Giorgia Lupi, una importante data designer, durante una sua permanenza a New York, si è cimentata in uno strano esperimento: dopo aver concordato con un’amica a Londra una legenda, si è con lei scambiata per un anno lettere descrittive delle esperienze vissute, ma composte solo di simboli e quantità così da vivere sulla propria pelle ciò che ha sempre raccontato: “i dati non esistono”. Sono i fatti ad esistere: i dati sono uno dei modi con cui gli uomini li rappresentano per comunicarli ed interpretarli.
Tutti siamo oggi consapevoli di quanto il possesso e l’uso dei dati sia centrare nella concorrenza fra i grandi player digitali e va cercata proprio nei dati la ragione di una importante innovazione nell’offerta pubblicitaria di Google.
Google ha infatti di recente dovuto introdurre in Google Ads ciò che Facebook e Linkedin avevano già lanciato nei mesi precedenti: i lead generation ads.
Che cosa sono i lead generation ads
Si tratta di un formato che non richiede, a valle dell’annuncio pubblicitario, l’esistenza di un sito esterno o di una landing page di atterraggio: la compilazione del form ha infatti luogo all’interno di un ambiente fornito dalle diverse piattaforme e prescinde quindi da aspetti di usabilità e conversione del sito dell’inserzionista. A rafforzare l’immediatezza di questo formato, in alcuni casi i dati degli utenti risultano addirittura precompilati attingendo alle informazioni che già le piattaforme posseggono come il nome, il cognome e l’e-mail.
Per quali ragioni, i tre grandi player hanno introdotto un formato di questo tipo?
Il primo ordine di ragioni può costituire un vantaggio per gli inserzionisti:
– dato il crescente traffico mobile, la finalizzazione del percorso sollecitato dall’annuncio pubblicitario non rischierà di essere messa a rischio da siti inadeguati o più semplicemente dal passaggio fra la navigazione all’interno di una app social e un sito web;
– la visibilità della misura con cui sono compilati i diversi form di contatto permette alle piattaforme di introdurre modelli di addebito orientati al cost per lead così da risultare competitivi nella propria offerta pubblicitaria;
– Facebook poi consente una successiva azione di retargeting nei confronti di chi non ha compilato il form.
È evidente però che le ragioni dell’introduzione di questo nuovo formato risiedono però anche nell’interesse delle grandi piattaforme:
– l’efficacia della loro offerta pubblicitaria non dipenderà in questo modo dalla qualità dei siti degli inserzionisti, per questo non rappresentando un vincolo alla monetizzazione del traffico;
– proprio come pixel e tag integrati nei siti terzi, anche questo formato produce dati sulle preferenze e sul comportamento dei propri utenti e arricchisce la conoscenza che tali piattaforme hanno di loro.
– le campagne pubblicitarie di lead generation sono sempre state progettate e gestite dall’ecosistema di agenzie digital a supporto delle aziende: l’intento dell’offerta pubblicitaria delle piattaforme è presentarsi come accessibile in modalità self service così da abbracciare un più ampio numero di inserzionisti.
Come sostiene l’ingegnere statistico William Deming, “senza dati siamo solo altri tizi con un’opinione”. L’introduzione dei formati di lead generation ads consente quindi agli inserzionisti di concentrarsi sul più importante di questi termini, l’opinione – frutto dell’esperienza e di una visione del mercato che ciascuno di noi deve possedere – e di mettere l’opinione al servizio da un lato della conoscenza del valore economico con cui competere per ottenere la lead e dall’altro del valore da offrire all’utente perché decida di cogliere l’opportunità fornita e compilare il form oggetto della comunicazione pubblicitaria.