@umbertobertele
Umberto Bertelè è autore di “Strategia”, edizioni Egea, 2013. Ha scritto anche la prefazione dell’edizione italiana di “Big Bang Disruption” di Larry Downes e Paul F. Nunes, edizioni Egea, 2014.
In meno di un anno e mezzo, Uber – l’impresa che ormai meglio personifica l’avanzata della sharing economy – ha raccolto dai fondi di venture capital 2,6 miliardi di dollari e ha moltiplicato per più di dieci volte la sua capitalizzazione implicita, passando dai 3,5 miliardi dell’agosto 2013 ai 41,2 dell’ultimo aumento di capitale agli inizi di dicembre.
Un record assoluto per una startup non ancora quotata, ma finanziata da fondi di venture capital e investitori singoli.
Una cifra di tutto rispetto anche se comparata con le capitalizzazioni di società quotate operanti nei mondi più prossimi: il mondo Internet e quello dei trasporti. Uber vale più di Twitter e di LinkedIn e si avvicina ai 48 miliardi di Yahoo. Vale più di famose società del trasporto aereo come Delta Air Lines, American Airlines e United Continental. Vale molto più dei leader storici del rent-a-car Hertz e Avis.
Una cifra che appare ancora più di rilievo se il paragone è con le principali società quotate del nostro Paese, a prescindere dagli ambiti di attività. Uber vale più della metà di Eni (71,2 al cambio corrente a inizio dicembre), un po’ meno di Intesa Sanpaolo (48,6) e di Enel (44,0), ma un po’ più della quarta in classifica Unicredit (40,9). Il tutto con soli 5 anni di vita alle spalle.
La vicenda che ricorda più da vicino l’esperienza di Uber è quella di Xiaomi – la startup cinese diventata in 4 anni di vita leader sul mercato cinese e terza al mondo (anche se distanziata da Samsung e Apple) nel mercato degli smartphone – che, secondo indiscrezioni, sta trattando un aumento privato di capitale di 1,5 miliardi con una capitalizzazione implicita di oltre 40. Ma ci sono in coda altre società del mondo Internet – quali Airbnb, Dropbox, Square e Pinterest (riportate in figura sotto) ma anche Snapchat, Palantir e Spotify – che potrebbero evidenziare significativi aumenti di valore in coincidenza con nuovi aumenti di capitale. La strada che tutte queste società sembrano percorrere è quella di rinviare il giudizio che il mercato finanziario dà in sede di IPO (ossia di quotazione in borsa) e di puntare nel frattempo a immissioni di capitale privato con il duplice scopo di crescere e di abituare i futuri investitori all’idea di quotazioni sempre più alte: una strada tracciata da Facebook, che con l’ultimo aumento privato di capitale nel 2011 portò la capitalizzazione implicita a 50 miliardi (una cifra che allora fece molto scalpore) per poi raddoppiare il valore nell’IPO.
Non sono solo le valutazioni di queste start-up che impressionano, ma anche la velocità – ben evidenziata nella figura – con cui esse crescono. Siamo in presenza di una classica bolla (favorita dall’eccesso di liquidità a caccia di rendimenti), in cui gli aumenti di valore stimolano nuove immissioni di capitali che a loro volta spingono verso l’alto i valori e così via? Oppure il mercato finanziario si rende sempre più conto degli enormi cambiamenti nell’economia e nella società che la possibilità delle persone di accedere a Internet in mobilità e di rimanere sempre connesse sta producendo e premia le imprese che più promuovono tali cambiamenti mettendo in gioco business model innovativi?
Io credo ci sia del vero in ambedue le tesi. Credo che l’enorme successo di un IPO come quello di Alibaba o la crescita verticale di valore di Facebook (dopo la caduta post-quotazione) o i 19 miliardi di dollari pagati da Facebook stessa a inizio 2014 per incorporare una app con appena 4 anni di vita come WhatsApp possano far comprendere l’euforia del mercato finanziario e la sua voglia di scommettere su nuovi casi di successo, che presumibilmente si verificheranno. Credo anche però che la velocità (impensabile nel passato) con cui tutte le start-up citate riescono ad accrescere la loro platea di clienti e/o utenti, che sembra essere alla base della velocità con cui crescono i valori delle scommesse del mercato finanziario, non possa rappresentare di per sé un elemento sufficiente di rassicurazione sulle prospettive di crescita dei ricavi e dei profitti e di loro sostenibilità nel tempo, ossia sulle prospettive di creazione durevole di valore; e che fare poche distinzioni fra situazioni strutturalmente diverse abbia in sé i germi di una possibile bolla.
La velocità di espansione delle start-up citate è in effetti piuttosto impressionante, anche se WhatsApp detiene tuttora il record con 450 milioni di utenti unici conquistati in 4 anni (ancorchè con ricavi prossimi a zero). Si è già parlato della velocità con cui Xiaomi ha scalato il mercato cinese degli smartphone, ma sono altrettanto impressionanti i dati di Airbnb, che nata nel 2008 offre alloggi di varia natura in 33 mila località di 192 Paesi, o di Uber (Fig. 2), che in meno di 4 anni è passata da una (San Francisco) a 229 città servite nel mondo.
Se la velocità è una caratteristica che accumuna tutte le start-up citate, strutturalmente diverse sono invece le loro situazioni in relazione ai ricavi e profitti attuali e alle loro prospettive di crescita e diversi sono i fattori che possono impattare sulla sostenibilità nel tempo.
Le imprese che si espandono fornendo servizi gratuiti o quasi, quali tipicamente quelle strutturate come social network, sperano di estrarre soldi dalla rete di contatti che hanno creato, sostanzialmente in tre modi: inserendo banner pubblicitari, profilando gli utenti e vendendo a imprese terze l’accesso a essi, proponendosi come piattaforme di e-commerce. Una strada non facile, come dimostrano i faticosi iter di crescita di imprese dal brand notissimo come Twitter e LinkedIn, che devono scontrarsi nella pubblicità online e nell’e-commerce con colossi del calibro di Google, Facebook o Amazon. Una strada che potrebbe diventare maggiormente faticosa, soprattutto nell’UE, se (sotto la spinta soprattutto tedesca) fossero approvate leggi più severe a protezione della privacy.
La strada potrebbe apparire più facile per le start-up con un business model da questo punto di vista più tradizionale – quali Xiaomi, Airbnb o Uber – che fanno pagare i loro beni o servizi e che già ora presentano ricavi e profitti in crescita. Ma anche per esse non mancano le incognite, sulla capacità di espansione dei ricavi stessi e di mantenimento nel tempo di margini di profittabilità elevati.
Per chi sta scommettendo su Xiaomi, che opera in un comparto come quello degli smartphone in cui la grande ondata di innovazioni sembra essersi fermata e la fedeltà dei clienti (come il suo stesso successo e la perdita di quota di Samsung dimostrano) appare modesta, le incognite riguardano principalmente la capacità di creare differenziali competitivi sostenibili nel tempo: un obiettivo che solo Apple sembra aver raggiunto, almeno per il momento, in relazione alla fascia alta del mercato.
Per chi sta scommettendo su Airbnb, un tipico caso di successo con disruption almeno parziale dell’offerta tradizionale, una grossa incognita è legata alla regolamentazione: la consistenza e la visibilità della sua crescita stanno infatti provocando in diverse parti del mondo significative reazioni e forti pressioni sul mondo politico locale da parte delle strutture alberghiere, fino a chiederne il bando come accaduto con successo in Catalogna. L’obiettivo di conseguire una leadership globale, poi, è minacciato dalla crescita (ovviamente favorita dal governo) di un suo clone in un mercato potenzialmente importante come quello cinese.
Infine Uber, la cui elevata valutazione è all’origine di questo articolo. Uber – molto più di Airbnb – può crescere solo generando disruption nel trasporto urbano, e questo desta reazioni vivacissime da parte delle categorie colpite, con provvedimenti locali (in tutti i continenti e persino anche in alcune città degli Stati Uniti) talora addirittura di blocco.
Ma, al di là della regolamentazione, gli analisti si pongono il problema se Uber riuscirà o meno a conseguire la leadership globale che giustificherebbe la valutazione elevata o se – pur crescendo – rimarrà multilocale, soggetta ad attacchi da parte di concorrenti locali (che quasi ovunque stanno crescendo di numero e stanno ottenendo finanziamenti privati) nelle differenti città del mondo. Credo che siano dubbi più che leciti: perché è difficile conciliare il perseguimento di margini elevati con la soddisfazione degli autisti (che in molte città lavorano per più concorrenti contemporaneamente) e con quella dei clienti (poco fedeli se sensibili al prezzo); perché la velocità di diffusione del modello Uber è stata superiore a quella di Uber stessa, costringendola in diversi casi – soprattutto nelle città asiatiche – a dover fronteggiare uno o più incumbent per costruirsi una posizione.
Una strategia a mio avviso ragionevole per Uber sarebbe quella di non puntare a fare l’asso pigliatutto, ma di sfruttare il suo brand – ormai famoso in tutto il mondo – per monopolizzare (alla stregua di Apple negli smartphone) la fascia più alta del mercato, quella costituita da chi viaggia con grande frequenza per affari o per diletto, garantendo un servizio un po’ più caro ma immediatamente accessibile ovunque e in grado di garantire qualità e sicurezza: caratteristiche queste ultime che richiedono forte selettività nel reclutamento per evitare il ripetersi di quanto recentemente accaduto a New Delhi.
Un ultimo chiarimento. Le capitalizzazioni che il mercato finanziario implicitamente attribuisce alle start-up citate possono – pur con tutti i punti interrogativi visti – avere un senso solamente se permangono l’abbondanza di danaro e il bassissimo livello dei tassi di interesse che negli ultimi anni hanno fortemente contribuito a spingere le principali Borse verso i loro massimi storici. Politiche monetarie restrittive, in particolare della Fed, potrebbero cambiare radicalmente il quadro complessivo e fare apparire come una grande bolla – anche in presenza di potenzialità reali – gli incrementi nelle quotazioni degli ultimi mesi.
Nota dell’autore
Per chi volesse maggiori dettagli sui temi dell’editoriale consiglio la lettura di alcuni articoli apparsi nella stampa specializzata internazionale, da cui ho anche tratto alcuni spunti e informazioni: Uber Snags $41 Billion Valuation/ Investors Place $1.2 Billion Bet Ride-Sharing Service Keeps Breakneck Pace (WSJ, 5 dicembre); Uber: taxi driver/ The cab app is not first everywhere, and this matters (FT, 5 dicembre); Uber banned in New Delhi after sexual assault allegations (FT, 8 dicembre); Xiaomi to be valued above $40bn in fund raising (FT, 7 novembre)