L'opinione

Internet advertising, confusione e allarmi. Il caos delle metriche delle campagne online

Come sapere se una impression (un banner, un post…) è stata erogata e vista dal target giusto? Le metriche utilizzate per la pubblicità su Internet sono tantissime e oggi «stiamo vivendo una sorta di isteria della misurazione», secondo Fabrizio Angelini, CEO di Sensemakers – comScore Italia, società internazionale specializzata in questo ambito

Pubblicato il 26 Lug 2017

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Fabrizio Angelini, CEO e Founder di Sensemakers

Stiamo vivendo una sorta di isteria della misurazione. Ad affermarlo è un esperto del settore, Fabrizio Angelini, CEO di Sensemakers – comScore Italia, società internazionale specializzata in questo ambito. «Si seguono le mode senza comprendere i criteri sottostanti e quindi senza sapere su cosa puntare per preservare l’investimento. L’ultima emergenza è la brand safety: riceviamo richieste assurde. La realtà è che ad ogni singola impression erogata possiamo associare un enorme set di attributi. Ma se non c’è accordo su quali metriche utilizzare tutta questa complessità non serve a niente». Angelini ne approfitta per fare un po’ di chiarezza e spiega che in realtà esistono tecnologie per misurare se un’impression (un banner, un post…) è inviata, erogata e vista e che questi parametri sono consolidati a livello internazionale. «Si misura la “opportunity to see”. La viewability ci dice cioè se una impression ha avuto l’opportunità di essere vista, e non se una pubblicità è efficace o crea engagement e tanto meno serve per calcolare il ROI di una campagna. Certo, ci sono molti studi che permettono di dire che sopra certe soglie c’è una ragionevole probabilità che quell’ impression possa avere avuto un impatto. Ma il mercato le sta dando un significato diverso da quello per cui è nata». Tanta confusione anche sul CTR (Clic Through Rate), parametro usato per misurare l’engagement. «La verità è che non c’è nessuna correlazione diretta fra CTR e vendite, anzi è l’inverso».

L’esperto sfata anche due falsi miti: l’adblocking, che tanta paura faceva in passato, oggi è usato solo dal 13% degli utenti in Italia e seconcepito in maniere corretta dovrebbe aiutare la qualità; e il traffico invalido dichiarato dagli editori per gonfiare i risultati, cioè le frodi, è oggi a un livello medio dell’1%, quindi molto basso.

Altri dati sono invece realmente allarmanti: si stima che il 46% delle impression erogate non vengano mai viste, e che la distribuzione non sia omogenea, ovvero ci sono poche persone che ne ricevono moltissime, perché in Internet il peso degli heavy users (che usano diversi browser e a cui vengono associati quindi vari cookie) è molto alto. Questi sono importanti fattori di dispersione per gli investimenti, in realtà poco considerati.

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