Per enfatizzare il ruolo della Customer Experience – CX nel business moderno, nei Paesi anglosassoni si parla senza esitazioni di una top priority, a testimonianza del fatto che il comportamento dei clienti è sempre più influenzato dall’esperienza d’acquisto e di relazione con il marchio (la cosiddetta brand experience) piuttosto che dal prezzo, dall’offerta e – addirittura – dal prodotto stesso. Lo confermano i dati, anche quelli precedenti lo scossone dato dalla pandemia: basta leggere lo studio PwC intitolato Experience is everything: here’s how to get it right, per scoprire che il 32% dei consumatori cambia brand (solitamente, senza comunicare il suo disappunto) dopo una sola esperienza negativa, che il 54% delle aziende è tutt’altro che impeccabile sul fronte della CX e che il 73% di tutti i clienti ritiene l’esperienza di contatto con l’impresa essenziale ai fini della decisione d’acquisto. Un altro dato su cui è interessante riflettere è il fatto che quasi 1 persona su 2 (42%) sarebbe disposta a spendere di più per il prodotto/servizio se solo potesse ottenere un’esperienza migliore, più friendly e soddisfacente. Come anticipato, il tutto si completa con i dati di Walker, secondo cui dal 2020 la CX è diventata un elemento di differenziazione del marchio più potente rispetto al prezzo e al prodotto stesso.
L’evoluzione del Contact Center per un’esperienza sempre migliore
Il servizio clienti, che dal tradizionale call center è ormai diventato a tutti gli effetti omnicanale e quindi contact center, è un elemento cardine della CX. È vero, su quest’ultima incidono praticamente tutte le divisioni aziendali, produzione e logistica incluse, ma alla fine nulla può sostituire, a livello esperienziale, il momento del contatto diretto. Il fatto che avvenga con una telefonata, in una chat, via e-mail o tramite un canale social ha poca rilevanza sotto questo profilo: il Contact Center è fondamentale per l’acquisizione di nuovi clienti e, soprattutto, per la retention di quelli esistenti. Uno studio Microsoft precedente la pandemia quantificava addirittura nel 96% la percentuale di clienti che ritengono la qualità del customer service determinante per la scelta del brand.
A un certo punto, è arrivata la pandemia. Se per tante imprese l’impatto del Contact Center sul business era forte anche prima, la sua centralità è ulteriormente cresciuta e ha imposto un vero e proprio percorso di trasformazione finalizzato a gestire un aumento verticale di carico di lavoro. Si pensi ad una banca o a un punto vendita retail: con gli sportelli, i negozi chiusi e i dipendenti in Smart Working, lo sforzo organizzativo e di trasformazione/abilitazione tecnologica è stato enorme, tanto che non tutte le aziende sono state in grado di reagire nel migliore dei modi. Resesi conto di non avere risorse sufficienti per far fronte alla pressione in crescita, alcune hanno introdotto chatbot e assistenti virtuali, che però non possono mai sostituire al 100% gli operatori e, talvolta, non hanno determinato un buon effetto nei confronti del sentiment degli interlocutori. Altre aziende, più avanti nel percorso di trasformazione digitale, sono state in grado di gestire il nuovo stato di cose miscelando i benefici dell’abilitazione tecnologica con una revisione accurata dei processi; in pratica, hanno iniziato a sfruttare tutto il potenziale dei dati e a riorganizzare le persone, grazie anche alla consulenza di operatori e system integrator dotati di una riconosciuta verticalizzazione nel mondo dei Contact Center.
Tecnologia, processi, dati: le tre aree che rinnovano il Contact Center
In che modo, quindi, operare un processo di cambiamento del Contact Center per renderlo il fiore all’occhiello dell’azienda e permettergli di trasformare in valore tangibile il rapporto con i propri clienti? A tal proposito, abbiamo interpellato Marco Tommasucci, Key Account Manager Finance di ComApp (Gruppo Present), system integrator italiano che può vantare decenni di esperienza ed expertise specifica nell’ambito della progettazione, realizzazione, sviluppo e manutenzione di sistemi di Omnichannel Contact Center.
Di fatto, la modernizzazione si traduce in un intervento su tre macroaree: tecnologica, di processo e di cura delle performance, ovvero di monitoraggio data-driven di tutto ciò che accade nel Contact Center, cosa che peraltro non è legata ai tradizionali KPI ma presuppone un approccio molto più sartoriale e personalizzato. Per quanto concerne il primo punto, l’associazione con il cloud è tanto scontata quanto fondamentale: «Negli ultimi 18 mesi, il Customer Care ha avuto bisogno di trasformazioni veloci e di un time to market ben diverso da quello di una volta – afferma Tommasucci -. Non c’è più tempo di ampliare server o data center, bisogna avere un’infrastruttura abilitante che vive, cresce e si aggiorna da sola. Fortunatamente, tutto questo esiste ed è disponibile. Oltretutto, la pandemia ha fatto crollare qualche residua resistenza nei confronti del cloud, come sempre legata alla protezione dei dati».
Who's Who
Marco Tommasucci
Key Account Manager Finance di ComApp (Gruppo Present)
Il secondo asse portante è l’evoluzione di processo: il business vuole dinamismo e deve essere in grado di rispondere velocemente e in modo coerente (omnicanale) su touchpoint che perdono del tutto la propria componente di fisicità. Questo è possibile solo se i processi del Contact Center sono rivisti in un’ottica diversa da quella di un tempo: oggi il contatto fisico è minore, lo Smart Working rende diffuso il lavoro anche degli operatori e, ciliegina sulla torta, le richieste aumentano in modo esponenziale. «Spesso – aggiunge Tommasucci – la tecnologia c’è, il problema è la riorganizzazione dei processi. Cosa che, sotto alcuni punti di vista, è paradossale perché il Contact Center è una delle pochissime aree in cui tutto è tracciato e monitorato, e l’ottimizzazione data-driven potrebbe essere adottata da anni. Nonostante ciò, spesso il problema sono proprio i processi: solo a titolo d’esempio, alcune aziende hanno cercato di rispondere alla pressione della pandemia implementando la dinamica della call-back, salvo poi non aver le risorse per attuarla. Il risultato, a livello di reputazione ed esperienza del cliente, è evidente». Da questo punto di vista, la soluzione migliore dipende molto dalle dimensioni dell’azienda, dalla sua maturità digitale e anche dal settore, poiché in molti casi (per esempio, nel finance) occorre fare i conti con importanti restrizioni imposte dalla normativa.
Terzo argomento per una trasformazione di successo è la cura delle performance, espressione che secondo ComApp non è solo sinonimo di reportistica o Business Intelligence, ma va interpretata ad un livello più alto, come “attenzione a ciò che accade”. Chi lo scorso anno è riuscito a gestire un servizio clienti esemplare è proprio chi ha monitorato con precisione le dinamiche, le azioni e gli insight del Contact Center, portando al top management proposte migliorative in funzione di misurazioni attendibili. Parliamo dunque di valorizzazione di dati, ma soprattutto di interpretazioni utili, personalizzate e tailor-made dei dati stessi, che vanno al di là dei classici KPI adottati da tutti: «Il vantaggio del Contact Center – spiega Tommasucci – è che vive da sempre su dati e statistiche. È sempre stata l’unica divisione che riusciva, per esempio, a giustificare l’allocazione di un certo quantitativo di risorse in funzione del volume di chiamate in ingresso. Nel tempo, è stato però possibile approfondire sempre di più l’analisi dei dati, costruendo per esempio dei funnel: dei contatti in ingresso quanti si trasformano in vendite? Qual è il tempo giusto di durata di una telefonata in funzione delle performance di quello stesso Contact Center (perché è inutile confrontarlo con quello degli altri, ndr)? Tutto questo fino ad arrivare a svariate tecniche per comprendere la Voice of the Customer, dalla survey a tutta una serie di informazioni insite nei dati e che servono a migliorare il servizio. Quanto è importante la percentuale di silenzio di una telefonata? Che cosa significa? Si tratta di un operatore non preparato o un cliente non a suo agio? Ci sono problemi con i sistemi IT che non permettono di gestire un buon volume di richieste? Oggi, analizzando i dati possiamo conoscere tantissimi aspetti del servizio e dei clienti: dai silenzi e dalle espressioni deriviamo il sentiment, ma possiamo valutare la script compliance dell’operatore e la sua preparazione sul tema, rispetto alla quale potrebbe essere predisposta una formazione personalizzata. Il tutto, logicamente, tenendo conto della normativa in vigore, che di fatto è il vincolo che ha rallentato maggiormente l’adozione della tecnologia».
Massimizzare le performance del Contact Center: il ruolo di una consulenza esperta
Vista la complessità del tema, la trasformazione in chiave digitale e data-driven del Contact Center e dei suoi processi deve essere accompagnata. Per questo, oltre alle competenze tecnologiche distintive, ComApp pone l’accento sul ruolo della consulenza: «Come in ogni progetto di trasformazione digitale, la tecnologia è il fattore abilitante, ma è fondamentale un’attività di consulenza che permetta all’azienda di strutturare al meglio i suoi processi e, soprattutto, di comprendere nel mare magnum dei dati quali e come analizzarli, perché generare valore tangibile in quest’ambito non è cosa semplice. Dal canto nostro, pensiamo di aver accumulato, in tutti questi anni, l’esperienza tecnica e di processo necessaria per rendere il Contact Center un vero e proprio elemento di vantaggio competitivo».