Digital Marketing & Communication

Social Network nel Business, i numeri e le opportunità in Italia

Ormai in Italia il 90% di chi naviga su Internet è iscritto ad almeno una piattaforma e vi accede perlopiù da smartphone. Sui Social transita il 13% dell’Internet Advertising, in crescita. E sono sempre di più le aziende che integrano nei propri uffici Marketing & Communication figure specializzate. Ma solo poche sfruttano appieno il potenziale. In soccorso arrivano le startup

Pubblicato il 03 Mar 2016

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Fino a un paio d’anni fa mettere insieme le parole “social media strategist” aveva un che di esotico anche per gli uffici marketing delle aziende più illuminate sotto il profilo dei temi digitali. Oggi invece è possibile dire che la maggior parte delle principali organizzazioni si è dotata di una figura più o meno specifica che pianifica, coordina e soprattutto gestisce le relazioni delle imprese o dei brand con il proprio pubblico on line. E il 38% delle aziende italiane dispone di un Social Network aziendale, secondo i dati degli Osservatori del Politecnico di Milano.

Questo però non implica automaticamente che le aziende abbiano assimilato l’idea di cosa voglia dire convivere sulle piattaforme social con concorrenti e clienti, e soprattutto che riescano a sfruttare a pieno le enormi opportunità che i dati generati da queste relazioni comportano.

Il contesto di riferimento

Le premesse per sfruttare il canale nel modo ottimale non mancano. Il 90% delle persone che in Italia navigano su Internet è iscritto ad almeno una piattaforma e al di là dei 26 milioni di utenti attivi su Facebook, un terzo degli utenti è su Twitter, mentre un quinto posta su Instagram e Linkedin.

Tre quarti degli utenti iscritti a Facebook vi accedono tutti i giorni. Su Instagram e Twitter rispettivamente il 35% e il 23% degli utenti iscritti vi accede almeno una volta al giorno. La fruizione dei Social Network è prevalente da Mobile: circa l’80% avviene da Smartphone e Tablet.

Ancora, la raccolta pubblicitaria sui Social Network, in forte crescita, è stimata a 277 milioni a fine 2015, pari al 13% del totale Internet Advertising. E il 15% delle aziende italiane fa largo utilizzo dei Social Network nei processi di selezione del personale.

Internet ADV, la vista per formati, 2015

I clienti diventano il megafono del brand

Prima di ogni altra cosa, spesso ancora non è chiara la differenza tra pubblicità e comunicazione all’interno delle reti sociali. A dirla tutta, nemmeno le discipline del digital PR sono sufficienti per descrivere l’approccio ottimale che un social media strategist dovrebbe tenere quando si interfaccia con i vari strumenti on line, senza contare che ciascuno di loro – da Facebook a Twitter passando per Instagram e piattaforme da noi ancora poco diffuse, come Snapchat – ha proprie regole peculiari. E come se non bastasse la proliferazione di nuove applicazioni specializzate, che puntano cioè su determinate comunità di interesse con ambienti, meccanismi e funzionalità che gli analisti non esitano a definire verticali, sta rendendo lo scenario ulteriormente complesso.

Promuovere non significa ingaggiare: anzi spesso la presenza di messaggi dichiaratamente di parte, anche se contestualizzati in conversazioni a tema, oltre a non riuscire a ritagliarsi un adeguato spazio di attenzione vengono scartati dagli utenti a prescindere. Per una questione di rumore e di interferenza tra i vari canali comunicazionali, certo, ma soprattutto per mancanza di autenticità.

Il vero nodo della questione, però, è un altro. Presidiare i social network ormai non ha più a che fare semplicemente con la visibilità di un brand: l’engagement non riguarda più solo la seduzione del potenziale cliente, così come le call to action non possono limitarsi a invitare ad approfondire o a comprare. Nell’ottica di una reale comunicazione bidirezionale – vera rivoluzione innescata dalla diffusione di massa di Facebook & co – brand e clienti agiscono in maniera cooperativa, facendo corrispondere a un trend, o a una serie di azioni, precise risposte e strategie.

«Così come al proprio interno alcune imprese adesso cercano di scardinare le regole delle relazioni top-down e di affiancare alla gerarchia le reti, allo stesso modo tentano di aumentare le conversazioni con i clienti nell’ottica di generare attività di up e cross-selling», spiega Stefano Mainetti, CEO di PoliHub, l’incubatore di startup del Politecnico di Milano. «L’azienda non è più autoreferenziale, cresce la consapevolezza che l’intelligenza collettiva porta con sé un potenziale enorme quando si tratta di liberare risorse e identificare regole in funzione di precisi obiettivi. Abbracciare il social business significa creare spazi di collaborazione e valore».

Oltretutto, grazie alla Rete, i clienti possono trasformarsi in ambasciatori ed evangelizzatori di prodotti, servizi e specialmente esperienze nei confronti di follower e contatti, agendo come un vero megafono dei valori del marchio. Non solo attraverso una elevata reach a costi sostenibili, ma anche inquadrando i giusti target.

Il contributo delle startup: crescono i Social Network verticali

Per comprendere il contributo innovativo, in termini di tecnologia e business model, che le start up possono apportare alle organizzazioni in questo ambito, in ottica di open innovation, Gli Osservatori del Politecnico di Milano, nell’ambito del progetto Startup Intelligence, hanno realizzato un’indagine che ha coinvolto 746 startup (di cui 23 italiane). «Naturalmente la parte del leone, in termini di finanziamenti ottenuti, la fanno le imprese americane – spiega Marta Valsecchi – con Snapchat che da sola ha messo insieme quasi il 40% dell’intero capitale (stimato complessivamente in 3,5 miliardi di dollari). In Italia, l’azienda che ha ottenuto maggiore copertura finanziaria ha invece raccolto 10 milioni di euro». Se il 67% delle piattaforme prese in considerazione risponde alla categoria del social network, bisogna precisare che solo alcuni hanno un’impostazione generalista, alla Facebook per intenderci.

Come detto, aumentano infatti sempre di più gli ambienti verticali, che si connotano per declinazioni locali, tematiche o ancora per tipologia di interazione e formato di post, dal photo al video sharing. Si tratta di Network focalizzati su un determinato tema o affinità tra gli utenti. Solo pochi però riescono a raggiungere una massa critica tale da diventare interessanti in specifiche nicchie di mercato, con numeri di diffusione interessanti.

E di conseguenza uno dei fenomeni più interessanti evidenziati dal report è l’affermazione di startup che aiutano le organizzazioni tradizionali a orientarsi in questo mare magnum di conversazioni e relazioni digitali: dal sentiment analytics al content management fino alla social lead generation passando per la loyalty e l’advocacy attraverso meccanismi di gamification, anche in Italia questi nuovi player stanno cominciando a fare la differenza per molte delle imprese che hanno capito cosa significhi davvero costruire una strategia di comunicazione digitale e engagement e intraprendere un percorso che porti a processi decisionali basati sull’analisi dei dati.

In questo articolo presentiamo alcuni dei progetti più interessanti. Alcuni di questi hanno già suscitato l’interesse di brand del largo consumo o addirittura di broadcaster, che usano le loro expertise (e soprattutto i loro algoritmi) per analizzare in tempo reale gli effetti prodotti sui social network da una campagna di comunicazione, dal lancio di un prodotto o dalla trasmissione di un evento.

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