Quando, dopo anni di prese di posizione contro l’introduzione degli spot all’interno della piattaforma, Netflix ha annunciato un cambio radicale nella propria strategia di business – con il lancio di un piano supportato dalla pubblicità – si vociferava che il gigante dello streaming avrebbe dominato anche questo settore emergente. Un anno più tardi, però, Disney+ e, più recentemente, Prime Video (che, dopo gli USA, dal prossimo 9 aprile introdurrà spot pubblicitari anche in Italia) ne hanno seguito le orme, complicando la conversazione intorno al futuro della TV. La diffusione del modello SVOD (Subscription Video on Demand) aveva completamente trasformato il nostro modo di guardare la TV, dando agli spettatori l’opportunità di vivere un’esperienza televisiva fino ad allora impensabile: il pieno controllo di cosa guardare e quando guardarlo senza pubblicità.
Abbiamo visto, però, che oggi lo scenario sta progressivamente mutando e la domanda sorge spontanea: la crescente popolarità delle inserzioni a supporto dei servizi streaming in abbonamento potrebbe mettere a rischio quell’eccellente esperienza di visione?
L’endorsement che arriva dall’audience farebbe pensare di no. Fino a oggi, infatti, sono oltre 15 milioni gli spettatori in tutto il mondo che hanno scelto la proposta di Netflix di contenuti premium a prezzo ridotto a fronte dell’introduzione di adv. Anche la reazione dell’industry sembra indicare che questa sia la mossa giusta. Solamente negli scorsi mesi, Disney+, Prime Video e Paramount+ hanno tutti lanciato sul mercato una propria offerta supportata dalla pubblicità. I player del settore, dunque, dimostrano di riconoscere del potenziale in questo nuovo modello, a tal punto che pare destinato a diventare la nuova normalità. Se così fosse, però, questi piani non garantiranno più il vantaggio competitivo che hanno offerto finora. Come continuare, quindi, a gareggiare per conquistare l’attenzione degli spettatori?
La TV nell’economia dell’esperienza
Netflix e Disney+ hanno la risposta pronta. La strategia del primo, stando agli ultimi annunci, prevede di continuare a scommettere sull’esperienza ad-supported con un ulteriore aggiornamento delle modalità con cui la pubblicità è integrata alla piattaforma: QR code e sponsorship offriranno agli advertiser la possibilità di incrementare la Brand Awareness senza interrompere la fruizione degli show più amati. Netflix ha perfino scelto di associare a uno dei metodi più popolari di consumo dei programmi, il binge-watching, le dinamiche della gamification, dando all’utente la possibilità di “vincere” un episodio privo di interruzioni pubblicitarie dopo averne visti consecutivamente un certo numero.
Disney, nel frattempo, ha scelto un altro approccio e ha annunciato l’acquisizione della restante parte del servizio streaming statunitense Hulu, il sesto più popolare nel Paese. Disney ne deteneva già la maggioranza sin dall’acquisizione, nel 2019, di 21st Century Fox, ma spenderà all’incirca altri 8,6 miliardi di dollari per un’ulteriore quota del 33% e il pieno controllo della società. Il fine? Sostenere gli obiettivi streaming di Disney. Il piano di quest’ultima per restare competitiva, quindi, è implicito: mantenere il possesso dei contenuti migliori e, forse, della maggioranza dei contenuti in generale.
Queste scelte sono indicative delle ultime evoluzioni non soltanto del settore SVOD o della TV connessa, ma del panorama televisivo nella sua totalità. Ci stiamo, infatti, allontanando dalla “service economy” di cui parlavano gli economisti di Harvard B. Joseph Pine II e James H. Gilmore per avvicinarci a quella da loro stessi definita la “experience economy”, in cui i vincitori sono decretati non soltanto dalla loro abilità di offrire i servizi richiesti, ma anche dalla capacità di affiancare ad essi esperienze di valore. La quantità senza precedenti di player attivi nel settore mette a disposizione dello spettatore moltissimi modi di accedere ai contenuti che desidera. Chi li fornisce, quindi, deve distinguersi attraverso l’esperienza e la scelta che offre loro.
Questi ultimi sviluppi, comunque, dimostrano come le inserzioni pubblicitarie non debbano necessariamente essere escluse dalla competizione per l’offerta di un’esperienza di visione di qualità.
Raggiungere l’irraggiungibile
Se da un lato coloro che in precedenza erano costretti a rinunciare per questioni economiche ai servizi SVOD più popolari hanno oggi a disposizione nuove offerte con pubblicità di cui approfittare, dall’altro ci sarà inevitabilmente sempre chi sceglierà di pagare un prezzo più alto per evitare le inserzioni. Il ricco panorama televisivo odierno basato sull’esperienza incoraggia gli spettatori a cambiare il proprio comportamento, rendendo possibile raggiungere quegli utenti fino a poco tempo fa considerati irraggiungibili. Il nostro ultimo studio Behind the Screens ha rilevato che questa tendenza sta portando alla fine dell’esperienza decennale dello streaming senza pubblicità. Possiamo infatti rivelare in anteprima – i risultati italiani verranno resi pubblici a fine marzo – che, sebbene la maggior parte delle famiglie italiane sia ancora abbonata ad almeno un servizio SVOD, utilizza regolarmente anche un servizio AVOD (Advertising Video On Demand) e uno FAST (Free, Ad-Supported Television), con un 18% che si rivolge alla stessa app ogni qualvolta accende la televisione.
La buona notizia per gli inserzionisti è, quindi, che il concetto di pubblico di streamer “irraggiungibile” sta lentamente scomparendo. Questo lascia però spazio a una nuova sfida: individuare, in questo frammentato scenario, dove gli utenti chiave si recano per l’intrattenimento. Una sfida che vale la pena affrontare. Il nostro recente report Is TV Just TV?, infatti, ha rivelato che i brand i cui annunci vengono visualizzati sulla CTV hanno cinque volte più probabilità di essere percepiti come “moderni” e “innovativi” rispetto ai marchi visti sulla TV tradizionale. Gli advertiser dovrebbero, quindi, cercare di sfruttare i dati per scoprire quali piattaforme utilizza il loro pubblico target e sviluppare strategie per raggiungerlo.
Un cerchio che si chiude
Quando si pensa al futuro della TV, è difficile ignorare l’ironia intrinseca. La rilevante ascesa della CTV è stata guidata dal desiderio di sconvolgere il modello tradizionale, ma per molti versi abbiamo chiuso il cerchio. Siamo di nuovo di fronte a un’offerta composta da contenuti sia gratuiti che a pagamento, con film e cofanetti on demand e programmazione lineare. Gli spettatori, saldamente al comando, passano liberamente da una piattaforma all’altra per seguire il proprio prodotto d’intrattenimento preferito, non limitandosi più ai soli servizi in abbonamento e mostrando maggiore ricettività nei confronti della pubblicità.
Ci sono, ovviamente, delle differenze, in primis la scala: più fornitori, più contenuti, più spettatori, più dispositivi da cui possiamo accedere alla TV. Ciò che resta coerente, però, è come la pubblicità non debba essere necessariamente un danno all’esperienza, anzi: ancora una volta si dimostra un valore per gli spettatori, rendendo accessibile l’inaccessibile.