Le esportazioni italiane realizzate attraverso i canali digitali sono aumentate nel 2021 in modo significativo (+15%) sia in ambito B2C, dove rappresentano il 9% dell’export complessivo, sia in ambito B2B con una quota che supera il 28%. Lo evidenzia l’Osservatorio Export Digitale della School of Management del Politecnico di Milano, mettendo però in guardia da un possibile rallentamento nel corso del 2022. Nel 2021 la crescita export digitale è infatti stata trainata dall’eccezionale performance delle esportazioni nazionali che hanno superato i 500 miliardi di euro andando addirittura oltre il livello pre-Covid. Nell’anno in corso l‘export digitale potrebbe però risentire del rallentamento nelle esportazioni nel loro complesso, registrato nel primo semestre, come conseguenza di vari fattori, tra i quali i ritardi nelle catene di approvvigionamento, il forte rincaro delle materie prime e la guerra in corso.
Tuttavia, nel contesto di incertezza internazionale, una possibile riconfigurazione delle attività produttive potrebbe assegnare un ruolo sempre più strategico al digitale sia per aumentare la competitività delle aziende (in particolare le PMI) su nuovi mercati sia per favorire l’incontro tra domanda e offerta.
Nell’export digitale italiano in ambito B2C, risultato attrattivo soprattutto per Stati Uniti, Svizzera, Germania, Francia, Cina e Danimarca, il fashion si conferma il settore di maggior peso (con il 56%), secondo l’analisi dell’Osservatorio. Seguono il food & beverage (con una quota del 14%) e l’arredamento (con il 7%), oltre a un insieme di altri settori che valgono complessivamente il restante 23%.
Per approfittare delle opportunità che si aprono a livello internazionale per l’export digitale italiano, le imprese devono porre particolare attenzione a ottimizzare la user experience online dei loro prodotti e servizi digitali.
Il valore della user experience in un mercato internazionale
Un’azienda che voglia essere protagonista dell’export digitale dovrà per prima cosa comprendere che la user experience deve tener conto della differenza culturale fra paesi e delle diverse abitudini di navigazione e di acquisto. Di conseguenza andrà abbandonata l’idea, assai diffusa, che per essere presente sul mercato internazionale sia sufficiente una semplice trasposizione del sito italiano tramite la traduzione nella lingua del Paese di interesse.
Per realizzare una user experience di qualità è invece indispensabile un’analisi approfondita che, per coinvolgere i clienti in target, sia capace di mettere in luce e valorizzare le differenze rispetto alla versione italiana. Se queste non vengono evidenziate ancor prima del lancio del prodotto digitale, ne può derivare un aumento dei costi di marketing e una strategia commerciale inefficace. Il potenziale cliente, infatti, se non trova soddisfatte le proprie aspettative e rispettate le sue abitudini di navigazione e acquisto, con grande probabilità si scoraggia e abbandona l’esperienza.
Creare il customer journey ottimale con il crowdtesting
Per prevenire i rischi sopra indicati, può risultare particolarmente efficace un’attività preparatoria per creare un dialogo con le user personas in target nel nuovo mercato, con il ricorso a strumenti come digital focus group o interviste one-to-one. L’obiettivo è sia acquisire conoscenza delle loro abitudini sia raccogliere un feedback, attraverso l’interazione con una versione preliminare del sito. «L’aspetto più importante è avere attenzione alla persona vista nel suo complesso, non solo come utente o soggetto noto attraverso gli analytics», suggerisce Benedetto Lamacchia, customer experience expert di Unguess, azienda specializzata nel crowdtesting e nell’ascolto attivo degli utenti attraverso l’uso del crowd.
Who's Who
Benedetto Lamacchia
Customer experience expert di Unguess
L’attività di analisi preliminare è indispensabile per sopperire alla carenza iniziale di conoscenza e di dati di cui l’azienda dispone nell’approccio a un nuovo mercato, a differenza di quanto accade nel mercato domestico di riferimento. Nel mercato internazionale, potrà invece disporre di una quantità sufficiente di dati utili per la customer experience solo quando la strategia sarà stata implementata e il sito già rilasciato. «Ma a quel punto fare modifiche diventerà difficile e costoso. Mentre l’attività preparatoria, fin dalle prime fasi di internazionalizzazione, ha costi inferiori e risultati migliori, riuscendo a intercettare i problemi prima che si manifestino», sottolinea Lamacchia.
Va in questa direzione il supporto di Unguess all’internazionalizzazione delle imprese, realizzato attraverso attività di crowdtesting svolte da persone selezionate all’interno della community in base all’appartenenza geografica e sociale, alle abitudini di consumo, alla categoria merceologica del prodotto, alla loro propensione all’attività online. «Per Unguess, non ci sono limiti al dettaglio con cui identificare la buyer persona» precisa il customer experience expert. «Il limite è solo nella conoscenza del proprio target da parte dell’azienda».
Ottimizzare la user experience, un’attività sempre in progress
Un ulteriore step per costruire una UX ottimale è il localization test che dovrà prevedere una prima verifica dei copy inseriti dal sito originale, così da controllare non solo che siano scritti in modo corretto ma, soprattutto, che siano coerenti con le guideline del brand e con la sua immagine. Sarà necessaria, infine, la verifica dell’impatto generale per capire, ad esempio, se il numero di informazioni e di passi per arrivare allo step finale rispettino le abitudini dell’utente target che potrebbe richiedere più o meno informazioni e tempi più o meno lunghi.
In sintesi, se nel mercato domestico, per ottimizzare la user experience si può partire da un test di usabilità, nell’approccio a un nuovo mercato serve uno studio preliminare con un taglio etnografico, per un’adeguata comprensione del modo di ragionare e comportarsi delle persone, per cui non ci si può esimere da un localization test per verificare la coerenza generale.
Le attività successive al lancio andranno a convergere con quelle svolte per ottimizzare la user experience nel sito domestico. «Tuttavia nei siti rivolti ai mercati internazionali, anche dopo il lancio, si continuano a scoprire aspetti da ottimizzare», nota in conclusione Lamacchia. L’ottimizzazione della user experience è un’attività in progress che il crowdsourcing rende agevole, rapida, e a costi contenuti, anche per i mercati internazionali.