Digital marketing

Customer experience omnicanale: i nuovi percorsi d’acquisto in un mercato always on

Siamo entrati nell’era dell’everywhere commerce e la multicanalità ha cessato di rappresentare un fattore occasionale od opzionale. Il processo di acquisto omnicanale si perfeziona attraverso un mix di punti di contatto fisici e digitali, seguendo percorsi non lineari. Eppure solo il 36% dei retailer riesce a gestire e utilizzare i dati che arrivano da tutti i touch point. Il Politecnico di Milano ha fatto il punto in un evento

Pubblicato il 28 Giu 2017

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Customer experience management in un mondo omnicanale significa saper governare la quantità di informazioni che concorrono a determinare le nostre propensioni all’acquisto, declinate su più formule di attrazione e di attenzione.

Nello scenario omnicanale, dal negozio fisico al chiosco interattivo, dal sito di eCommerce alla app, dal couponing al contact center, il viaggio ideale verso un prodotto o un servizio può essere immediato (vedo/compro) oppure lunghissimo, mediante un percorso di maturazione che somma vari input. L’assunto fondamentale è che oggi vendere non significa più mettere un prodotto nella borsa del consumatore ma mettergli in testa un concetto (legato alla brand awareness), lavorando meglio sulle informazioni e sulle suggestioni.

Ad accendere le luci sulle ultime tendenze del mercato è Marketing Futuro, gruppo di studio e lavoro creato dal School of Management del Politecnico di Milano e da Zenith Italia, con lo scopo di promuovere la ricerca e il dibattito, con particolare riguardo all’evoluzione degli scenari economici, tecnologici e di consumo. In un convegno intitolato “Everywhere commerce: la relazione consumatore/aziende in un mercato always on” gli esperti hanno fatto il punto.

Customer experience omnicanale e smart retail

Oggi a condizionare le scelte dei consumatori non è più l’economia del bisogno ma, piuttosto, quella del piacere e dell’attenzione. I fattori che possono influenzare il desiderio e la successiva decisione che trasforma le genti in clienti sono una serie di stimoli a combinazione variabile. Possono essere le cerchie sociali, i media tradizionali (il 63% dei consumatori, ad esempio, è ancora influenzato da tv, radio e stampa – Fonte Nielsen 2016), così come le azioni sviluppate da un marketing che, tra newsletter, promo, digital signage, couponing e tecniche di proximity diversificate su un mix di soluzioni (beacon, smart code, sensori e tutte le tecnologie 4.0 correlate) sta agendo in modalità sempre più bimodale (fisica e digitale). Il consumatore è omnicanale e la digitalizzazione della distribuzione è un passo obbligato per intercettare l’evoluzione della domanda e finalizzare al meglio l’offerta.

Dalle smart technologies allo smart retail, i brand devono puntare a generare una seamless customer experience, ovvero un’unica soluzione di continuità tra i vari touch point che costituiscono l’interazione e l’intersezione dei clienti con i marchi, i servizi e i prodotti. La digitalizzazione del retail non è un’opzione, ma un asset strategico del business.

“Da vent’anni studiamo la customer centricity – ha ribadito Luca Centurioni, Chief Strategic Officer di Zenith Italia – e oggi possiamo dire che siamo entrati nell’era dell’everywhere commerce. Oggi la popolazione al di sopra dei 14 anni di età perfeziona il processo di acquisto attraverso un mix di punti di contatto fisici e digitali seguendo un percorso non lineare. Studiare il consumatore e le evoluzione degli iter d’acquisto è diventato fondamentale per tutti gli operatori della distribuzione. Omnicanale significa anche che i clienti comprano quando vogliono, dove vogliono e quello che vogliono, avendo di fronte a sè infinite e nuove possibilità di acquisto e di relazione, sempre più spesso complementari. Per i brand è fondamentale farsi trovare dai consumatori quando questi si avvicinano a un qualsiasi touch point, fisico o digitale”.

La notizia buona, secondo gli esperti, è che i dati ci salveranno: le tecnologie a supporto della distribuzione permettono di tracciare e rintracciare moltissime informazioni legate non soltanto alle scelte ma anche a quei trend che si generano sui social media e che aiutano a cogliere persino di che umore sono i clienti. Il processo di raccolta e di integrazione dei dati è basilare per progettare strategie di fidelizzazione e di vendita più efficaci.

Customer experience, ovvero: comando, posso e voglio

Dal punto vendita fisico all’acquisto on line l’incremento dei consumatori che scelgono di comprare via Web continua a crescere (dal 36% del 2013 al 45% del 2016) ma il fenomeno dell’everywhere commerce accende anche le luci sulle nostre modalità di ricerca di prodotti, servizi e informazioni. Quasi 7 consumatori su 10 (68%) prima di comprare fanno ricerca di prossimità, di cui l’11% davanti al punto vendita, il 17% entro il raggio di un chilometro dal punto vendita e il 40% nel raggio di pochi chilometri dal PDV.

Il problema sono i limiti a un approccio più lungimirante e integrato rispetto al Big Data Management: secondo gli analisti, nell’ambito della raccolta dati meno di 4 brand su 10 (36%) riescono a collezionare e a utilizzare i dati che arrivano da tutti i touch point, mentre il 54% utilizza solo i dati di alcuni touch point (Fonte: Politecnico di Milano 2017).

“Il vero vincitore di Internet è il consumatore – ha spiegato Giuliano Noci, Ordinario di Strategy & Marketing del Politecnico di Milano -. I comportamenti degli italiani si sono notevolmente evoluti e, tra on line e off line, oggi i clienti sono always on. Questo non significa che siamo diventati più razionali, anzi è vero il contrario: il 95% delle nostre decisioni di acquisto non è razionale. Gli shopper cercano modelli capaci di garantire una seamless customer experience che coniuga mondo off line e mondo on line. Il nuovo modello di riferimento è l’everywhere commerce la cui dimensione non può essere perimetrata ma tracciata sì, potenziando l’ascolto per capire meglio i desiderata”.

I dati parlano chiaro: il 38% dei clienti vorrebbe dal brand un’offerta personalizzata, il 64% la consegna gratuita per gli acquisti on line e il 30% avere procedure di reso degli acquisti on line più semplici. Già da questi pochi indicatori è evidente che il focus del customer experience management non è più il prodotto in quanto tale ma il servizio.

“Il quadro psicologico del consumatore è profondamente cambiato – ha aggiunto Noci -. Ai brand serve una nuova agilità che viene dai dati e dalla tecnologia. Un esempio delle informazioni che abbiamo e che i brand non riescono ancora a interpretare? Il 26% del fatturato dell’eCommerce viene dai dispostivi mobili, in Italia siamo tra le prime tre nazioni che registrano la più alta diffusione di smartphone. Eppure l’offerta dei siti in chiave mobile non è certo straordinaria. Come mai? Le ricerche dicono che gli acquisti eCommerce da smartphone abbiano movimentato qualcosa come 3,3 miliardi di euro, con una crescita pari a +63% in un anno. Eppure molti siti non sono responsive e a livello di interaction design e di velocità ci sono ancora tante lacune”.

I retailer devono imparare a gestire il consumatore omnicanale

Come hanno ribadito gli esperti, ci vuole una competenza allargata, capace di cogliere le intersezioni dei Big Data e interpretare le informazioni per costruire visioni strategiche capaci di offrire ai clienti quello che desiderano. Geolocalizzazione, e-mail marketing, carte fedeltà, app possono costruire una importante rete informativa che aiuta chi si occupa di customer experience management. L’obiettivo? Leggere tutti i dati che vengono dai desktop, dai dispostivi mobile e da tutti gli altri touch point per cercare di capire come progettare un’esperienza del consumatore costruita sui suoi comportamenti.

“Oggi è necessario modernizzare il senso delle strategie di branding e porre maggiore attenzione a segnali del cambiamento – ha sottolineato Luca Cavalli, CEO di Zenith Italia -. Parlando di customer experience management quello che emerge maggiormente rispetto all’efficacia della comunicazione è una nuova economia …dell’attenzione. L’agone si gioca sulla capacità di attirare i clienti, disegnando call to action efficaci attraverso tutti i canali disponibili. Il valore del brand è una triade che include vision, lead ed action. Le fan page, ad esempio, sono un capitale conoscitivo importante. Ormai è appurato che gli asset di marca digitali fanno crescere del 10% l’esperienza del consumatore”.

Big data management? Prima di tutto una questione di strategia

Giuliano Noci, Professore di Marketing, Politecnico di Milano

Oggi la sfida non è tanto la concorrenza quanto, piuttosto, riuscire a stare al passo con il consumatore.

“Gli attributi di istantaneità emergono con maggior vigore – ha proseguito Noci -. È evidente come oggi esistano processi di disintermediazione che hanno un impatto incredibile sulle società e sul marketing. In tutto questo, l’elemento del dato nello sviluppo di una value proposition è cruciale. Non è un tema nuovo, ma a rinnovarsi è la domanda fondamentale: come vengono raccolti e gestiti i dati? Bisogna evitare di essere ingordi. Il dato è un elemento imprescindibile ma deve essere opportunamente qualificato. Alle aziende è richiesta una capacità di modellizzazione, partendo sempre e comunque dal presupposto che l’uomo deve rimanere al centro di qualsiasi iniziativa. L’automazione che il digitale porta con sè non deve solo essere un fattore correlativo/statistico”.

L’uomo, ha proseguito Noci, introduce sempre una componente di discontinuità nella logica del machine learning e dell’Intelligenza artificiale. Il consiglio? Non sopravvalutare il supporto dell’automazione nei processi decisionali. Mappare i bisogni e avere contezza dei comportamenti aiuta ad avere il punto di vista del consumatore. Questi sono i migliori presupposti per progettare un’architettura di rilevazione intelligente, senza rischiare l’entropia.

“In Italia la metà dei brand sa che la customer view è importante ma solo il 4% è soddisfatto della propria capacità di ascoltare i propri clienti – ha continuato Noci – , a differenza del 15% dei brand internazionali. La sfida sta in un grosso cambiamento organizzativo, che implica la capacità di ragionare di integrazione e di analisi, considerando come in Italia oltre 5 aziende su 10 (52%) siano coscienti dell’assenza di processi adeguati di alimentazione del CRM e quasi 4 aziende su 10 dichiarino problemi di integrità e unicità del dato. Un 17% ammette la scarsa disponibilità aziendale alla condivisione dei dati e il 22% un’assenza di competenze di analisi dei dati”.

Lato management, il 39% delle aziende intervistate dal Politecnico di Milano ammette un’assenza di visione strategica e di commitment aziendale rispetto alla necessità di cambiamento, il 35% dichiara resistenze organizzative.

Il nuovo ruolo del punto vendita fisico

La supply chain deve imparare a capire in fretta due cose. La prima è che la condivisione dei dati a qualsiasi livello della filiera è essenziale al business. La seconda è che l’everywhere commerce impone una revisione degli asset a partire dai punti vendita fisici il cui ruolo deve cambiare.

Le opportunità sono tante: oltre a essere un canale per la vendita diretta, il negozio fisico diventa luogo di riferimento per il reperimento di informazioni, spazio per l’erogazione di servizi integrativi nonché ambiente privilegiato per la relazione brand/consumatore, in quanto spazio strategico per costruire percorsi esperienziali personali con la marca. Dal prodotto a servizio ci sono diversi modelli integrati di offerta, come si evince dal grafico sottostante:

“Customer experience management significa essere capaci di pianificazioni multimediali – ha concluso Noci – senza diventare degli integralisti dell’online (che comunque ha il vantaggio di avere tantissimi dati a disposizione). L’iperframmentazione della comunicazione è poco strategica: deve cambiare il quadro delle competenze in azienda. Con un assunto di base: la progettazione dell’informazione non deve ruotare attorno ai device ma all’uomo. Bisogna abolire la differenza tra analogico e digitale, poiché il percepito del consumatore è convergente. Per questo il marketing è diventato un ambient activity, in cui i dati sono la materia prima di ogni nuovo ciclo operativo”.

Il consiglio ai retailer? Imparare ad armonizzare arte, scienza e tecnologia per sviluppare una comunicazione su due piani: branding per entrare nell’initial consideration del consumatore e interazione contestuale attraverso una Internet of People capace di generare un ascolto talmente vicino a ogni singolo consumatore da permettere di rispondere ancora più tempestivamente e puntalmente, malgrado la velocità dei cambiamenti e dei trend.

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