Tra le tematiche aziendali che negli ultimi anni hanno attirato l’attenzione di studiosi, economisti, managers, investitori, regulators, policy makers e persino legislatori, va sicuramente menzionata la Corporate Governance.
L’etimologia del termine Governance non è del tutto chiara, ed è difficile trovare un’unica definizione che sappia riassumere tutte le sue caratteristiche e funzioni. In base ai principi OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) la Corporate Governance “involves a set of relationships among a company’s management, its Board, its shareholders and other stakeholders. Corporate Governance also provides the structure through which the objectives of the company are set, and the means of attaining those objectives and monitoring performance are determined” (OECD, 1999).
Cos’è la Governance e quando è adeguata
La Corporate Governance è quindi tutto quell’insieme di regole e di strutture organizzative che stanno alla base di un corretto governo societario, che conducono la società a raggiungere i propri obiettivi e a realizzare la propria mission, e che non possono prescindere dal rispetto degli innumerevoli obblighi normativi e regolamentari, e da un sistema di controllo interno strutturato, adeguato ed idoneo a prevenire comportamenti scorretti.
Un sistema di governance risulta essere tanto più adeguato ed idoneo, quanto più riesca ad integrare la propria componente “fissa”, obbligatoria e specifica per il monitoraggio delle prescrizioni normative strettamente connesse alla tipologia dell’impresa (al proprio business e a taluni processi aziendali), con la parte “variabile”, facoltativa e destinata, più genericamente, alla prevenzione del dilagante fenomeno della «criminalità d’impresa».
In risposta a tale perverso fenomeno, favorito dalla progressiva internazionalizzazione del mercato, il legislatore italiano ha dapprima ratificato normative internazionali ed europee (nel 2000), e poi dato attuazione (nel 2001) ad una specifica disciplina preventiva della commissione di reati in ambito d’impresa.
Reati d’impresa, la normativa
Segnatamente, con la legge delega n. 300 del 2000, di ratifica della Convenzione sulla tutela finanziaria delle Comunità europee del 26 luglio 1995, della Convenzione U.E. del 26 maggio 1997 relativa alla lotta contro la corruzione e della Convenzione OCSE del 17 settembre 1997 sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, sono stati ottemperati gli obblighi previsti da siffatti strumenti internazionali e, in specie, comunitari, i quali hanno disposto appunto la previsione di paradigmi di responsabilità delle persone giuridiche e di un corrispondente sistema sanzionatorio in grado di colpire la criminalità d’impresa.
Con il Decreto Legislativo 8 giugno 2001, n. 231, in parziale attuazione della legge delega 29 settembre 2000, n. 300, per la prima volta nell’ordinamento giuridico nazionale, è stata disciplinata la responsabilità amministrativa delle persone giuridiche ed è stato introdotto nel sistema legale italiano il principio secondo cui, per certi crimini, vengono puniti sia l’autore del reato che l’Ente nel cui interesse o per il cui vantaggio è stato commesso.
Il d.lgs. 231/2001 si inserisce dunque in un contesto di attuazione degli obblighi internazionali e – allineandosi con i sistemi normativi di molti Paesi dell’Europa – istituisce la responsabilità della «societas », considerata “quale autonomo centro di interessi e di rapporti giuridici, punto di riferimento di precetti di varia natura, e matrice di decisioni ed attività dei soggetti che operano in nome, per conto o comunque nell’interesse dell’ente” (cfr. Relazione introduttiva al decreto legislativo).
L’istituzione di una responsabilità a carico degli Enti nasce dalla considerazione empirica che frequentemente le condotte illecite, commesse all’interno delle organizzazioni, costituiscono espressione non tanto della devianza del singolo, quanto di quella del centro di interessi economici nell’ambito del quale il singolo abbia agito, essendo sovente conseguenza di decisioni di vertice del medesimo Ente. Di contro, è pur vero che, talvolta, la condotta illecita del singolo, compiuta per un proprio e diretto tornaconto personale, potrebbe generare comunque un vantaggio a carico dell’Ente (si pensi al caso di un dipendente che riesca a corrompere un pubblico ufficiale, durante una visita ispettiva, perché questi, non rilevando una sua carenza lavorativa, non disponga una sanzione a carico della società).
Dalla volontà di prevenire in modo efficace tali comportamenti criminosi è derivata la scelta normativa di sanzionare anche l’Ente, quale reale beneficiario del reato; e l’inconsapevolezza, da parte del datore di lavoro, della commissione di pratiche illecite all’interno del proprio contesto aziendale, non assurge a scusante per l’imprenditore, ma anzi è intesa come una sorta di colpa organizzativa, che si sarebbe potuta evitare adottando un adeguato modello organizzativo.
Con riferimento alla sopra citata componente “variabile” della Corporate Governance, ogni Ente, a prescindere dal proprio dimensionamento, dovrebbe pertanto dotarsi di un proprio Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo costituito ai sensi del d.lgs.231/2001, idoneo ed efficace a prevenire specifiche condotte illecite all’interno della realtà aziendale, e quindi in grado di garantire l’esonero dalla responsabilità dell’ente in caso di commissione di reati nell’interesse o per il vantaggio dell’impresa medesima.
È bene ricordare, infatti, che, in conseguenza della condanna per la commissione dei reati 231, viene sempre applicata all’Ente una sanzione di natura pecuniaria, oltre alla confisca del prezzo o del profitto del reato. La sanzione pecuniaria va da un minimo di € 25.822,84 fino a un massimo di € 1.549.370,69 (e sequestro conservativo in sede cautelare).
Nei casi più gravi, può venire addirittura interdetto l’esercizio dell’attività, o può essere sospesa o revocata un’autorizzazione, una licenza o le concessioni funzionali alla commissione dell’illecito, oppure può essere vietata la contrattazione con la Pubblica Amministrazione, o esclusa la Società da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi (ed eventualmente revocati quelli concessi), oppure può essere vietata la pubblicizzazione dei propri beni o servizi. In tutti i casi sopra illustrati, trattandosi di sanzione interdittiva, vi è anche l’obbligo di pubblicazione della sentenza (su quotidiani di diffusione nazionale).
*Jennifer Basso Ricci, avvocato, senior legal consultant di P4I – Partners4Innovation