Quello del CFO, il Chief Financial Officer non è mai stato un ruolo semplice, ma oggi è sicuramente ancora più delicato. Da una parte c’è la trasformazione digitale, ossia la spinta innovatrice delle tecnologie digitali, che promettono di rendere più efficienti i processi di business, e addirittura di creare nuove fonti di fatturato e vantaggio competitivo, ma richiedono impegnativi investimenti. Dall’altra la pressante richiesta di tenere sotto controllo i budget, in tempi di perenne “spending review”, rischia di contrassegnare il direttore finanziario “signor No” del processo decisionale strategico.
Come uscire da questa impasse, e liberarsi da questa immagine, quando si ha a che fare con il top management o si analizzano le richieste che provengono dalle varie divisioni? Ajit Kambil, Global Research Director del CFO Program di Deloitte, ha provato a dare una serie di consigli al riguardo sul blog Deloitte CFO Insights del Wall Street Journal.
Il primo, forse il più impegnativo, è di passare da una visione focalizzata solo sul breve periodo e sul taglio dei costi, a una di più ampio respiro che comprenda anche la promozione di azioni per creare nuovo valore. È una linea molto sottile, ma è importante, in questo senso, cominciare a proporsi affiancando il business non solo con approvazioni o meno di specifici investimenti, ma anche con precise strategie di azione, dice Kambil. «I CFO devono chiedersi adesso: cosa posso fare, oltre a tagliare costi, per portare cash o valore alla mia organizzazione?»
Per Kambil l’aspetto più complesso del nuovo ruolo del CFO è riuscire a essere un catalizzatore del cambiamento. L’ostacolo principale a questa evoluzione spesso si annida nel background degli specialisti di finanza e amministrazione, che di rado sono abituati a lavorare coordinandosi in modo sistematico con altre strutture aziendali. Ciò accade anche perché al potere di dare il via libera o meno a molte iniziative non corrisponde la legittimazione a guidare la trasformazione, in particolare nelle aree in cui il CFO pensa che sarebbe più necessario intervenire.
Per questo è necessario imparare le cosiddette “soft skill”: relazioni e capacità di comunicare. Imparare quindi a sostenere i propri argomenti con gli interlocutori più adatti, e comunicarli con il linguaggio che questi interlocutori capiscono meglio
Le analisi di Deloitte, continua Kambil, indicano che i CFO il più delle volte si limitano a supportare il ruolo del CEO senza prendere in considerazione i problemi culturali dell’organizzazione e tanto meno incoraggiare nuovi comportamenti che aiutino il top management a stabilire una nuova cultura aziendale. Ma limitarsi a fornire dati a sostegno dei processi decisionali non basta: occorre uscire dall’ufficio e ascoltare le reali esigenze delle business unit per comprendere cosa in passato ha funzionato e cosa no e reagire di conseguenza. Per esempio un CFO può risultare determinante nel definire la strategia per capitalizzare un’acquisizione o per aiutare una divisione a valorizzare asset che non performano come dovrebbero.
L’analista di Deloitte infine sottolinea quanto sia importante per un CFO trovare opportunità per dei ‘quick win‘, ovvero dei successi rapidi, progetti che generino valore in poco tempo – non più di sei mesi – come per esempio ottenere risorse finanziarie a condizioni vantaggiose o valutazioni di credito favorevoli per, ancora una volta, abbattere il costo del capitale. Oppure fornire analisi previsionali e insight più precisi sui driver di fatturato e di margine operativo ai responsabili delle business line.