Il passaparola è una pratica che esiste da sempre. Quando dobbiamo comprare qualcosa, cercare un bravo professionista, trovare un bel locale o un buon ristorante dove passare la serata, ci fidiamo, prima di tutto, del consiglio di un amico, o dell’amico dell’amico. Con l’avvento dei social, però, (Linkedin, Facebook, Twitter e Youtube, prima di tutti) il passaparola ha incredibilmente amplificato il suo raggio d’azione e la sua efficacia. Oggi è un’opportunità da non perdere per tutte le aziende, di qualsiasi dimensione e in qualsiasi ambito, e non solo quelle che vendono al consumatore finale, ma anche per chi opera nel B2B.
Per chi non è un nativo digitale e magari porta avanti la propria attività in modo tradizionale da decenni, affrontare il mondo social non è banale. Da dove partire? E quali sono le cose da sapere? Se ne è parlato in un Webinar organizzato da NetworkDigital4 (in collaborazione con Olivetti e Intel, con la partecipazione di Andrea Albanese, Social Media Marketing & Digital Communication Advisor, Alessandro Petrella, Co-founder e CEO di My Good Client (una piattaforma capace di creare, diffondere e monitorare campagne di passaparola attraverso i migliori clienti, che fungono da ambasciatori) e Mauro Bacchiocchi, Cloud Sales di Olivetti.
Fiducia, divertimento, positività: ecco cosa spinge all’azione
- Misurare il ROI e fissare i KPI, per capire dove migliorare. Meglio scegliere piattaforme cloud, con buone statistiche e report preimpostati, con la possibilità di scaricare i dati per ulteriori analisi.
- I prodotti e servizi promossi sui social devono essere ottimi. Gli scheletri negli armadi si pagano cari sui social: la gente posta, e i messaggi negativi si espandono a macchia d’olio.
- Ognuno oggi è un’agenzia di comunicazione, grazie ai social. Di conseguenza, ogni cliente ha un potere di comunicazione straordinario. E se è soddisfatto, darà una gran mano.
- Tutti possono diventare influencer. Cosa significa? Un utente che ha sufficiente “grip” da far compiere una azione ad altre persone, cioè almeno un clic su “mi piace”, e auspicabilmente l’acquisto in negozio o online.
- Il valore del brand deve essere positivo. Se il cliente vive un’esperienza positiva a livello empatico, poi lo racconterà. È così che si creano gli ambassador
- Le persone si avvicinano ai brand e li comunicano solo se questi impattano positivamente sul proprio personal brand. Nessuno vuole essere associato a qualcosa di negativo.
- Vietato dire le bugie! Ormai viviamo nell’economia della reputazione.