La comunicazione ufficiale è dello scorso 27 luglio: Google amplierà la “finestra di test” delle sue Privacy Sandbox API e ritarderà il ritiro dei cookie di terze parti fino alla fine del 2024, e non alla fine del 2023 come precedentemente annunciato. Molti analisti e marketer hanno tirato un sospiro di sollievo, altri criticano questa mancata coerenza nelle prese di posizione della Big Tech. Vediamo il perché di questo posticipo.
Google posticipa il blocco dei cookie di terza parti
Google lo fa un’altra volta: spostata in avanti nuovamente la scadenza per quella che molti hanno definito “Cookiepocalypse”, ossia il ritiro totale dei cookie di terze parti dal web.
“Il feedback più coerente che abbiamo ricevuto è la necessità di più tempo per valutare e testare le nuove tecnologie di Privacy Sandbox, prima di ritirare i cookie di terze parti in Chrome”, ha scritto Anthony Chavez, VP di Privacy Sandbox, in un post sul Blog di Google, in cui annunciava la nuova linea temporale. “Questo approccio deliberato alla transizione dai cookie di terze parti garantisce che il Web possa continuare a prosperare”.
Ovviamente, non si tratta di una decisione di Google soltanto: la “data deprecation”, ossia il processo per limitare l’uso per scopi pubblicitari dei dati degli utenti da parte di inserzionisti di piattaforme ads e altri strumenti di monetizzazione, è più grande delle sole azioni di Google e sta già accadendo da tempo.
Safari, Firefox e altri browser hanno già eliminato gradualmente i cookie di terze parti e lanciato funzionalità alternative di protezione della privacy. Le nuove proposte di legge sulla privacy continuano a evolvere, con i recenti provvedimenti del Garante legati anche al trasferimento dei dati tra UE e USA.
Come ha reagito il settore
Che le aziende debbano adeguarsi al trend e muoversi nell’ottica di trovare soluzioni sempre più trasparenti, compliant e tutelanti per gli utenti delle proprie property digitali è ormai un’evidenza.
Questo tempo in più concesso dai colossi del tech dovrà servire proprio a questo: “Auspichiamo che questo posticipo serva a far riflettere aziende e operatori e che stimoli ulteriormente la ricerca di sistemi alternativi al tracciamento tramite cookie. Riteniamo che esplorare sin da ora le alternative, portando avanti azioni in parallelo alle soluzioni tradizionali basate su cookie, sia la migliore strategia per dare il via una transizione fluida e senza traumi” ha dichiarato Thierry Bignamini di Weborama.
Di web cookieless e next advertising era ha parlato di recente anche Filippo Trocca, CIDO di Datrix, stressando l’importanza di sfruttare al meglio i first-party data: “Le scelte dei colossi del web vanno ormai in ottica Cookieless, ergo l’advertising basato sui dati degli utenti è indubbiamente il canale più colpito. Diventa un vero imperativo categorico per le aziende analizzare in casa il comportamento degli utenti e sfruttare i dati di prima parte”.
Come dire, i giorni dell’hypertargeting sono contati, a causa delle mosse di Apple, di Google, dei legislatori e delle autorità di regolamentazione, e persino degli stessi consumatori che hanno sempre più a cuore la propria privacy.
Gli esperti di marketing dovrebbero considerare l’annuncio di Google come una breve tregua, perché mantenere lo status quo non è un’opzione.