Fino a un recente passato, le aziende erano in grado di modellare facilmente la reputazione del proprio marchio utilizzando la pubblicità, le pubbliche relazioni “offline” e i media tradizionali: oggi tutto questo non è più sufficiente, ecco perché si parla di Brand Reputation online. I canali, cosiddetti top-down, come la TV, la radio ma anche le pagine adv nelle riviste cartacee, permettono infatti comunicazioni unilaterali, dall’alto, di cui il target finale ha una fruizione esclusivamente passiva.
Al contrario, oggi è molto più difficile impedire ad altri – utenti, competitor, media – di danneggiare un marchio attraverso opinioni, commenti e recensioni negativi espressi online. Con l’ascesa dei social media, le aziende stanno scoprendo come anche il più piccolo errore possa distruggere un marchio in pochi minuti, attraverso un effetto virale davvero difficile da contenere. La comunicazione, ai nostri giorni, si fa orizzontale e bilaterale, democratica e priva di gerarchia: ciò che una marca dice è passibile di critica e giudizio immediato e pubblico da parte di chiunque, e la marca stessa ha il dovere di prendere in considerazione questi feedback della propria audience, fornendo una risposta diretta e trasparente.
Cos’è la Brand Reputation online e come cambia oggi
Con l’espressione Brand Reputation ci si riferisce al modo in cui un particolare marchio (sia un individuo o un’azienda) è visto dagli altri, dalla propria potenziale audience. Avere una reputazione di marca favorevole significa avere dei consumatori che si fidano della vostra azienda, che apprezzano i prodotti o servizi che si offrono loro. Una reputazione di marca sfavorevole, invece, porterà i consumatori a diffidare dell’azienda ed esitare ad acquistare prodotti e servizi.
Lungi dall’essere una vanity metric, infatti, la reputazione online è strettamente legata al business: lo sanno bene tutte quelle aziende che si sono trovate coinvolte in una crisi reputazionale che ha avuto forti impatti sugli introiti della società.
Una crisi reputazionale è una situazione in cui un’organizzazione rischia di subire o subisce gravi danni alla propria immagine pubblica. Può dipendere da uno scandalo che coinvolge i vertici aziendali, un grave errore nella comunicazione istituzionale durante eventi e conferenze stampa oppure un reale problema operativo, di errata produzione di un prodotto, ad esempio.
Bisogna, infatti, distinguere tra l’attività di Crisis Management – cioè la gestione contingente di una crisi conclamata e in atto – e il Brand Reputation Management, inteso come gestione costante e necessaria della presenza pubblica (online e offline) di un marchio.
Ma come cambia oggi l’attività di gestione della reputazione rispetto a prima del consolidarsi del web come canale di comunicazione principale?
L’era “analogica” non era certo esente da crisi di reputazione: la verità, però, è che gestire un articolo particolarmente negativo pubblicato su un quotidiano cartaceo era molto differente dal saper maneggiare, oggi, un analogo episodio negativo su una rivista online o sui social media.
Le differenze essenziali sono la velocità di diffusione della notizia negativa e la sua pervasività: si calcola che una crisi reputazionale sui motori di ricerca abbia una coda estremamente lunga perché i risultati della SERP di Google sono non solo duratori ma potenzialmente incancellabili. I motori di ricerca non dimenticano (tant’è che esiste una branca specializzata della gestione della web reputation, chiamata Search Engine Reputation Management o SERP Reputation Management).
E non solo, a questo si aggiunge la componente virale data dai Social Media, dagli User Generated Content come recensioni e commenti, in sostanza dalla totale libertà di espressione che è il minimo comune denominatore del mondo digitale contemporaneo.
Perché la reputazione è importante per un brand
Secondo una statistica elaborata da eMarketer, ben l’83% degli utenti web a livello internazionale si dicono influenzati da ciò che trovano in Rete relativamente a un prodotto, a un brand o a un personaggio pubblico.
Se mi sto informando online su un prodotto che vorrei acquistare, cercherò recensioni e opinioni sull’oggetto: se queste ultime sono negative, se su Google, su Amazon o sui Social Media la maggior parte degli utenti parla “male” di quello specifico articolo, mi convincerò che è pessimo e difficilmente lo acquisterò.
Questo meccanismo, davvero molto potente, si chiama Social Proof o Riprova Sociale, una convalida esterna, una rassicurazione in merito a una decisione d’acquisto che dobbiamo prendere.
In questo senso, tutto ciò che resta a lungo sul web può diventare un amplificatore di brand awareness e volume d’affari, se positivo, ma un incredibile danno d’immagine e di fatturato, se è negativo.
Come migliorare e proteggere la Brand Reputation online
Ci sono moltissimi casi famosi di reputazione messa in pericolo, scivoloni ed errori amplificati dal web e dai social. Quali sono i fattori che possono scatenare una crisi?
Ce ne sono molti, alcuni dei quali non legati direttamente alla responsabilità del marchio in sé, ad esempio leggerezze comportamentali dei dipendenti: un famoso esempio è quello di Domino’s Pizza, fortemente colpita da un video goliardico in cui un dipendente si prendeva gioco delle norme igieniche vigenti nei punti vendita della famosa catena americana di pizzerie.
Oppure, Patrizia Pepe, il noto fashion brand, che qualche anno fa ha dovuto fronteggiare una crisi sui social legata alle accuse di eccessiva magrezza delle modelle presenti nella campagna pubblicitaria dell’epoca: in quel caso, un social media manager con poca esperienza aveva risposto in maniera sgarbata e fuori da qualsiasi guidelines di comunicazione (e di buonsenso), insultando gli utenti che accusavano l’azienda di promuovere disordini alimentari e dispercezione corporea femminile.
Discorso molto diverso quello relativo ad Amadori, il marchio italiano del food danneggiato da un servizio TV, a seguito di uno speciale della trasmissione Report.
Esistono anche casi in cui una reputation troppo compromessa, soprattutto a livello personale, ha impatti forti sulla vita, sia professionale che privata, dei singoli: in questo caso, esistono strategie di managent estreme come la richiesta di Diritto all’Oblio, da inviare direttamente a Google.
Ma come proteggersi per evitare una crisi e come agire per fronteggiarla se già in atto? Ecco 5 step essenziali:
1. Monitoraggio costante del proprio marchio
Essere costantemente aggiornati con quanto viene detto online sul proprio brand è la base imprescindibile di ogni strategia di brand reputation management. Non servono strumenti complessi, al contrario: impostare correttamente una serie di Google Alert relativi al proprio nome-brand è sufficiente per ricevere ogni giorno un’e-mail riepilogativa di quanto si dice di noi sulle SERP. Esistono anche diversi tool specifici per rilevare il sentiment online, in particolare per i social media, ma anche in questo caso è bene tenere sotto controllo i propri canali in modo diretto;
2. Attenzione e moderazione dei social media
Riprendendo il punto precedente, la moderazione delle pagine social aziendali è fondamentale per rilevare e disinnescare eventuali criticità. Senza un monitoraggio costante, infatti, è possibile scoprire interi thread di commenti negativi degli utenti quando ormai è tardi, quando ormai le conversazioni sono diventate troppo strutturate e i toni si sono inaspriti al punto da rendere complesso invertirne la tendenza. Allo stesso modo, una risposta personale, puntuale, cortese e ferma a opinioni fortemente negative espresse su Facebook o Instagram, recensioni penalizzanti o espressioni di disagio per prodotti/servizi non rispondenti alle aspettative della clientela, è d’obbligo, nonché l’unico modo per mostrare l’azienda in una luce di positività, di apertura alla critica e all’ascolto del cliente,
3. Grande cura delle recensioni
Le recensioni, soprattutto sugli e-commerce, possono essere un’arma a doppio taglio. È importante moderare le recensioni negative, discernere tra quelle autentiche – magari riuscendo a estrapolarne dei validi insights per migliorare il nostro prodotto, il servizio di customer care o di spedizioni – e quelle “fake” inserire da qualcuno che vuole apertamente danneggiare il marchio o da bot automatici, che possono anche essere segnalate e rimosse. Una risposta personale e con toni sempre molto polite – come detto anche per i social media – vale anche in questo caso come best pratice: un esempio sono gli UGC su TripAdvisor, che possono fortemente danneggiare la reputazione di un ristoratore se non lette e non gestite correttamente;
4. Grande cura del customer care
Avere tool di customer care di facile accesso – ad esempio, una live-chat sempre presidiata ed efficiente – è un altro potente strumento capace di spostare un’opinione negativa che si sta formando (causata da un disservizio o una pecca in un prodotto) in un percepito positivo grazie a un’assistenza clienti sollecita, pronta all’ascolto e alla risoluzione immediata del disguido, anche attraverso rimborsi o proposta di codici promozionali all’utente “arrabbiato”;
5. Trasparenza e fare del proprio meglio
Ultimo punto, ma non certo per importanza, anzi, dovrebbe essere il più importante: fare sempre del proprio meglio. Un errore può capitare ma un’azienda che lavora bene, che mette reale cura sia nel proprio prodotto/servizio sia nel modo in cui viene comunicato alla customer base, sarà meno soggetta a crisi reputazionali. La trasparenza, oggi che siamo sempre connessi e abbiamo accesso a qualunque informazione in ogni momento, è la linea di condotta più efficace.
Brand Reputation ed etica, come le aziende possono migliorare la propria percezione
Legato all’ultimo punto del precedente elenco, approfondiamo il concetto di trasparenza e di etica da parte delle organizzazioni. Oggi ci sono molti modi per un’azienda di coinvolgere gli utenti, lasciare una percezione positiva e creare un senso di comunità tramite valori condivisi. Secondo recenti dati Nielsen, ad esempio, il 62% dei consumatori italiani afferma che la responsabilità della tutela ambientale è in capo proprio ai Brand e alle grandi società di produzione.
Il Green Marketing e un approccio sostenibile – in senso sociale, ambientale ed economiche – delle big company, quindi, non è solo importante, è considerato quasi necessario e dovuto dal punto di vista dell’utente finale.
Allo stesso modo, politiche inclusive e realmente paritarie, che portino a una parità di genere, condizioni e possibilità all’interno dei team aziendali – ben oltre il concetto ormai superato delle cosiddette “quote rose” – è un altro punto fondamentale nell’ordine del giorno per farsi davvero percepire come moderni ed etici da parte di dipendenti e potenziali clienti.
La Reputazione, quindi, non sarebbe qualcosa che si può costruire a tavolino, grazie a un ottimo stoytelling di marca, al contrario: secondo una ricerca Accenture Strategy, i consumatori non si interessano più solo alla qualità dei prodotti che acquistano, data quasi per scontata, ma orientano le proprie decisioni d’acquisto verso marchi che ritengono degni, etici, “buoni”, che riflettano i loro valori personali. Un consumatore su due afferma di aver smesso di comprare un articolo valido perché il marchio che lo produce non si comporta in modo sostenibile e positivo, a livello sociale e/o ambientale.
La brand reputation, soprattutto online, quindi, non è affatto un semplice vanity metric, al contrario, è un reale driver di fatturato.