In un mondo che mette ormai l’experience tra le massime priorità, persino sopra la qualità stessa del prodotto o l’efficacia della comunicazione istituzionale, è comprensibile come riuscire a rendere ludico l’approccio a un qualsiasi prodotto o servizio diventa una leva essenziale di fidelizzazione del cliente e persuasione del consumatore. Ma come costruire una strategia di gamification efficace e in quali settori è già stata applicata con successo?
Introduzione alla gamification: cos’è e come utilizzarla
Che cos’è la gamification (in italiano ludicizzazione)? Alla base della gamification c’è il concetto di gioco: in pratica, si tratta di applicare meccaniche del gaming ed elementi del game-design in contesti che gaming non sono.
Per spiegarlo in modo più semplice, partiamo da cosa la gamificazione non è: non è solo, in maniera molto tradizionale, fornire un vantaggio in più in cambio dell’attrazione o fidelizzazione del consumatore. La classica raccolta punti, che porta il cliente a comprare sempre lo stesso prodotto, ritagliare tagliandini dalle confezioni e ottenere in cambio un gadget o uno sconto, non può essere definita gamification o meglio, lo è, ma in una forma del tutto embrionale e grezza.
Allo stesso tempo, è riduttivo parlare di gamification se stiamo solo facendo un giveaway sui social, in cui l’utente più veloce a commentare o più preciso nel rispondere a una domanda, riceve un benefit in omaggio.
Oggi, creare dinamiche di gamification è qualcosa di molto più articolato: significa far entrare l’utente dentro un vero universo del brand, condurlo per mano in varie tappe di un percorso da fare insieme, un’avventura da vivere in cui si ottengono piccoli riconoscimenti nel corso del cammino, che sbloccano nuove opportunità e percorsi aggiuntivi. Che cosa vi ricorda questa descrizione? Ovvio: non è altro che il principio alla base di un qualsiasi videogame.
La gamification non trova impiego solo nel marketing. Viene usata internamente dalle aziende sulla propria popolazione, come leva per l’engagement (vedi in bassa il paragrafo dedicato).
Nelle vendite e nei contact center, le aziende a volte mettono in competizione le persone per aumentare i loro risultati. Sono applicazioni che suscitano molte perplessità. La usa anche Amazon, che ha un programma che “gamifica” il lavoro di magazzino per incoraggiare i suoi dipendenti dei centri di smistamento a migliorare la propria efficienza e competere contro gli altri in cambio di ricompense digitali. Il programma rimane completamente facoltativo per i dipendenti, che possono anche giocare in modo anonimo o non giocare affatto. Dopo gli scandali per le condizioni di lavoro negli Amazon Fulfillment Centers, sono in molti a chiedersi se è etico incentivare il lavoro in questo modo, seppur con giochi apparentemente divertenti.
Un altro esempio di gamification è la Lotteria degli scontrini lanciata dello Stato italiano, pensata per incentivare l’uso dei pagamenti elettronici.
Dal volantino al social marketing il gioco costruisce la brand awareness
Un esempio concreto? Ingaggiare dei passanti per strada grazie a un’operazione di leafleting: su ogni leaflet c’è un QR-Code da scansionare con il proprio smartphone che consente di scaricare l’App di un brand. Solo dopo aver scaricato l’App ed essersi registrati si accede alla possibilità non solo di utilizzare – ça va sans dire – i servizi dell’App, ma anche di ottenere un benefit e di invitare i propri amici a fare lo stesso. Se si invitano almeno 4 amici a scaricare l’App e gli amici la installano, si accede a nuovi benefit e alla possibilità di piantare un albero in una foresta virtuale. Questa foresta virtuale diventa un social media proprietario del brand, dentro al quale i clienti continueranno a tornare a prescindere dall’uso che stanno facendo dell’App e dei servizi del marchio: questo rafforza la brand awareness e la sensazione di essere parte di qualcosa, non solo di aver comprato/usato un prodotto.
Siamo così passati da un’azione di volantinaggio in strada a una meccanica di mobile marketing (scaricare l’App tramite QR-code) a un’azione di social media marketing che sfocia nell’UGC (User-Generated Content) e anche nel charity, se gli alberi virtuali si traducono in alberi reali piantati in qualche regione del mondo per lottare contro la deforestazione e tutelare l’ambiente.
Il marchio in questione ha appena realizzato un’attività di gamification che sfrutta la forza del multichannel, o multicanalità, e del cross-channel, l’uso di più canali e piattaforme per creare un’esperienza utente davvero complessa e stimolante. Ci sono applicazioni di nuove tecnologie che rendono il tutto ancora più immersivo: basti pensare a soluzioni di realtà aumentata come Pokèmon Go e simili.
Vantaggi e benefici del game-based learning
La gamification non si applica solo al marketing. Al contrario, uno dei primi ambiti in cui è stata testata con enorme successo è il comparto dell’education: con game-based learning si intende, infatti, una modalità ludica di far apprendere nuove nozioni a studenti di ogni età.
Come per il marketing, e forse ancor di più in ambito didattico, uno degli scogli più difficili da superare di una strategia efficace è mantenere alta l’attenzione e la concentrazione degli utenti/studenti.
Ecco, quindi, che la ludicizzazione del percorso di apprendimento fa sì che tutto sia più giocoso, divertente e stimolante. Un esempio molto valido, in questo senso, è rappresentato dai nuovi metodi di apprendimento delle lingue straniere, come Duolingo.
Duolingo deve parte del suo successo proprio al fatto di mettere in atto meccaniche di gamificazione, unite a un approccio un po’ social e un po’ UGC: imparare le nozioni di base consente di ricevere punti, che sbloccano nuove aree e percorsi formativi – sostanzialmente, nuovi livelli di gioco, sempre più difficili proprio come quelli di un video-game – generando anche una competizione con eventuali amici che utilizzano anch’essi l’applicazione. E non solo, gli utenti hanno la possibilità di commentare e correggere frasi idiomatiche, esercizi e parole all’interno dei vari capitoli, scatenando un dibattito interessante.
Gamification per aumentare l’engagement dei dipendenti
Tecniche di gamification sono utili anche per aumentare l’employee engagement, il coinvolgimento dei dipendenti. Si tratta di un obiettivo degli HR manager, perchè le persone che condividono i valori della propria azienda, che si sentono coinvolti e ingaggiati nelle attività e parte integrante del raggiungimento degli obiettivi aziendali, sono più soddisfatti e produttivi.
Uno strumento molto efficace sono i social media, che possono trasformarsi in un potentissimo strumento di team building ed engagement aziendale. I collaboratori che si sentono parte attiva di un brand sono più propensi a comunicare i suoi valori anche all’esterno trasformandosi in veri e propri fan. È questo il concetto di employee advocacy.
Una strategia che si rivela spesso efficace è quella focalizzata sulla gamification, che stimola la competizione “amichevole” tra colleghi attraverso un sistema di ricompense e riconoscimenti per quelli che si dimostrano più attivi nel promuovere immagine e valori aziendali sui social media. Il passaparola spontaneo dei dipendenti sui social li trasforma in veri e propri ambassador pronti a condividere con entusiasmo i dettagli della loro esperienza di lavoro e il rapporto con l’azienda. Tutto questo può avere un grosso impatto sulla reputazione aziendale perché i dipendenti sono considerati una fonte credibile e autorevole per i consumatori e il loro ingaggio di fatto permette all’azienda di migliorare la brand reputation.
HR Gamification: il gioco come strumento strategico delle Risorse Umane
Oltre che per creare employee engagement, nell’ambito delle Risorse Umane la metodologia della gamification può essere sfruttata all’interno di molteplici attività: dal recruiting alla talent acquisition, dall’onboarding alla formazione, sino al supporto della produttività.
Mentre gli ATS software possono aiutare a divulgare job post e fare lo screening dei CV, modalità di ricerca candidati più creative possono essere messe in campo attraverso la gamification in diversi formati: quiz online e offline, hackathon, percorsi costruiti come veri e propri video giochi. Così è successo a Max Rosett, un programmatore informatico che cercando informazioni online a proposito di un linguaggio di programmazione si è imbattuto in un link curato direttamente da Google: «Parli la nostra lingua. Sei pronto per una sfida?». A quel punto, Rosett si è trovato di fronte ad una sorta di gioco che richiedeva di risolvere diversi tipi di problemi e ha fatto la sua parte. Tre mesi dopo, l’ufficio HR della grande G si è messo in contatto con lui e, dopo una serie di ulteriori colloqui, Max Rosett è entrato a far parte del team di Google.
Un buon processo di onboarding permette di sviluppare un maggiore attaccamento all’azienda e limitare il turnover che si registra nel primo anno di assunzione. La gamification può aiutare in questa direzione. Un esempio a tal proposito è The Chosen Analyst, il gioco proposto da Deloitte per supportare il processo di onboarding dei suoi analisti. Le nuove reclute hanno dovuto affrontare un’apocalisse di zombi e trovare una cura per salvare il mondo, fare le scelte giuste e completare una serie di sfide mentre imparavano tutte le basi degli strumenti utilizzati dalla società.
Numerosi studi hanno confermato che l’uso delle meccaniche del gioco nella formazione aziendale aumenta il coinvolgimento e la motivazione dei dipendenti. Ma cosa ha a che vedere il gioco con l’acquisizione di conoscenze? Lo spiega bene il modello alla base dell’apprendimento esperienziale detto Ciclo di Kolb che teorizza un apprendimento, appunto, circolare. Si parte dall’esperienza concreta, il momento nel quale agiamo o siamo coinvolti in un evento; l’esperienza ci fa osservare gli effetti delle nostre azioni e ci stimola riflessioni, costringendoci a cercare e ad elaborare concetti più generali per inquadrare la realtà che viviamo. A quel punto scatta la fase di sperimentazione attiva, in cui i concetti generali che abbiamo elaborato vengono testati praticamente, dando vita a nuove esperienze e ad un nuovo ciclo. Secondo Kolb è così che gli adulti apprendono. In questo senso il gioco è uno strumento potentissimo: è la situazione più favorevole per fare esperienze, per quanto in un ambiente controllato, e lascia la più ampia libertà nel concettualizzare e nello sperimentare attivamente comportamenti e azioni. Il gaming è dunque uno strumento potente in fase di apprendimento, permette di fare esperienze controllate, di riflettere sui relativi effetti e di sperimentare di conseguenza. Un esempio di gaming applicato alla formazione aziendale è il progetto realizzato da Samsung UK, Samsung Backstage, uno strumento di formazione online dedicato a chi vende dispositivi Samsung. L’azienda riferisce di aver ottenuto riduzione dei costi di formazione online fino al 40% per il lancio di nuovi contenuti di prodotto, di aver visto già oltre 18.000 utenti attivi da un database di 38.000, di aver rilevato che i negozi con un utente Samsung Backstage Elite vendono il 64% in più di dispositivi premium rispetto ai negozi senza. Nella stessa logica rientra il progetto RoadWarrior ideato Da SAP per rendere più appetibile la formazione continua della propria forza vendite. Una sorta di “Chi vuole essere milionario?” con domande a risposta multipla sulle soluzioni tecniche offerte che variano in base al cliente selezionato, punti da accumulare, sfide da lanciare ai colleghi e classifiche da scalare.
Progetti di gaming sono anche utilizzati per incoraggiante la ricerca della produttività personale e del team. È questo il caso di RMH Franchise Corporation, il più strutturato business developer di Applebee’s, una catena di ristoranti molto nota negli Stati Uniti. Considerato l’elevato turnover del personale, e il costo che questo comporta, lo staff di RMH ha lanciato Bee Block, una piattaforma di gaming che premia l’impegno dei dipendenti che lavorano nei ristoranti, la loro capacità di invogliare i clienti ad acquistare più prodotti e la fedeltà all’azienda, tutto questo solo attraverso l’utilizzo di trofei virtuali e la pubblica valorizzazione dei risultati e della reputazione guadagnata attraverso il gioco. Ciò non solo ha effettivamente diminuito il turnover del 20% nei primi 6 mesi al lancio del programma aumentando l’employee engagement, ma ha naturalmente anche migliorato la produttività.
Tutte queste esperienze evidenziano con il gioco si può fare sul serio: tecniche e approcci mutuati dal mondo del gaming possono aiutare a gestire con più efficacia vecchi e nuovi processi che riguardano le persone.
La gamification funziona davvero? Esempi e applicazioni
Il Gamification Marketing è un’ottima freccia all’arco dei marketer che hanno bisogno di creare uno storytelling interattivo, nel quale gli utenti non sono più spettatori ma attori veri e propri, che percorrono un cammino dentro al quale scoprono nuove cose e possono ottenere vantaggi e gift di vario genere.
Questo permette di raggiungere due obiettivi essenziali in ogni strategia: più engagement e migliore percezione della marca.
Oltre al sopracitato Duolingo, ci sono molti marchi che stanno portando avanti efficaci strategie basate sulla gamification.
Validi esempi sono quelli rappresentati da diverse grandi aziende del food – come Fanta o più recentemente Ritter Sport – che chiedono agli utenti con enormi campagne social di ipotizzare nuovi gusti per i propri prodotti. Gli utenti vengono coinvolti proprio in uno sforzo creativo, di elaborazione grafica e di storytelling del nuovo gusto o abbinamento di sapori.
Gli stessi votano poi le idee migliori che sono state selezionate dal brand e, dopo condivisione di mockup grafici e ulteriori interventi di User-Generated Content, si arriva a lanciare un nuovo prodotto che è stato a tutti gli effetti progettato insieme alla propria target audience. Premio ulteriore è ricevere a casa propria il prodotto in anteprima, con tanto di unboxing nelle storie di Instagram o su TikTok e recensione.
Un vero circolo virtuoso, che va dallo studio di prodotto alla sua successiva promozione!