Le performance di un’attività online sono determinate da un’infinità di fattori, tra cui la qualità dei prodotti e del servizio offerto al cliente, la capacità di intercettare le esigenze del proprio target e di garantirgli un’ottima user experience.
Prendendo ad esempio in considerazione un eCommerce, sulle performance di vendita incidono elementi disparati come l’efficacia delle strategie di marketing e delle relative campagne, ma anche la struttura delle pagine del sito, l’interfaccia, il copy e la fluidità del percorso d’acquisto, nonché tematiche che afferiscono all’area tecnica come l’uptime e la velocità di caricamento delle pagine, fattore che, a sua volta, è il risultato di svariate metriche come il Time to First Byte o il Largest Contenful Paint. Secondo Google, il 58% delle persone abbandona un sito mobile dopo 3 secondi di attesa.
La (complessa) relazione tra metriche tecniche e di business
Uno dei grandi vantaggi dell’era digitale è che tutto è monitorabile e riconducibile a KPI di sintesi. Il rovescio della medaglia non è soltanto la loro quantità, ma soprattutto una ownership frammentata all’interno delle aziende. In altri termini, il marketing monitora e cerca di ottimizzare metriche di business come le sessioni, il bounce rate e le conversioni, mentre l’IT ha una responsabilità diretta sulle performance tecniche.
Il primo limite di questo approccio, basato su silos di competenze, di responsabilità e di dati, è l’incapacità di identificare la causa di problemi come campagne non performanti a dovere, un bounce rate in crescita o l’aumento di carrelli abbandonati. Si è trattato di una comunicazione non efficace o, magari, sui canali sbagliati? I contenuti non attraggono il target di riferimento? O semplicemente certe pagine sono lente, magari se visitate in una determinata regione e con un certo browser? Di fronte a diverse concause, a quali dare priorità di intervento? In molti casi, infatti, l’IT rileva dati di performance da ottimizzare, ma se manca una correlazione con quelli di business, non è in grado di definire le priorità. Capita quindi che ci si concentri sull’ottimizzazione di performance che non hanno una connessione diretta con le revenue.
In generale, molte aziende non sono in grado di rispondere a questi interrogativi, e ciò non dipende unicamente dalla mancanza di tool, ma di mindset, di scarsa comunicazione e collaborazione tra business unit che, di fatto, hanno un obiettivo comune. «La trasformazione che vorremmo supportare – ci spiega Cristian Marchisio, Digital Experience Manager di Criticalcase – è un vero e proprio cambio di paradigma. Spesso, le metriche tecniche e quelle di business viaggiano su binari paralleli poiché manca la dovuta collaborazione. Questo approccio dipende anche dai tool disponibili, poiché fino a qualche anno fa il monitoraggio dei parametri tecnici e delle performance di business era eseguito da strumenti diversi e ancora oggi l’integrazione non è particolarmente agevole».
Who's Who
Cristian Marchisio
Digital Experience Manager di Criticalcase
Soprattutto nelle grandi aziende, perfezionare le performance di un sito web comporta una trasformazione in piena regola. In caso contrario, si rischia di replicare tra marketing e IT la tradizionale assenza di dialogo che separa marketing e vendite nei customer journey e che porta a inefficienze e scarse performance.
I tool esistenti e il beneficio dei servizi gestiti
Oggi è possibile affrontare in modo efficace le criticità evidenziate usufruendo di servizi e tool dedicati. Ingaggiando un partner specializzato, inoltre, l’azienda può migliorare rapidamente le performance web senza attendere il completamento di tutto il processo di trasformazione.
Per prima cosa, oggi sono disponibili tool adeguati. A tal proposito, Marchisio sottolinea l’importanza del monitoraggio sintetico e delle piattaforme RUM, ovvero di Real User Monitoring. Nel primo caso, il monitoraggio “simula” il comportamento degli utenti tramite cosiddette “sonde”, così da acquisire continuamente interazioni con il sito e identificare eventuali problemi tecnici. Nel secondo, ancor più interessante, è possibile seguire gli utenti reali nel loro percorso sul sito, monitorare il loro comportamento e correlare le metriche tecniche con quelle di business come i tempi di permanenza, i percorsi, il bounce rate e le conversioni. «Attraverso l’introduzione di un semplice codice javascript nelle pagine – ci spiega Marchisio – un RUM rileva metriche di performance e di conversione di tutte le navigazioni. Così, diviene possibile correlare eventuali drops di conversione con colli di bottiglia tecnici».
Banalmente, il famoso tool Google Pagespeed Insights fornisce proprio un mix di metriche di Real User Monitoring e sintetiche. Sono però dati di livello “base” che servono per un assessment iniziale delle pagine. Per andare più a fondo e conoscere le esperienze di diversi cluster di utenti (region, dispositivi, browser, sorgente di traffico ecc.) e isolare le problematiche occorrono strumenti professionali e processi di analisi dedicati. Criticalcase, a tal proposito, eroga un servizio di Business Monitoring fondato proprio sulla trasversalità delle sue competenze, sull’esperienza con grandi clienti, sulla disponibilità di tool dedicati e sulla capacità di identificare opportunità dall’analisi incrociata dei dati di performance.
Il servizio consta di una mappatura dei sistemi già in essere o che si rendono necessari, dell’identificazione degli obiettivi, della selezione dei KPI realmente rilevanti e del continuo monitoraggio e correlazione dei dati, che confluiscono in dashboard di sintesi e in alert che indirizzano l’azienda verso anomalie e soluzioni. Il punto focale, qui, è la capacità di identificare le metriche realmente importanti, di effettuare correlazioni affidabili e di monitorare costantemente i parametri, a beneficio del business. In questo modo, il servizio funge da anello di congiunzione tra le divisioni e può determinare il reale successo di un’attività online.