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Customer Experience omnicanale: come estrarre reale valore dai dati

Dalle interazioni tra clienti e contact center si possono ricavare informazioni utili e preziose per massimizzare l’efficienza dei processi e costruire migliori esperienze per l’utente. La tecnologia è disponibile, ma non tutte le aziende sono pronte. Con l’aiuto di ComApp, scopriamo come intraprendere questo percorso

Pubblicato il 05 Ago 2022

customer experience omnicanale

Nell’era dell’omnicanalità, il contact center è una vera e propria miniera di dati, e quindi di informazioni. Non tutte le imprese, però, hanno le competenze, gli strumenti o anche solo l’interesse a valorizzarli. In questo modo, enormi volumi di dati vengono impiegati semplicemente per definire e monitorare i livelli di servizio, cosa non dissimile a quanto si è sempre fatto. Il valore contenuto nelle relazioni tra l’azienda e il cliente si riduce a rilevazioni quantitative come il numero di interazioni, i tempi di attesa, l’Average Handling Time (AHT), la quantità di chiamate ripetute e via dicendo.

Analisi qualitative per migliorare la Customer Experience

Fortunatamente, da analisi di tipo quantitativo ci si sta spostando sempre di più verso analisi qualitative, fondamentali per realizzare valore da volumi di dati che, altrimenti, si tradurrebbero semplicemente in costi per l’azienda.

La spinta verso analisi approfondite delle relazioni con i clienti dipende non solo dalla digitalizzazione dei canali di contatto e dall’omnicanalità, ma anche dalla sempre maggiore centralità della Customer Experience nelle strategie delle imprese, in quanto elemento di differenziazione competitiva. I dati delle interazioni con i bot, le conversazioni telefoniche con gli agenti, i dati degli IVR e i percorsi di navigazione nei siti web diventano elementi da cui estrarre la voice of the customer, cioè comprendere le sue esigenze, necessità e bisogni, e capire se l’azienda è stata in grado o meno di soddisfarli. Da qui, logicamente, si può partire con percorsi di ottimizzazione dei processi e, quindi, dell’esperienza del cliente.

Il ruolo della tecnologia e degli interaction analytics

Nel percorso di valorizzazione delle relazioni tra le imprese e i clienti, la tecnologia è un supporto imprescindibile: “Sta finalmente prendendo piede – ci spiega Gloria Guidi, Sales Support & Consultancy Manager di ComApp – una tecnologia di cui si parla da tempo: gli Interaction Analytics. Questa ci permette di analizzare tutti i dati delle interazioni testuali e vocali, così da comprendere ciò che rappresenta davvero un valore per il cliente. In questo modo, le aziende si avvicinano al loro pubblico, comprendono eventuali motivi di insoddisfazione e modificano di conseguenza i processi non particolarmente efficaci”.

Valorizzare l’interazione con il cliente, indipendentemente dal canale e dal fatto che avvenga tramite un agente o un bot, genera un’infinità di benefici per le imprese, che vanno ben oltre l’ottimizzazione della relazione diretta: a titolo d’esempio, con questo tipo di analisi è possibile comprendere l’efficacia di una campagna marketing o di comunicazione esterna, la qualità dei prodotti, la reattività dell’impianto logistico e molto altro. “I dati si prestano a svariate analisi – prosegue Guidi – e sono tutti molto interessanti. Quali utilizzare e che tipologia di analisi intraprendere dipendono dallo scopo della stessa e anche dal soggetto (funzione, divisione aziendale, ndr) che la pone in essere”. L’IT, per esempio, avrà interesse a comprendere se i sistemi sono reattivi, al marketing interesseranno tutte le sfumature della voice of the customer, le operations – in un contesto manifatturiero – cercheranno di risalire il più in fretta possibile ai lotti difettosi.

I diversi tipi di analisi e le sfide da affrontare

Come spesso accade nei percorsi di trasformazione digitale, la tecnologia non è l’elemento critico. Semmai, lo sono certe lacune nei processi, la cultura o l’esperienza dell’azienda in un determinato ambito.

Guidi sottolinea quanto, nel percorso di valorizzazione del dato, l’elemento cardine – che è anche la sfida più grande – è definire in modo chiaro l’obiettivo, lo scopo delle analisi. Dopo di che “occorre introdurre una politica continuativa di ascolto del cliente, di analisi dei risultati e successiva ottimizzazione dei processi, così da valorizzare tutte le informazioni ottenute”.

Definire l’obiettivo e lo scopo dell’analisi non è semplice, perché essa non è necessariamente rivolta a migliorare l’esperienza del cliente: lo scopo potrebbe essere valutare la conformità delle conversazioni con le policy interne e i regolamenti, oppure rilevare le performance del contact center e della forza lavoro, nel rigoroso rispetto della normativa vigente. L’analisi delle relazioni può infatti far emergere opportunità di organizzare sessioni di training, di rivedere dei processi e di gestire meglio le escalation, anche dall’assistenza automatizzata a quella umana. Nell’era dello Smart Working, laddove i processi devono essere in qualche modo adeguati a un nuovo modo di lavorare, avere i dati e valorizzarli è l’unica strada che conduce ad efficienza ed efficacia.

In tutto ciò, si diceva, la tecnologia non è mai un ostacolo. Ciò su cui le aziende faticano, oltre alla citata definizione degli obiettivi di analisi, è comprendere le reali potenzialità dei dati e interpretare in modo corretto i risultati ottenuti. Come anticipato, fino a poco tempo fa i KPI erano impiegati solo per valutare i livelli di servizio; oggi, a tutte le informazioni già presenti da tempo si sommano moltissime nuove sorgenti e tipologie di dati. L’interpretazione dei fenomeni non si limita più a un KPI “tradizionale”, ma deriva da analisi complesse, da confronti e arricchimenti di dati. Questi, infatti, non si limitano a disegnare il comportamento del cliente e le sue esigenze, ma possono abilitare un approccio predittivo sui comportamenti stessi, nonché sulle performance future del contact center, rispetto a diversi eventi e scenari possibili.

Per valorizzare davvero il dato nell’era omnicanale sono necessarie esperienza e fortissime competenze di dominio: “Riteniamo che le aziende vadano accompagnate in questo percorso. Altrimenti, rischiano di concentrarsi solo sulla tecnologia, che per quanto sia essenziale non è il primo aspetto da valutare. Per questo, sosteniamo da sempre che l’approccio davvero utile sia quello ibrido, ovvero una giusta miscela di tecnologia e di consulenza”. Solo in questo modo, secondo ComApp, le aziende possono davvero estrarre valore dai dati, superando logiche consoliate, KPI di base e anche una certa resistenza al cambiamento che le separa dal soddisfare i propri clienti e ottenere – contestualmente – la massima efficienza.

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