Native Advertising vs Display: dal confronto sembra non esserci alcun dubbio, la pubblicità nativa coinvolge maggiormente gli utenti e converte di più. Meno invasivo, tanto da non influire sull’esperienza di navigazione, e perlopiù percepito come utile in quanto portatore di contenuti, il Native Advertising rappresenta al momento la modalità di pubblicità online più apprezzata e col miglior ritorno sull’investimento.
Native Advertising: cos’è la native ads e quali sono i suoi formati
Con il termine Native Advertising si identificano tutti i formati pubblicitari che hanno l’aspetto e le sembianze dei contenuti originali, personali o editoriali, delle piattaforme che li ospitano. In altre parole, native ads sono i contenuti che si integrano in maniera forte all’interno della fruizione di un contenuto. Tipicamente, nei feed dei social network appaiono messaggi pubblicitari di tipo native, il cui formato ricalca esattamente quello dei contenuti del social network, spesso distinguibili solo da un disclaimer come “contenuto sponsorizzato”, o, in inglese “sponsored”. Web magazine e siti web mettono a disposizione Recommendation Widget, perfettamente integrati al layout della pagina.
Altro esempio di native advertising sono i classici advertorial, in italiano publi-redazionali, molto diffusi nei magazine mainstream (moda, maschili, femminili, attualità, ecc.).
Cosa rende il Native Advertising differente dalla pubblicità display
L’Osservatorio New Media della School of management del Politecnico di Milano distingue due elementi fondamentali che stanno alla base del concetto di native advertising sono:
• la coerenza con il contesto visivo (la “ forma”) del contenuto editoriale. gli annunci devono essere percepiti dall’utente come un contenuto naturale all’interno dello stream editoriale, ma deve essere trasparente che si tratti di contenuti pubblicitari. L’efficacia del native advertising deriva anche dal fatto che questo formato consente di superare la banner blindness (quella capacità di alcuni utenti di essere indifferenti nei confronti della pubblicità) e di generare quindi migliori performance;
• la rilevanza del contenuto pubblicitario. Un elemento fondamentale risiede nella capacità di ingaggiare l’utente attraverso contenuti pubblicitari attrattivi e di qualità.
Come guadagnare con il native ads
Se i Social network sono stati i primi a sfruttare in maniera efficace (in particolare sul canale mobile) il native advertising, anche gli editori tradizionali da diversi anni hanno iniziato a presentare un’offerta commerciale in tal senso: sia grandi editori internazionali quali Yahoo!, Wall Street Journal, New York Times e Condé Nast, sia testate completamente digitali come Buzzfeed e Refinery, che addirittura fondano buona parte del loro business sulle revenue derivanti dal native advertising.
L’esperienza di questi attori presenta diversi modelli di revenue implementati: sia modelli che richiedono una fee fissa per l’intera iniziativa, sia modelli che presentano la sola vendita delle impression a cpm, sia combinazioni di questi due.
Tale nuova modalità di fare online advertising costituisce, quindi, un’opportunità sia per gli editori (per massimizzare il valore degli spazi sfruttando i propri asset in termini di competenze giornalistiche e di forza commerciale), sia per gli investitori (che hanno a disposizione formati meno invasivi per gli utenti e potenzialmente più efficaci).
Gli investitori, naturalmente, hanno iniziato a chiedersi quali siano le effettive performance di questo formato pubblicitario. Fra gli editori più avanzati in questo ambito c’è Forbes, che garantisce la restituzione dei soldi investiti in Native Advertising sulle proprie properites, nel caso in cui gli advertiser non registrino i risultati attesi in alcuni KPIs prestabiliti.
I rischi del Native Advertising per gli utenti
Non mancano, però, i rischi. Gli enti regolatori negli Stati Uniti e nel Regno Unito hanno iniziato a irrigidire i controlli sul Native Advertising. “Se assomiglia troppo al giornalismo, ne danneggia la credibilità. Se non ci assomiglia affatto, perde di interesse per gli inserzionisti. Un confine davvero sottile” ha dichiarato il public editor del New York Times, Margaret Sullivan. E gli enti regolatori sono determinati a tracciare questo confine in modo più netto possibile.