Entro il 2026 raggiungerà 43,152 milioni di dollari il valore del mercato Open Banking a livello globale, registrando un tasso di crescita annuale del 24,4% nel quinquennio che parte dal 2019. A sostenerlo uno studio condotto dall’istituto di ricerca Allied Market Research. Fa eco l’indagine Statista secondo cui il numero di utenti dei servizi Open Banking in tutto il mondo dovrebbe crescere a un tasso medio annuo di quasi il 50% tra il 2020 e il 2024, con il mercato europeo in prima posizione. Se nel 2020 erano 24,7 milioni gli individui in tutto il mondo che utilizzavano servizi di Open Banking, Statista prevede infatti che verranno raggiunti i 132,2 milioni entro il 2024, con l’Europa che passerà da 12,2 milioni di utenti a 63,8 milioni.
L’Open Banking in Italia spinge sull’acceleratore
In questo scenario così in fermento il nostro Paese deve recuperare terreno: da un’analisi PwC e CBI dal titolo “Global Open Banking Report” è emerso che i servizi di Open Banking in Italia sono utilizzati attualmente solamente dal 5% dei clienti digitali. Il punto di svolta, però, appare vicino: secondo l’Indagine Fintech nel sistema finanziario italiano condotta dalla Banca d’Italia i flussi di cassa generati dai progetti di Open Banking faranno registrare un’importante accelerazione e nel 2022 andranno in positivo, generando cash flow per quasi 100 milioni di euro. “Anche se in Italia lo sviluppo di questo settore è ostacolato dall’offerta limitata di nuovi servizi e dalle barriere tecnologiche, il mondo finanziario sta cambiando radicalmente grazie alla trasformazione digitale che consente un’evoluzione verso l’omnicanalità e l’Open Banking. Il futuro è già qui: fintech e digitale sono i pilastri della banca di domani”, spiega Bruno Natoli, CEO di Mia-FinTech, startup italiana nata dall’esperienza di Mia-Platform che si pone l’obiettivo di far evolvere le banche in moderne fintech company. “Secondo un recente report del Financial Times – prosegue Bruno Natoli – 4 istituti bancari su 5 stanno adottando tecnologie Open Banking per sviluppare nuovi prodotti finanziari per i clienti e ben il 94% delle aziende fintech è convinta che l’Open Banking possa migliorare il loro business”.
L’evoluzione iniziale di questo mercato passerà in primo luogo dagli utenti “underbanked”, cioè da quelle persone poco soddisfatte dagli attuali servizi fintech offerti dalle banche tradizionali. Sempre secondo l’analisi PwC e CBI iniziano a farsi strada, seppur con basse percentuali, prodotti basati su investimenti, prestiti e assicurazioni mentre è ancora bassa la percentuale di generazione di carte virtuali per pagamenti. La survey condotta sui principali istituti bancari italiani ha evidenziato come i principali servizi offerti nell’attuale contesto dell’Open Banking siano Account Aggregation (55%), Check Iban (45%), Personal Financial Management (36%), Instant Payment (27%) e servizi di Identity & Digital Onboarding (18%, ma in forte crescita come servizio a valore aggiunto per il futuro). Importante sottolineare come la maggior parte delle informazioni sia gestita dalle banche tradizionali: lo studio indica come chiave di lettura il fatto che, storicamente, gli istituti di credito abbiano avuto a disposizione un’offerta finanziaria più strutturata e un patrimonio di dati e informazioni maggiore rispetto alle banche “only digital” e ai nuovi player fintech.
L’esperienza utente al centro di tutto
L’ambito principale del cambiamento sarà l’innovativa esperienza utente. Attualmente i consumatori sono abituati a interagire con le aziende attraverso una moltitudine di canali, fisici o digitali, l’obiettivo sarà dunque quello di garantire un’esperienza completa, continuativa e positiva su diversi canali digitali e ciò sarà possibile supportando la nascita di un nuovo ecosistema economico che favorisca la collaborazione tra imprese. In quest’ottica “stanno emergendo nuove strategie per la diffusione di servizi bancari e finanziari che sono caratterizzate da una fitta rete di partnership nella quale collaborano istituti bancari, intermediari, società fintech e società commerciali”, evidenzia Natoli.