L’ecosistema normativo e politico-finanziario, la società civile ed i consumatori tendono a sollecitare le imprese – in maniera sempre più esplicita – a un ripensamento dei propri modelli di business in ottica di sostenibilità. A riguardo, sono molteplici le convergenze tra i Modelli 231, nella prospettiva di prevenzione dei reati, e l’adozione di strumenti di business basati su fattori ESG.
Si tratta di spinte emergenti in termini di hard law con gli obblighi – già vigenti – di dichiarazione non finanziaria per le aziende di più rilevanti dimensioni (D.Lgs. n. 254/2016), ma che trovano espressione, forse ancor più significativa, negli orientamenti manifestati dai grandi investitori privati, così come nelle politiche di concessione del credito a livello bancario. Le nuove Linee Guida EBA (European Banking Authority), indirizzate ad autorità di vigilanza e ai sistemi bancari nazionali, valorizzano infatti i fattori ambientali, sociali e di governance, con correlati rischi, quali elementi significativi nella definizione delle politiche di accesso e valutazione del credito, sia per le grandi imprese che per le piccole e micro.
Ancora sul fronte delle istituzioni UE, occorre segnalare l’approvazione – lo scorso 23 febbraio – della proposta di direttiva attinente i doveri di due diligence sulle catene del valore, che mira a promuovere un comportamento sostenibile e responsabile da parte delle imprese rispetto ai propri fornitori e sistemi di approvvigionamento.
Un approccio sistemico alla realtà aziendale, che riconosca l’impresa quale ‘sistema-aperto’, interdipendente rispetto al contesto ambientale e sociale in cui opera, può essere rintracciato già nell’art. 41 della Costituzione che ne sancisce la funzione sociale. Più recentemente, esso è ravvisabile nella logica ispiratrice del Decreto Legislativo n. 231 dell’8 giugno 2001, che – introducendo la responsabilità amministrativa degli enti dipendente da reato – ha responsabilizzato l’impresa quale ‘garante’ degli interessi generali intercettati nella sua operatività.
È quest’ultimo aspetto che approfondiremo nel presente contributo, individuando sinergie e convergenze tra la normativa del D.Lgs. 231/2001 e le esigenze di sostenibilità, ipotizzando che il Modello di Organizzazione Gestione e Controllo regolamentato dal D.Lgs. 231/2001 (“Modello 231”) possa rappresentare un framework aziendale di alto livello per valorizzare i presidi individuati anche nell’orizzonte ESG.
Cosa si intende per indici ESG? Cenni sintetici
I fattori ESG sono i criteri non finanziari di valutazione delle performance dell’impresa che ne misurano la sostenibilità in termini ambientali (E – Environmental), sociali (S – Social) e di governance (G – Governance).
Le valutazioni ESG misurano, quindi, il grado di conformità dell’attività imprenditoriale a principi che esprimono – a titolo esemplificativo – il rispetto dell’ambiente, la non-discriminazione ed inclusione nel contesto lavorativo e sociale, l’efficienza e l’adeguatezza dell’assetto organizzativo adottato, anche in funzione anti-corruttiva.
Nella versione più evoluta di impresa (e di finanza) sostenibile, si vanno affermando paradigmi in cui i fattori ESG non rappresentano più vincoli esterni alla massimizzazione degli (altri) obiettivi aziendali, ma sono essi stessi parte della strategia di business, nell’ottica di creare valore condiviso per tutti gli stakeholder, anche esterni all’impresa stessa.
In che modo i Modelli 231 hanno un’incidenza sui fattori ESG?
Com’è noto, i Modelli 231 sono strumenti di compliance normativa volti a mitigare il rischio di commissione di reati da parte di soggetti che agiscono per conto degli enti. Nei termini precisati dagli articoli 6 e 7 del D.Lgs. 231/2001, essi permettono alle imprese di essere sollevate dalla responsabilità 231 nel caso di commissione di reati-presupposto nell’interesse o a vantaggio dell’ente.
Alla funzione ‘difensiva’ appena descritta, si accompagna però una, meno immediata ma forse più profonda, funzione ‘proattiva’ rispetto ai fattori ESG, stante la convergenza tra molti dei Sustainable Development Goals (SDGs) dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite e gli interessi generali tutelati dal D.Lgs. 231/2001.
Infatti, il sistema di controllo interno implementato con i Modelli 231 in funzione della prevenzione di rischi-reato, impattando su attività sensibili anche sul fronte ESG, può contribuire al perseguimento di molti degli obiettivi di sostenibilità, come si evidenzierà, in maniera esemplificativa e non esaustiva, nella tabella seguente.
- la cultura della legalità, della trasparenza e della responsabilità (SDG 16 target 6.3, 6.6);
- la cultura della diversity inclusion e della parità di genere (SDG 5).
Tutti gli obiettivi descritti sono peraltro rafforzati dalla presenza del sistema whistleblowing descritto dall’art. 6 del D.Lgs. 231/2001 volto a favorire segnalazioni di condotte illecite e a tutelare i segnalanti.
Infine, la rilevanza dell’adozione di un Modello 231 nella prospettiva della sostenibilità è confermata da un dato normativo inequivocabile: il D.Lgs. 54/2016 sulla dichiarazione non finanziaria – all’art. 3 c. 1 lett. a) – richiede che la dichiarazione stessa rechi la descrizione del modello di organizzazione e gestione aziendale esistente, ivi includendo espressamente il Modello adottato ai sensi del D.Lgs. 231/2001.
Il Modello 231 può dunque rappresentare un punto di partenza significativo per una governance che voglia supportare gli sforzi aziendali in termini di sostenibilità: si tratta infatti di uno strumento di compliance di alto livello capace di intercettare e di supportare l’implementazione di prassi aziendali virtuose nella prospettiva ESG.