I First Party Data, o dati di prima parte, sono tutti quei dati di proprietà di un’azienda: spaziano dal dato di comportamento dell’utente online alla localizzazione degli store del marchio, dai tempi di produzione dei prodotti all’andamento delle campagne paid. Un errore comune è pensare che la raccolta stessa del dato sia l’obiettivo finale, come valore quantitativo: non è così, poiché una data strategy non è solamente la raccolta dati, ma è prima di tutto pensare a quali business case attivare attraverso la loro interpretazione. In particolare, i dati dell’utente e delle campagne di marketing permettono di analizzare e ottimizzare al meglio la marketing performance.
First Party Data e Third Party Data, cosa cambia oggi
Storicamente, il digital marketing ha fatto un uso limitato dei dati di prima parte, perché poteva fare affidamento su dati di terzi (ad esempio, delle piattaforme di ads come Google, Facebook, Criteo, etc.). A questi soggetti è sempre stato demandato l’onere di misurare le performance delle diverse campagne, descrivendo e analizzando gli utenti. Oggi, però, le normative sulla privacy sempre più restrittive e il progressivo abbandono dei third party cookie e dei mobile advertising id hanno reso complesso per questi player dell’adtech la raccolta e la condivisione dei dati.
Come fare, quindi, oggi che 3rdparty cookies e mobile advertising id stanno scomparendo a causa delle disposizioni in materia di Privacy? Le scelte dei colossi del web vanno ormai in ottica Cookieless, ergo l’advertising basato sui dati degli utenti, o programmatic advertising – seppur abbia visto una crescita del 6% rispetto all’anno scorso, raggiungendo un volume d’affari globale di 588 milioni di euro – è indubbiamente il canale più colpito. Diventa così un vero imperativo categorico per le aziende analizzare in casa il comportamento degli utenti e sfruttare l’incredibile potere di unire i dati di CRM, Survey, dati transazionali e dati di navigazione, che solitamente risiedono in silos separati, mettendo a fattor comune questo “tesoretto” di conoscenza interna.
In questa nuova era del digital advertising diventa, quindi, cruciale per le aziende il fatto di organizzarsi in autonomia per due principali attività:
- la misurazione delle performance delle campagne di advertising;
- la segmentazione e l’analisi dei propri utenti per personalizzare le strategie di marketing.
In sostanza, non è sufficiente raccogliere i First-Party Data, ma bisogna saperli interpretare e attivare per delle finalità molto precise. Certo, la raccolta è essenziale: più sarà accurata e definita per rilevanza, più un’azienda sarà in grado di personalizzare le azioni di marketing, prevedendo il comportamento del pubblico, sia in positivo (ad esempio, sapere in anticipo quali clienti procederanno a un acquisto) sia in negativo (quali clienti verranno persi o quale sarà il tasso di churn su un prodotto/servizio).
Queste informazioni consentono alle aziende di attuare una serie di azioni efficaci per migliorare le performance e aumentare il ROI.
Marketing Mix Models, i nuovi modelli di valutazione delle performance
Per definire una Data Strategy bisogna identificare quali sono i dati di prima parte che dobbiamo raccogliere e organizzare: impression, click e investimento delle diverse attività di marketing digitale, dati di reach (GRP), budget delle campagne di marketing offline e dati di fatturato generali dell’azienda (anche offline).
Questi semplici dati, nel pieno rispetto della privacy dell’utente, consentono di attivare nuovi modelli di valutazione delle performance di advertising: i Marketing Mix Model (MMM).
I MMM basano la loro efficacia su modelli econometrici, consolidati negli anni e utilizzati tutt’oggi nel marketing tradizionale, uniti a modelli predittivi basati sul machine learning, come Prophet di Meta: così, permettono ai decision maker e ai marketing manager di valutare correttamente il contributo di ogni singola attività di marketing nel determinare il fatturato aziendale. Non solo, aiutano a prendere decisioni ponderate sulla distribuzione del budget e sulla previsione dei risultati, oltre a fornire indicazioni di quale sarebbe il budget ottimale. Il framework open source più maturo oggi di MMM è Facebook Robyn, preferito dal mondo dell’advertising rispetto ai metodi di attribution MultiTouch, che necessitano di seguire l’utente lungo tutto il suo percorso.
Customer Lifetime Value: dalla segmentazione all’azione
I dati di prima parte aiutano soprattutto in un’attività fondamentale e spesso sottovalutata: la retention o lo sfruttamento della propria base clienti, invece di affannarsi a rincorrere sempre e soltanto il new business. Infatti, uno dei metodi più efficaci per migliorare le performance di business è ingaggiare i clienti esistenti a più alto valore per l’azienda.
Come individuarli? Fondamentali i modelli di Customer Lifetime Value, grazie ai quali si può segmentare la clientela in base al comportamento: il modello più utilizzato oggi è il cosiddetto RFM o Recency-Frequency-Monetary Value.
L’RFM individua e segmenta gli utenti in base a parametri quali:
- ricavi generati per l’azienda (Monetary)
- frequenza d’acquisto (Frequency)
- quanto tempo è passato dall’ultimo acquisto (Recency).
Decidendo quanti segmenti di utenti vogliamo per ogni metrica, il modello determinerà automaticamente la segmentazione: ad esempio, se vogliamo ottenere 3 segmenti per ogni parametro, il sistema dividerà i nostri utenti in 27 diversi cluster (3x3x3), che possono essere ulteriormente raggruppati e utilizzati per strategie di direct marketing attraverso e-mail e SMS, nonché per attività di personalizzazione della navigazione e dell’advertising, per il remarketing e con la possibilità di utilizzare modelli look-a-like, per trovare utenti simili ai nostri clienti migliori.
Le strategie possono essere personalizzate per ogni segmento, massimizzandone l’efficacia e sfruttando al meglio la forza dei dati:
- per gli utenti più fidelizzati, che comprano spesso o con carrelli alti, si possono impostare delle attività di rewarding, con sconti o eventi dedicati;
- per utenti con carrelli medi alti ma che acquistano di rado, possiamo ingaggiarli consigliando il riacquisto o prodotti complementari a quelli già acquistati;
- per utenti che non acquistano da molto tempo, ma che tornano spesso sul nostro sito effettuando delle ricerche senza acquistare, dovremmo comprendere il perché, analizzare le loro ricerche: potremmo scoprire che siamo out-of-stock con i prodotti di loro interesse o decidere di mettere in sconto l’oggetto delle loro ricerche.