Ancora pochi giorni e scatterà la rivoluzione dei domini che dai 22 attuali, esclusi quelli nazionali, potranno arrivare a 1.400. Una nuova geografia dei General top level domain che prevede una maggiore verticalizzazione delle estensioni con l’arrivo di .auto, .shop, .shoes solo per fare qualche esempio. Senza contare che alcune aziende (in Italia Gucci, Ferrero e Fiat) avranno le estensioni che corrispondono al brand.
Una rivoluzione, spiega Jerome Sicard, Regional director Southern Europe di MarkMonitor, “che rappresenta un’opportunità per le aziende che possono in questo modo creare comunità formate dai consumatori appassionati dei loro marchi. Senza arrivare ad acquisire un dominio aziendale è possibile infatti acquistare una estensione all’interno del dominio principale. .car.nomeazienda, oppure .luxury.nomeazienda.
Sicard non nasconde che l’allargamento della base domini da parte dell’Icann non è stata una decisione esente da polemiche. “Il problema non sono i domini aziendali, ma quelli generici, circa 600 su 1.400, che se da una parte sono un’opportunità dall’altra complicano la vita delle aziende”. E qualcuno ha parlato anche di ricatto.
L’idea è di segmentare la Rete dirottando i consumatori su domini, per esempio .luxury che ospiteranno i maggiori brand mondiali. Per le aziende diventa quindi quasi obbligatorio essere presenti acquistando nuove estensioni. “Perché se qualcuno registra il .luxury.nomeazienda con il tuo marchio è poi possibile recuperarlo tramite un’azione legale, ma si tratta di procedure non certo economiche che comportano qualche mese per essere portate a termine”.
In più molte aziende non possono limitarsi a comprare un solo dominio ma ad assicurarsi anche la versione in cinese e quella che riguarda un settore di business confinante. Un brand del mondo fashion dovrebbe essere quindi presente nel .luxury, .shop se fa scarpe anche nel .shoes con le varie declinazioni in altre lingue.
Da cinquantamila a centomila euro con un centinaio di nuove estensioni per una società internazionale è la spesa stimata da MarkMonitor, il registrar che aiuta i suoi clienti a disegnare una strategia per fronteggiare la nuova situazione mettendo anche in sicurezza i nuovi suffissi. Si tratta di una stima “minima e conservatrice” precisa il manager della società.
La vicenda pone anche seri problemi di sicurezza. Da una parte infatti ci sono le forme di protesta di Anonymous e dall’altra le iniziative ben più pericolose di organizzazioni criminali che prendono il controllo di domini commerciali o dei server di mail. “le possibilità di attacco quando si prende il controllo di un dominio commerciale sono moltissime”, spiega Sicard, aggiungendo che basterebbe dotarsi di un registry lock che blocca l’accesso ai server per dormire sonni molto più tranquilli. Un servizio dal costo bassissimo, un migliaio di euro, che MarkMonitor assicura ai suoi clienti (fra i quali ci sono anche Google e Microsoft) ma che non è molto diffuso anche in Italia dove spesso la gestione dei domini è in mano all’ufficio legale per le questioni legate alla proprietà intellettuale.
Negli Usa però tutto è nelle mani del marketing soprattutto ora che arrivano le nuove estensioni “che cambieranno il modo di vendere online e porteranno a un approccio più collaborativo fra e-commerce e area legale”. I domini sono ormai entrati a fare parte del marketing mix.