Il brand con cui stringere una relazione che può durare tutta la vita? Quello che si dimostra capace di essere vicino alla persona nel momento preciso in cui ne ha bisogno. È questa la convinzione di Irene Pipola, responsabile Commercial Operations Strategy & Development di Vodafone Italia, ed è questa la molla che spinge il suo team a conoscere a fondo i clienti facendo leva sugli analytics (forniti da SAS). L’obiettivo è costruire modelli predittivi basati sui comportamenti dei singoli e non sulle caratteristiche dei cluster, piattaforme di CRM capaci cioè di intercettare esigenze specifiche, per ritagliare risposte e offerte su misura massimizzando il momento di contatto sia per il consumatore che per l’azienda. Oggi si può dire che Vodafone sia lanciata a tutta velocità lungo questa direzione, anche se si tratta solo dei primi pionieristici passi verso la costruzione di una conversazione continua con il cliente che trascenderà il concetto di omnicanalità. Anche sulle diverse proposizioni in ambito IoT, a cui sta lavorando il gruppo. Ne abbiamo appunto parlato con Irene Pipola, incontrata in occasione del SAS Forum 2016 (qui il reportage dell’evento).
Quando sono stati introdotti gli strumenti analitici per il CRM?
Gli strumenti analitici in Vodafone esistono da 15 anni: i dati dei clienti sono la linfa per qualsiasi operatore telefonico. Ma gli advanced analytics sono stati introdotti molto più recentemente, quando ci siamo resi conto che di fatto riuscivamo a utilizzare solo una parte delle informazioni a nostra disposizione. Abbiamo quindi letteralmente cambiato approccio, passando dall’applicazione su specifici verticali a una lettura estesa dei dati finalizzata a comprendere meglio i fenomeni in chiave customer-centric. Questo ha richiesto un enorme lavoro di integrazione e soprattutto di pulizia, che essenzialmente significa sistematizzare il bagaglio di esperienza che l’azienda ha maturato fin dalla sua nascita.
Quali sono le risorse che hanno accesso agli analytics: le iniziative personali basate sui dati hanno in qualche modo modificato la classica catena decisionale basata sulla gerarchia?
Per rispondere alla prima domanda, posso dirle che stiamo diventando tutti quanti un po’ data scientist, acquisendo via via nuove competenze. La comprensione dei dati è ormai imprescindibile per svolgere il nostro lavoro. Rispetto alla capacità decisionale, gli analytics hanno generato due tipi di impatto. Il primo sulla velocità: anche se non è mai quanto vorremmo, oggi riusciamo a capire e scegliere in tempi molto più rapidi di prima. Il secondo effetto riguarda l’obiettività: se a una riunione operativa le informazioni sono sufficienti per avanzare una raccomandazione, nessuno contraddice l’evidenza. E non dimentichiamoci che il vero capo è il cliente. Se un’indicazione arriva direttamente dal mercato non può essere ignorata.
Come è cambiato il rapporto con il reparto IT: i sistemi informativi sono coinvolti nei processi di business?
In Vodafone l’IT ha da sempre partecipato a tutti i tavoli, e ha sempre avuto un ruolo estremamente propositivo. Ogni organizzazione ha poi un suo proprio vocabolario, e così come noi non conosciamo approfonditamente gli aspetti tecnici, l’IT non sempre dispone di una visione completa delle esigenze di business. Per favorire l’integrazione dei vari punti di vista vengono predisposti dei momenti di confronto e addirittura degli hackathon, che coinvolgono risorse delle varie divisioni, ma anche elementi esterni all’azienda. Il tutto, ancora una volta, per agevolare e migliorare i processi che disegnano la user experience del cliente.
Tra sito internet, social media e call center possiamo già parlare di visione unificata rispetto ai punti di contatto con il cliente?
Il sistema oggi assimila dati sull’efficienza della rete, verbatim, storico delle interazioni tra azienda e consumatori e alimenta i pilastri del CRM di Vodafone, che sono: care, personalizzazione, social strategy e digital first. Il quarto elemento sta diventando sempre più preponderante grazie all’utilizzo della mobile app My Vodafone. Il cliente ci sta dicendo che è un tool comodo, non invasivo, multitasking. Possiamo quindi utilizzarlo per avvicinare il brand all’esperienza quotidiana e creare un rapporto personale, spostando il concetto di omnichannel su questo touchpoint e facendolo comunicare con gli altri canali. Lo scopo è renderlo talmente efficace da fare in modo che il primo strumento di contatto sia anche l’ultimo. Ovvero l’unico.
Qual è la missione nel medio termine?
Finora in effetti ci siamo concentrati su azioni “Fix the basics”, adesso è arrivato il momento di concretizzare quanto cominciato. Con gli analytics possiamo essere molto più ambiziosi: in gioco c’è lo sviluppo di modelli predittivi attraverso cui potremo mappare le esigenze dell’individuo sulla base delle sue caratteristiche personali, della situazione e del contesto specifico in cui si trova, sempre nel rispetto delle norme di privacy. Le domande sono: che tipo di necessità può avere il cliente? Su quale canale preferirà contattarci? Che tipo di informazioni ci chiederà? Se riusciremo a intercettarlo un attimo prima che ci chieda una mano e a fornirgli informazioni e assistenza in senso proattivo riusciremo a sorprenderlo e a conquistarlo. Sul lato operativo, tutto ciò implica la segmentazione della customer base sui comportamenti effettivi dell’utente. Questo ci consentirà di migliorare la proposizione commerciale sotto il profilo strategico, non solo perché raggiungeremo le persone nel momento in cui sono più disponibili ad ascoltare l’offerta, ma ridurremo in maniera sensibile anche l’inevitabile spamming.