Per l’evoluzione del suo ruolo negli ultimi anni, il Chief Financial Officer (CFO) è forse il manager con la visione più completa dell’azienda, e un osservatore privilegiato sugli impatti della trasformazione digitale.
Significativo quindi su questi temi è il punto di vista dei CFO di quattro realtà primarie dell’industria italiana, protagonisti di una tavola rotonda all’evento «Digital Finance Executive» (degli altri interventi abbiamo parlato in questo articolo) organizzato da SDA Bocconi e Oracle: Alessandra Cozzani, CFO Gruppo Prada; Roberto Mannozzi, Direttore Centrale Amministrazione Bilancio e Fiscale Gruppo FS Italiane; Danilo Piroli, Group CFO Chiesi Farmaceutici; e Andrea Striglio, CFO EMEA Fiat Chrysler Automobiles.
«Cogliere i cambiamenti per non rimanere irrimediabilmente indietro»
«Il settore lusso sembra agli antipodi del digitale: è conservatore, con valori intangibili molto tradizionali: stile, design, identificazione nel marchio», ha detto Cozzani. «Lo scetticismo iniziale però è stato superato, avendo compreso che l’online non è solo un canale di vendita, ma anche di servizio e comunicazione del brand».
Nel lusso, continua la CFO di Prada, l’eCommerce è il 6% del fatturato, e si prevede arriverà al 18-20%: il negozio fisico quindi rimarrà dominante nel rapporto col cliente, ma già oggi il 70% degli acquisti si decide online. «Il consumatore digitale sta sgretolando diversi capisaldi del settore. Per esempio la domanda non è più totalmente anelastica al prezzo, ora che sul web si possono confrontare prezzi in tutto il mondo. Quindi è un momento di forte evoluzione in cui è cruciale cogliere i cambiamenti per non rimanere indietro senza rimedio».
Who's Who
Roberto Mannozzi
Direttore Centrale Amministrazione, Bilancio e Fiscale del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane
Il digitale è uno stimolo molto forte al cambiamento per chi eroga servizi, ha detto Mannozzi di FS Italiane, che è anche Presidente di Andaf, l’associazione nazionale direttori amministrativi e finanziari. «E per noi in particolare l’esigenza è uscire da un modello ancorato all’asset fisico: questo ha innescato tanti progetti innovativi che stanno cambiando profondamente il Gruppo, come il palmare del personale di bordo, un collegamento diretto al sistema di biglietteria e alla sala di controllo; oppure la manutenzione, in cui un grande progetto basato su big data e sensori sta rivoluzionando il nostro approccio, dalla pianificazione degli interventi a scadenze prefissate alla manutenzione predittiva».
Nel farmaceutico la rivoluzione digitale sta colpendo su più fronti, sottolinea Piroli di Chiesi. Uno è l’interazione con il cliente. «Nel modello tradizionale, dall’individuazione del principio attivo alla dimostrazione al medico, noi non “vedevamo” mai il paziente. Ora invece si fa sentire e chiede di essere interpellato: andiamo verso una medicina più personalizzata e pronta a modificarsi attraverso i suoi feedback, che arrivano tramite device e app che misurano i parametri sanitari e supportano l’uso del farmaco».
Poi cambiano profondamente il rapporto con il medico («ora può essere diretto, via internet»), e il ciclo di sviluppo dei prodotti. «La sperimentazione, articolata su diversi paesi e gruppi di pazienti e basata su rigidi protocolli, richiedeva molto tempo e costi, che il digitale ha tagliato fortemente, con effetti profondi sul business, per esempio sulla vita utile del brevetto: più è breve la sperimentazione, maggiore è il tempo di sfruttamento».
Infine l’automotive, da molti considerato IL modello della rivoluzione digitale: «Gli impatti sono già forti, diventeranno enormi, con nuovi modelli di mobilità, autonomous driving, guida assistita», conferma Striglio di Fiat Chrysler. «Ma come esempio cito un impatto in apparenza collaterale: partendo dal fatto che circa il 90% dei clienti si orienta all’acquisto sul web, abbiamo riallocato il budget pubblicitario dai media tradizionali a quelli digitali, imparando che questi sono punti di contatto decisivi per catturare il cliente e capire in che fase del processo d’acquisto è. Oggi, ottenendo un certo numero di lead da una campagna o un evento, possiamo calcolare quanti andranno dal concessionario e quanti compreranno, cioè misurare con precisione il ritorno di un investimento pubblicitario. E questo è solo il primo passo: possiamo accompagnare il cliente nell’intero percorso dalla ricerca di informazioni all’assistenza dopo l’acquisto».
Misurare l’intangibile e farsi partner del business
Il digitale sta impattando quindi su tutti i settori e su gran parte dei processi, sia di front end che di back end. Ma tutto ciò come si ripercuote sulla funzione Finance? A livello internazionale due tendenze spiccano negli ultimi anni. Da un lato il Finance deve superare l’approccio concentrato solo sui consuntivi finanziari, e misurare anche KPI di crescita del fatturato e creazione di valore. Dall’altro, a proposito di valore aziendale, la componente intangibile – brand, customer satisfaction, ecc. – incide sempre più e occorre imparare a misurarla, introducendo appositi indici e cambiando le logiche di valutazione delle performance, definizione degli obiettivi e così via.
«Il tema degli intangibles è cruciale per il farmaceutico, a partire dai brevetti – osserva Piroli di Chiesi -. La ricerca viene interamente spesata, e sulla possibilità di ottenerne dei ritorni c’è incertezza totale fino all’ultimo. Però fin dalle prime fasi di sviluppo proviamo a stimare costi, vendite, fatturato, e quindi il possibile ritorno del prodotto, aggiornando periodicamente il tutto». Un punto critico è che per misurare gli asset intangibili spesso occorre lavorare su informazioni di fonte esterna, «su cui, non avendo la ownership, mi sento meno sicuro rispetto ai dati dell’ERP aziendale». Un altro è farsi partner del business, restando allineati sulle sue esigenze, «altrimenti il Finance rischia di rimanere tagliato fuori e confinato sui consuntivi tradizionali».
Il progetto di manutenzione predittiva di Trenitalia già citato, spiega Mannozzi di FS Italiane, è un buon esempio d’impatto del digitale anche sul Finance. «I dati in arrivo dai sensori sui treni ci daranno elementi cruciali per gestire asset la cui manutenzione costa più di un miliardo l’anno, con ripercussioni su vari driver di valore aziendale anche intangibili, come la customer satisfaction». Quanto all’alleanza con il business, il Finance deve cercare un difficile equilibrio. «Da una parte, come tutte le altre funzioni, deve riuscire a superare la mentalità a silos. Dall’altra non può rinunciare al proprio ruolo “terzo” rispetto alle business line».
Equilibrio più che mai necessario, continua Mannozzi, anche sul tema intangibles: «È vero che sta diventando decisivo, che gli investitori non si accontentano più delle informazioni statutory, e che il CFO è l’unico in azienda capace di aggregare le informazioni e renderle leggibili agli interlocutori interni ed esterni. Ma queste devono essere comunque certificate, per esempio dalle società di revisione, quindi è inutile fare gli innovatori se poi gli standard setter e le authority rimangono indietro. Anche qui serve un gioco di squadra perché queste nuove informazioni siano autorevoli per tutti».
La visibilità dell’ERP oggi non basta più
Dopo aver lottato per anni per ampliare la copertura del sistema ERP, osserva Cozzani di Prada, il CFO ha una visibilità sull’azienda impensabile pochi anni fa, ma ciò non basta più. «In un mercato sempre più volatile occorre sfruttare i dati da tutte le interazioni fisiche e digitali con i clienti. Dati che di solito affluiscono al sistema CRM, che ha sempre avuto ownership commerciale. Ma molti di essi possono servire anche per fare previsioni di vendita, scelte d’acquisto e molto altro. Ciò permetterebbe al CFO di fare davvero il partner del business e dare valore aggiunto».
Infine Striglio cita due progetti che dimostrano l’impatto del digitale sul Finance in Fiat Chrysler. «Un problema tipico nell’automotive è che riceviamo dati da vari canali di vendita, ma ce ne sono altri che il concessionario ha a sua volta, e che fino a poco tempo fa vedevamo solo a consuntivo. Il digitale ci ha aiutato a tracciare meglio i clienti nei vari sottocanali, controllare gli sconti, e dare informazioni più dettagliate ai sales manager». Il secondo progetto, a cui il Finance di FCA sta pensando insieme al marketing, è un centro di monitoraggio europeo dei prezzi sul mercato. «Il pricing per noi è un processo complesso, con moltissime variabili, ma ora i clienti possono confrontare in un attimo i prezzi tra i vari paesi, quindi è cruciale adeguarli rapidamente mercato per mercato. Nell’era dei big data, l’idea è osservare più attentamente i competitor, con una “central intelligence” a livello EMEA che analizzi basi dati enormi che abbiamo già – prezzi reali, promozioni, eccetera, per tutti i 28 mercati europei – restituendo aggiornamenti frequenti sulle mosse dei competitor, e quindi reattività molto maggiore sul singolo mercato, che da solo non avrebbe gli strumenti per fare questo tipo di analisi».
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Il potere dei social: «Anche gli analisti oggi contano like e follower»
«I social, facendo circolare con enorme velocità le informazioni, hanno un effetto dirompente sul valore del brand: se su una camicia si scuciono i bottoni lo sa tutto il mondo in pochi attimi, e anche gli analisti finanziari oggi tengono conto di like e follower». Così Alessandra Cozzani, CFO di Prada, sintetizza il grande potere diretto e immediato sull’immagine dei marchi che oggi il consumatore ha grazie ai commenti sul web. «Anche il trasporto è un settore molto delicato per questo aspetto –aggiunge Roberto Mannozzi di FS Italiane – : noi facciamo circolare 8000 treni al giorno, ma ne basta uno in ritardo e le segnalazioni negative sono potenzialmente centinaia». Il rovescio della medaglia in positivo è la misurabilità, come rimarca Striglio di Fiat Chrysler Automobiles: «Abbiamo attività di social listening per analizzare cosa si dice di noi sui principali network, e sui blog specializzati sull’automobile: possiamo capire il livello di gradimento di un brand, di un modello di auto, o il riscontro di campagne di marketing».