Sostenibilità

eCommerce sostenibile: sodalizio o solo Greenwashing?

In quanto strumento potente per creare consapevolezza e influenzare le decisioni d’acquisto dei consumatori, il marketing può essere utilizzato in modo positivo per promuovere iniziative etiche. Ma attenzione alle pratiche scorrette, alle false promesse e all’impegno “di facciata”

Pubblicato il 21 Giu 2023

Gerg Tamasi

SEO & eCommerce Specialist, Formatore e Digital Strategist & Business developer di Ensolab azienda socia AISM

eCommerce sostenibile

L’ecologia e la sostenibilità sono temi sempre più importanti nella società moderna. Le preoccupazioni riguardanti i cambiamenti climatici, la scarsità delle risorse naturali e la necessità di una maggiore responsabilità ambientale stanno spingendo le imprese ad adottare pratiche sostenibili e a promuovere i loro prodotti come “ecologici”.

Il marketing è uno strumento potente per creare consapevolezza, e influenza le decisioni d’acquisto dei consumatori (prima ancora che l’influencer marketing andasse di moda!).

Tuttavia, quando si tratta di ecologia e sostenibilità, il marketing può essere utilizzato in modo positivo, per promuovere pratiche sostenibili, o in modo negativo, per creare false promesse e comportamenti scorretti, noti come Greenwashing.

eCommerce sostenibile, cosa si intende con Greenwashing

Il termine Greenwashing si riferisce a una pratica commerciale che consiste nell’usare un linguaggio e un immaginario comunicativo che evocano l’ambiente e l’ecologia per promuovere prodotti o servizi che non sono realmente sostenibili.

Questa pratica è diventata sempre più comune negli ultimi anni, poiché molte aziende cercano di sfruttare l’interesse del pubblico per la sostenibilità senza apportare alcun cambiamento sostanziale alle loro pratiche di business.

Un esempio comune di Greenwashing è la promozione di prodotti come “naturali” o “verdi”, senza alcuna verifica indipendente delle loro affermazioni. Avete presente gli scaffali interi dei supermercati interamente colorati in verde e con scritte “Eco” o “Bio” ovunque? Ecco.

Molte volte, questi prodotti contengono sostanze chimiche dannose per l’ambiente e per la salute umana, ma l’immagine “ecologica” dell’etichetta può trarre in inganno i consumatori.

Per prevenire questo fenomeno, i consumatori dovrebbero fare ricerche indipendenti sui prodotti che acquistano, verificando le loro affermazioni e le politiche ambientali delle aziende che li producono.

Inoltre, le organizzazioni indipendenti come Greenpeace o WWF possono fornire informazioni e valutazioni sulle pratiche ambientali delle aziende. Tuttavia, non tutte le iniziative di marketing a tema ambientale sono ascrivibili alle pratiche di Greenwashing.

Greenwashing

La trappola del Greenwashing: quando la sostenibilità è solo di facciata. Clicca per approfondire

Marketing sostenibile virtuoso

Esiste anche, e per fortuna, l’altra faccia della medaglia. Quella virtuosa. Le aziende possono utilizzare il marketing per promuovere pratiche sostenibili in modo onesto e trasparente. Come? Molte aziende stanno adottando un approccio più autentico e impegnato nei confronti dell’ambiente e della sostenibilità, implementando pratiche sostenibili nella produzione, nell’imballaggio e nella distribuzione dei propri prodotti.

Queste aziende cercano di essere trasparenti riguardo alle loro azioni e comunicano il loro impegno ambientale in modo onesto e verificabile. Per esempio, attraverso l’adozione di standard di sostenibilità indipendenti e la comunicazione chiara dei risultati.

Alcuni esempi di certificazioni della sostenibilità

Un esempio è il “Life Cycle Assessment” (LCA), che valuta l’impatto ambientale di un prodotto o servizio lungo tutto il suo ciclo di vita, dalla produzione allo smaltimento. Questo tipo di valutazione può essere utilizzato per migliorare le pratiche di business e per comunicare in modo onesto e trasparente l’impatto ambientale dei prodotti.

Un altro ente che certifica la sostenibilità dei prodotti e delle aziende è il Forest Stewardship Council (FSC), che garantisce che i prodotti a base di legno siano fabbricati in modo sostenibile, o il Global Organic Textile Standard (GOTS), che si fa garante del fatto che i tessuti venduti come biologici siano effettivamente realizzati in modo ecologico.

Greenwashing subdolo: il caso dell’industria tessile

Fino a qualche tempo fa era semplice distinguere tra le aziende che lavoravano in maniera seria e responsabile, con un impegno autentico, e quelle che invece usavano la sostenibilità come strumento di marketing.

C’erano tanti segnali: le “parole magiche” della sostenibilità usate in maniera artificiosa, claim vuoti di significato, schede prodotto senza informazioni, manifesti buttati lì a caso. Si riusciva a capire che non c’era una reale conoscenza sul tema. Adesso le cose sono cambiate: tutti parlano la stessa lingua.

Anche chi usa la responsabilità solo per vendere costruisce castelli di carta che al primo sguardo ti sembrano reali, che traggono in inganno: bisogna scavare un po’ per capire che alla base c’è solo fuffa.

I “trucchetti” degli operatori della Supply Chain

Le aziende della catena di fornitura hanno imparato dai loro clienti del fast fashion a usare a loro vantaggio certi strumenti: misurazioni, commitment, certificazioni. Insomma, una reazione a catena. Quella che sembra la strada più semplice, ovvero creare una bella forma senza nessun contenuto, adesso è seguita anche da alcuni produttori di tessuto, di filato, di pelle.

Il motivo è sempre lo stesso: ridurre i costi, pagare il meno possibile i subfornitori, mettere sotto pressione i propri dipendenti. Alcune di queste realtà a prima vista brillano, ma basta andare più a fondo per capire che è solo una facciata. E allora come si procede? Facendo la cosa più elementare: isolandoli. In questo contesto risulta particolarmente importante imparare a scegliere con attenzione con chi lavorare e da chi acquistare.

Un esempio su tutti: Nike

Nei giorni scorsi in USA è stata aperta una class action contro Nike, accusata di Greenwashing.

In particolare a finire sotto accusa è l’iniziativa “Move to Zero”, tacciata di far levag su prodotti realizzati con materiali plastici e non biodegradabili, anche se la campagna faceva intendere una cosa diversa. “In effetti, dei 2.452 prodotti Nike “Sustainability Collection”, solo 239 sono effettivamente realizzati con materiali riciclati”, specifica la denuncia, che in 47 pagine elenca numerosi problemi nella comunicazione ai consumatori del brand sportivo.

Complessivamente, oltre il 90% degli articoli della collezione “Sustainability” di Nike non è quindi “realizzato con fibre riciclate” come pubblicizzato e, secondo la causa, è costituito principalmente da materiali sintetici “vergini”.

I prodotti che contengono materiale riciclato sono prevalentemente realizzati con poliestere riciclato e nylon riciclato, due materiali che, viene sottolineato nella class action, sono di fatto “ancora plastica” e quindi non biodegradabili.

La causa, intentata il 10 maggio nel Missouri, chiede al tribunale di ordinare a Nike di intraprendere una “campagna pubblicitaria correttiva” e rimborsare i consumatori che non sono stati adeguatamente informati che l’abbigliamento “sostenibile” del rivenditore è tutt’altro.

Il Downcycling non è circolare

In particolare, la “stragrande maggioranza” del poliestere riciclato proviene da bottiglie di polietilene tereftalato (PET) riciclate che sono state “riciclate meccanicamente in fibra di poliestere per i vestiti”, si legge nella causa.

Nike ammette che il suo poliestere riciclato deriva da bottiglie di plastica che vengono “pulite, sminuzzate in scaglie, trasformate in pellet e poi trasformate in filati di alta qualità”. Tuttavia, questo metodo di downcycling “non è una soluzione circolare” dal momento in cui le fibre di poliestere perdono forza man mano che vengono riciclate e, di conseguenza, finiscono in discarica, si legge negli atti.

Inoltre, la concorrenza tra le industrie dell’imballaggio e dell’abbigliamento per le bottiglie in PET ostacola la quantità di bottiglie in PET riciclabili utilizzate per il riciclaggio da bottiglia a bottiglia, che è più sostenibile. Gli operatori del comparto del poliestere riciclato non fanno nulla per affrontare lo spargimento di microplastiche, il che significa che “miliardi di particelle di plastica finiscono ancora per raggiungere l’oceano, l’aria che respiriamo e le nostre catene alimentari”.

Dove si inserisce l’eCommerce?

L’avvento dell’eCommerce ha rivoluzionato il modo in cui le persone acquistano beni e servizi, offrendo un’ampia gamma di opzioni e la comodità di fare acquisti online. Tuttavia, insieme alla crescita dell’eCommerce è aumentato il rischio di pubblicità ingannevole e Greenwashing.

Il fenomeno è particolarmente diffuso nell’ambito delle vendite online, prché le aziende cercano di sfruttare la crescente preoccupazione per l’ambiente al fine di aumentare le vendite. Il Greenwashing può avere un impatto significativo sull’ambiente poiché spinge i consumatori a fare scelte d’acquisto basate su informazioni fuorvianti.

Le aziende che si macchiano di questa pratica tendono a pubblicizzare prodotti come “ecologici” o “sostenibili” anche se non lo sono veramente. Ciò può portare a un aumento della produzione di beni non sostenibili, al consumo irresponsabile di risorse e all’aumento dell’inquinamento.

Inoltre, questa pratica scorretta può minare gli sforzi delle aziende che operano in modo autenticamente sostenibile, facendo sì che i consumatori diventino scettici nei confronti delle reali iniziative green.

Responsabilità dell’eCommerce e delle aziende

L’eCommerce ha il potenziale per diventare un’opzione d’acquisto più sostenibile rispetto al commercio tradizionale. Tuttavia, le aziende del settore devono assumersi la responsabilità di garantire che le loro pratiche commerciali siano effettivamente sostenibili. In questo contesto, risulta fondamentale avere una comunicazione omnicanale efficace.

Dovrebbero adottare politiche di produzione e logistica ecologicamente responsabili, fornendo informazioni trasparenti ai consumatori sui loro sforzi ambientali e promuovendo il consumo consapevole.

eCommerce sostenibile, come evitare il Greenwashing da consumatori

Come consumatori, abbiamo il potere di rifuggere il Greenwashing e sostenere invece l’operato dellen aziende autenticamente sostenibili.

È importante fare ricerche approfondite sulle politiche e le pratiche delle aziende prima di effettuare un acquisto. Possiamo guardare oltre gli slogan e le etichette “verdi” e cercare certificazioni riconosciute che confermino l’impegno ambientale dell’azienda.

Inoltre, dovremmo valutare attentamente se abbiamo davvero bisogno di un prodotto prima di acquistarlo, evitando così il consumo eccessivo e riducendo l’impatto ambientale complessivo.

Conclusioni

Le aziende devono assumersi la responsabilità di adottare pratiche sostenibili e trasparenti, mentre i consumatori devono essere vigili nella scelta di prodotti e aziende autenticamente rispettosi dell’ambiente.

Solo attraverso un approccio responsabile, l’eCommerce può contribuire a un futuro più sostenibile per il pianeta.

Valuta la qualità di questo articolo

La tua opinione è importante per noi!

Articoli correlati

Articolo 1 di 4