Il convegno

I social? Imprescindibili per fare business. Ma serve una strategia Customer-experience-centric

Alla quarta edizione del Social Media Marketing Day Italia, imprese, associazioni e pubbliche amministrazioni si sono confrontate sugli approcci necessari a cavalcare il nuovo scenario delle piattaforme sociali per offrire ai clienti interazione, servizi e – tramite sistemi integrati di eCommerce – prodotti. L’imperativo: imparare a conoscere il proprio interlocutore

Pubblicato il 27 Giu 2016

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Uno strumento relazionale, di business, di orientamento strategico. In altre parole, indispensabile. In quanti, qualche anno fa, avrebbero potuto prevedere l’incredibile parabola dei social media all’interno delle aziende? Complice il mobile, la crescente superficialità delle modalità di navigazione e fruizione dei contenuti, sempre più estemporanee tra i ritagli di tempo dell’utente, sta rivoluzionando l’equilibrio tra piattaforme, creando nuovi ruoli per i network, i siti Internet tradizionali, le app e l’eCommerce. Scegliere la giusta strategia per inserirsi in questa rete ed essere parte di conversazioni e interazioni che avverrebbero a prescindere è ormai un must per qualsiasi brand.

«Il punto però non è tanto conoscere i trend che si sviluppano sui social media, quanto riuscire a utilizzarli in azienda per impostare decisioni e azioni», spiega Andrea Albanese, CEO di Web Marketing Manager. La società di Albanese è insieme al consorzio Netcomm tra gli organizzatori del Social Media Marketing Day Italia, la cui quarta edizione ha avuto luogo il 22 giugno nella sede del Sole24Ore a Milano.

Nuove regole di ingaggio

La trasformazione raccontata da Albanese e dai suoi ospiti, provenienti dal mondo delle imprese, delle associazioni e della pubblica amministrazione (basti pensare a nomi come Unicredit, Tirrenia, Change.org, Commissione Europea e Confcommercio), è in effetti un mosaico di esperienze estremamente diversificate, da interpretare e declinare sul piano tattico in base al tipo di organizzazione, al contesto in cui opera e alle caratteristiche dei clienti/utenti a cui bisogna rivolgersi. Il messaggio più importante tra quelli trasposti durante il convegno è che è impossibile comunicare o peggio ancora fornire servizi attraverso le piattaforme social se non si conosce approfonditamente la persona dall’altra parte dello schermo. «Occorrerebbe una vera e propria strategia Customer-experience-centric», rilancia Albanese. «Ma se non si identifica il potenziale consumatore, questo tipo di approccio diventa inattuabile. Il problema è che le aziende non sono abituate a studiare chi sono i propri clienti (se non in percentuali minoritarie), e per questo non sanno rispondere alle loro esigenze, specialmente in un contesto mutevole come quello attuale, in cui brand journalism e story telling stanno cambiando le logiche di ingaggio».

L’evoluzione del commercio: verso la disintermediazione

Roberto Liscia, presidente di Netcomm, conferma che «i social media sono diventati fondamentali all’interno del customer journey, orientando e supportando gli acquisti on line. Negli USA l’84% della popolazione controlla le recensioni on line prima di comprare prodotti e servizi, dando vita a un fenomeno di disintermediazione dell’azienda, che ha sempre meno controllo sui propri prodotti, capaci ormai di dialogare in autonomia col pubblico. La prossima frontiera? La trasformazione in marketplace, come sta già succedendo in Cina, dove il 31% degli utenti di Wechat usa la piattaforma social anche per fare acquisti».

Facebook? Un grande magazzino

Del resto Albanese descrive Facebook come un vero e proprio «grande magazzino virtuale, dove gli utenti sono trasformati automaticamente in potenziali clienti che si aggirano in pagine che sono ormai diventate negozi. E i marchi, proprio come succede nella grande distribuzione fisica, per stare dentro il magazzino devono pagare il posizionamento. La differenza sta nel fatto che i commenti degli utenti sono di fatto consigli per gli acquisti. La verità è che stiamo diventando tutti promoter delle nostre aziende preferite».

E gli altri social network? Impossibile non citare la recentissima acquisizione di LinkedIn da parte di Microsoft: con 26 miliardi di dollari, Redmond non è entrata semplicemente in possesso di una community verticale a cui fanno riferimento milioni di opinion leader e decision maker, ma soprattutto – nota Albanese – del più grande e più aggiornato database di aziende e persone esistente sul pianeta. «Per un motivo o per l’altro e nonostante diversi tentativi in ambito Enterprise, Microsoft era sempre rimasta esclusa dall’arena dei social media. Ora invece ha posto una pietra miliare che produrrà importanti effetti già nel breve termine». Se il futuro di Twitter, almeno rispetto a quello che si sa ufficialmente, è ancora avvolto nel mistero, con l’unica certezza, secondo Albanese, «che nessuno si lascerà scappare l’occasione, eventualmente, di acquisirlo», il successo planetario di Snapchat, sotto il profilo del business, difficilmente potrà tradursi in vero valore per i brand nella costruzione di un customer journey efficace.

«Snapchat ha a che fare con la visibilità fine a stessa, ed è per questo che riscuote tanti consensi specialmente tra i più giovani», sottolinea Albanese, che però ammonisce: «Una delle tendenze innescate dall’esplosione dei social network è l’inevitabile metamorfosi del business man, che sarà sempre di più un social business show man».

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