni per l’esperienza d’uso del cliente, che è interessato a tutto fuorché a come sono organizzate in senso funzionale e tecnologico le varie divisioni dell’assicuratore», nota Roggero. «In questi due casi Flow manager va a comporre applicazioni legacy, spesso implementate con logica Make diversi anni fa, e le collega con moderni sistemi di CRM residenti in cloud per dare vita a un’esperienza end-to-end. Ma si tratta solo dell’inizio», chiosa il CTO di Mia-Platform. «Basti pensare alle opportunità offerte dall’Open banking e dalla PSD2 nel settore finanziario: in questo caso la composable enterprise diventa l’elemento cardine per garantire l’interoperabilità tra le applicazioni e i processi su cui sarà possibile innestare partnership anche tra realtà molto diverse».

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