Stanno emergendo aziende (vecchie e nuove, non si tratta quindi unicamente di start up) che scelgono di essere aperte alla condivisione continua e connesse con le ricchezze del territorio, aziende che sono ‘responsive’ pur mantenendo una matrice valoriale consolidata: formate ed informate in tempo reale, sono votate ad un “we rationing” e capaci di gestire le contraddizioni che spesso vedono contrapposti i valori e le tradizioni con innovazione e tecnologia Questa caratteristica – il saper gestire le contraddizioni – introduce un tema importante nella cultura aziendale e cioè quello di alimentare le differenze piuttosto che le affinità, tanto da riuscire ad essere poi efficaci interlocutori in una società sempre più caratterizzata dalla complessità e dalla fluidità.
Per ritornare al rapporto con i luoghi di appartenenza, aggiungerei che certe organizzazioni stanno diventando vere e proprie aziende “estrattrici e valorizzatrici” dei tesori del proprio territorio, che, nel caso dell’Italia, sono sempre più ricercati nei mercati esteri, con un prepotente ritorno a una visione “glocal” tanto utile ai paesi dalle grandi ricchezze storiche, paesaggistiche e artistiche.
Ma c’è molto di più: l’avvento del 4.0 ha permesso di chiudere il cerchio dell’onda innovativa iniziata con il ‘world wide web’ e per le aziende italiane si prospetta quel salto cognitivo che è stato a lungo rimandato. Nell’ultimo lavoro editoriale “La logica del fluire. Che mercato saremo” di cui sono co-autore insieme a Luisa Cozzi, abbiamo focalizzato cinque punti determinanti per comprendere la vastità della rivoluzione dei nostri giorni ma in questa occasione vorrei porre l’attenzione su tre di questi focus.
Partiamo, come primo, dalla ‘logica del fluire’, concetto che è trasversale a tutto il libro. L’unica realtà dei nostri giorni sembra essere una sorta di cambiamento continuo e l’esempio di molte organizzazioni e nazioni orientali in costante ascesa ci deve fare riflettere. La dinamicità vince sull’immobilismo, la rock logic perde terreno nei confronti della water logic di stampo orientale.
Come secondo punto sottolinerei il saper comprendere e integrare nelle nostre aziende le emozioni e la loro grammatica: il Nobel recentemente assegnato a Richard H. Thaler (quindi all’economia comportamentale) lo conferma. Interessante a questo riguardo la motivazione all’assegnazione del premio: secondo l’Accademia Reale svedese delle Scienze, nell’analisi del processo decisionale economico, Thaler ha evidenziato come alcuni tratti umani – razionalità limitata, preferenze sociali e mancanza di autocontrollo – influenzino sistematicamente le decisioni individuali e gli esiti del mercato. Sono dunque riconosciuti ufficialmente, finalmente, gli ‘intangible and emotional assets’.
Siamo giunti, in chiusura, al terzo concetto che vede tre momenti (‘sharing economy, social organization, social networking’) come un unicum. Il fenomeno social è la punta emergente di un più ampio processo di trasformazione che mette al centro la pratica della condivisione. C’è un punto fondamentale di contatto tra lo sdoganamento dell’emozionalità di cui abbiamo accennato più sopra e le economie partecipative: il desiderio di condividere, unitamente alla possibilità di esprimere le emozioni con una vasta scala di sfumature, ha portato alla “nascita” di una economia che ben rappresenta questa spinta interiore; si potrebbe parlare di una “economia dei due emisferi cerebrali”, intendendo con questo la riattivazione di ‘meccaniche cerebrali’ che vedono i due emisferi maggiormente in collegamento tra loro (concedeteci l’esemplificazione). Sembra proprio che i tempi siano maturi: la grande rivoluzione della cultura aziendale inizia ora e si sta delineando nettamente una via italiana all’economia del ‘noi’.
* digital transformation specialist & partner ‘Emotional Marketing Research’