Digital Customer Experience, questa sconosciuta. Ovvero: se le organizzazioni non iniziano a investire davvero nella qualità dell’esperienza omnicanale perderanno completamente il treno della digitalizzazione. Alla fine, complici le economie di scala e l’effetto rete, potremmo risvegliarci in un mondo con pochissimi operatori.
Perchè investire nella Digital Customer Experience
Siamo in un’epoca in cui la qualità dell’esperienza offerta, end-to-end e in ciscuno dei touchpoint (punto di contatto) incontrati durante il customer journey, è quasi più importante anche del prodotto stesso. (Qui una definizione dettagliata della Digital Customer Experience)
Online, non posso vedere o toccare una poltrona come farei in un negozio. Messo di fronte alla scelta tra una poltrona che mi piace tantissimo ma con un processo di acquisto confuso, complicato e apparentemente poco sicuro, e una poltrona che mi piace un po’ meno, ma con un processo d’acquisto immediato, semplice e sicuro, credo che sceglierei la seconda.
Questo vale anche per prodotti o servizi complessi, fortemente basati sulla fiducia e piuttosto standardizzati. Agli occhi di un cliente, la differenziazione di un prodotto assicurativo, ad esempio, si è sempre basata essenzialmente su due aspetti: anzitutto sulla reputazione della società assicurativa e secondariamente sulla relazione con l’agente sul territorio. Oggi, per fortuna, questi due elementi sono ancora molto importanti, ma non sono sufficienti. Ce ne è un terzo: la qualità dell’esperienza complessiva e in particolare dell’esperienza online di scelta, acquisto, relazione, risoluzione dei problemi.
Che si tratti di un prodotto da toccare o puramente intangibile poco cambia: a fare la differenza è la qualità dell’esperienza. Per questo spiace ancora vedere il ritardo e la timidezza con cui molte organizzazioni investono su queste tematiche. A volte, invece, investimenti anche ingenti nella digitalizzazione del canale sono vanificati da un approccio esclusivamente tecnico, che non tiene nella dovuta considerazione gli elementi esperienziali.
In una sola giornata, quante interazioni abbiamo con i brand più diversi? Quanti di questi avvengono prevalentemente o esclusivamente online?
In poche ore, ho vissuto due esperienze piuttosto sconfortanti che mi hanno fatto perdere tempo, causato incertezza e parecchio scontento.
Esempio 1: esperienza di accesso all’area privata di un’assicurazione
Il problema principale in questo caso è l’assenza di cura per ogni singolo passaggio durante il primo accesso. Il primo accesso a un sito è un po’ il biglietto da visita, è come l’accoglienza in una filiale, come la disponibilità e competenza di chi sta alla reception e offre le prime informazioni. Fondamentale a creare subito un clima di rispetto e fiducia. È una fase in cui non si può sbagliare.
Veniamo alla descrizione del processo e del relativo problema.
Per completare il primo accesso, l’assicurazione invia all’assicurato una mail con un PIN provvisorio e l’invito a “COMPLETARE LA REGISTRAZIONE”, agganciato a un link che rimanda alla PAGINA DI LOGIN, in cui però è presente anche il bottone REGISTRATI.
Un utente, pensando di dover completare la registrazione, sceglierebbe questa seconda opzione. Sbagliando purtroppo. Come primo accesso bisognava davvero fare LOGIN con il PIN provvisorio.
Se il fine era risparmiare una pagina di primo accesso dedicata è un peccato, sarebbero stati euro ben spesi. Bastava anche nominare LOGIN nella mail invece di REGISTRAZIONE, confondendo inutilmente il cliente. Quello che può sembrare un banale errore è in realtà lo specchio dell’assenza di cura di ogni singola fase del processo di interazione, ovvero nella Digital Customer Experience.
Esempio 2: esperienza di acquisto di una poltrona nel sito eCommerce di un produttore
Primo problema: il prodotto non viene venduto in esclusiva e le condizioni di acquisto sono peggiori che altrove. La stessa poltrona infatti è presente anche su Amazon a un prezzo inferiore, più precisamente, allo stesso prezzo ma senza i 20 euro di spedizione.
Secondo problema: i tempi di consegna. Incerti e vaghi in un caso, esplicitati e quantificati in 2 o 3 giorni lavorativi nell’altro.
Entrambi i problemi sono gravi, ma prevedibili: le difficoltà operative di un produttore, abituato a vendere all’ingrosso, a gestire ordini al dettaglio è quasi ovvia. Come pure lo è la pressione sulla marginalità e i costi di gestione.
Peccato che questi temi, noti agli addetti ai lavori, poco interessino il consumatore finale.
Ma è il terzo problema che nasconde la scarsa cura dell’esperienza.
Terzo problema: la qualità delle informazioni e processo di checkout.
Le informazioni sul prodotto e sui termini del servizio sono purtroppo vaghe e piene di refusi ed errori ortografici.
Inoltre, in fase di checkout, si chiede di inserire i dati della carta di credito e si autorizza il pagamento completamente ‘’al buio’’, ovvero senza poter controllare e modificare i dati dell’ordine. A questo si aggiunge il reindirizzamento su una piattaforma di pagamento esterna. Il tutto sembra costruito apposta per far abbandonare il carrello. Sarebbe interessante conoscere il loro tasso di abbandono.
A concludere questa sconfortante esperienza, le email di conferma dell’ordine: solo dopo 15 minuti arriva una prima conferma dell’ordine che brilla per l’assenza di informazioni: oltre a un ovvio ‘’Grazie per il tuo ordine’’, non ci sono infatti riferimenti a modalità e tempi di spedizione o consegna.
A complicare il quadro, giunge, dopo oltre un’ora, una nuova mail, piuttosto enigmatica, in cui si conferma che “Stiamo lavorando al tuo ordine, ti manderemo una risposta entro 14 giorni lavorativi”, che sembra francamente un periodo troppo lungo.
La mail contiene anche alcune note ulteriori, tra cui un allarmante “La spedizione potrebbe richiedere più tempo di quanto comunichiamo sul sito”, che non si capisce se è una scusa preventiva o una minaccia.
Spiace perché il prodotto è bellissimo, ma non mi sentirei di consigliare l’acquisto online neppur al mio peggior nemico.
Attenzione ai danni di immagine
Il 2020 ha dimostrato che non presidiare il canale digitale è un errore fatale per brand e organizzazioni. Va ricordato però che farlo male è quasi peggio, perchè si rischia di danneggiare l’immagine del brand stesso.
Inoltre, milioni di consumatori hanno imparato, volenti o nolenti, a comprare online. Difficile che, tornati alla normalità, tutti ritornino in massa alle vecchie abitudini. Resteranno online. Il tema è su quali piattaforme.
Per essere davvero competitivi, occorre investire nella qualità delle esperienze omnicanale.
A tutti i brand ancora scettici viene da chiedere: se non ora, quando?
Who's Who
Federico Della Bella
Consultant P4I, Partners4Innovation – Data Insights & Organization